Non profit
Dalla finanza ai consumatori l’efficienza energetica sta diventando un business decisivo nella nostra economia
Si scrive green economy, si legge innovazione. Affinché la nuova economia eco-compatibile si sviluppi pienamente, infatti, è necessario che un profondo processo d’innovazione si affermi a tutti i livelli.
Sul banco degli imputati per aver scatenato la crisi, il settore finanziario è chiamato per primo ad integrare una nuova e forte sensibilità green. Anche perché gestisce le risorse (il denaro) che sono la linfa vitale di ogni altro settore. Sembra che un mutamento sia in effetti in corso se si guarda, ad esempio, alla proliferazione di indici azionari verdi, sempre più richiesti dagli investitori che considerano le ragioni dell’ambiente oltre a quelle del capitale: uno degli ultimi esempi è l’indice S&P/Topix 150 Carbon Efficient Index lanciato a settembre dalla Borsa di Tokyo per premiare le società più efficienti nella riduzione delle emissioni climalteranti. Si sta anche lavorando alla definizione di standard internazionali per i green e climate bond, le obbligazioni emesse per finanziare progetti verdi (specie di contrasto al climate change), un mercato in gran fermento in cui ha appena annunciato il suo ingresso il colosso finanziario statunitense State Street.
Esperienze interessanti sul finanziamento all’innovazione green sono in corso anche sul fronte del venture capital. Iag (Italian angels for growth), principale gruppo di “business angel” in Italia, ha realizzato la sua prima operazione nella sostenibilità ambientale investendo nella bolognese Eugea, società che ben rappresenta i paradigmi della green economy nel senso della contaminazione virale: pioniera nel campo dell’energia urbana, Eugea sviluppa strategie per il ripristino degli ecosistemi naturali nelle città fondate sul coinvolgimento dei privati cittadini. Offrendo loro prodotti e servizi che possono renderli attivi nel recupero degli ambienti urbani impoveriti.
Verso un’economia low carbon
Anche il settore del credito si sta muovendo, a cominciare da istituti che hanno l’attenzione alla sostenibilità nella propria mission, come Banca Etica. Che ha elaborato il Progetto Energia, un insieme di prodotti e soluzioni per il finanziamento di interventi di efficienza energetica, ristrutturazione energetica e realizzazione di impianti di energia rinnovabile. La banca patavina ha inoltre investito in progetti che creano relazioni tra cittadini e produttori di energie rinnovabili, come la cooperativa Retenergie di Fossano (Cuneo).
Una delle questioni decisive per accelerare con l’innovazione la transizione verso un’economia low carbon è proprio quella di promuovere nuove relazioni, più strette, e maggiore conoscenza tra chi produce e chi acquista. Facendo comprendere ai consumatori che quando premiano prodotti e servizi green, favoriscono la tutela dell’ambiente e di se stessi.
Fors’anche più decisivo, però, è che nascano vere e proprie filiere di produzioni green, cioè comparti o intere industrie orientati all’innovazione sostenibile. Che potrebbero davvero moltiplicare le opportunità occupazionali, i famosi “green jobs” (metà degli oltre 40mila occupati nell’industria tedesca del solare, settore in cui la Germania è il Paese leader in Europa, lavorano infatti nella filiera), e permettere all’Italia di puntare alla leadership nella green economy. Come recita il Manifesto per un futuro sostenibile dell’Italia che verrà presentato il 7 novembre dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile: «L’Italia deve diventare un campione mondiale dell’uso efficiente delle risorse e del riciclo». L’Enea, ad esempio, ha calcolato che un intervento di riqualificazione energetica a tutto campo su uffici e scuole in Italia costerebbe 8 miliardi di euro ma produrrebbe una crescita del Pil dello 0,6% l’anno.
La CO2 va in etichetta
Proprio le imprese più impegnate a creare a monte e a valle della propria attività una filiera sostenibile (vedere il caso di Palm nell’articolo a pagina 9) potrebbero essere quelle più premiate dai consumatori: secondo una ricerca realizzata da Gfk Eurisko, tre quarti dei consumatori ritengono molto importante che un’impresa garantisca la sostenibilità di filiera e sarebbero disposti a pagare di più per prodotti garantiti in termini di sostenibilità.
Non è per caso, allora, che in Gran Bretagna il gigante della grande distribuzione Tesco abbia dotato alcuni prodotti di un’etichetta che indica la quantità di CO2 emessa per produrli. E che in Italia Pomì sia diventato il primo marchio dell’alimentare a proporre prodotti con l’etichetta “Per il clima” di Legambiente, che informa sulla carbon footprint del ciclo di vita di prodotto.
Green economy, innovazione in corso.
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