Non profit

La bioplastica ci porterà fuori dalla crisi

Parla Catia Bastioli, numero uno di Novamont e inventrice del Mater-Bi

di Riccardo Bonacina

È lei il volto della chimica verde italiana. Catia Bastioli, umbra di Foligno, oggi amministratrice delegata di Novamont, ha un curriculum ricchissimo di intuizioni, di brevetti e di riconoscimenti. Il suo nome è particolarmente legato al Mater-Bi, un tipo di bioplastica prodotta con amido e mais, grano e patata e totalmente biodegradabile. Grazie a questo brevetto, nel 2007 ha ricevuto il riconoscimento di “Inventore europeo dell’anno”. Nel 2008 è arrivata la laurea honoris causa dell’Università di Genova, con una motivazione che rende bene l’idea del suo impegno: «Ha contribuito a creare una cultura industriale particolarmente sensibile ai problemi di impatto ambientale e di eco-sostenibilità dei processi produttivi». Un merito che lei gira a chi le ha dato la chance, appena laureata, di poter lavorare su nuove frontiere. «A 27 anni ho avuto l’opportunità e l’onore di mettere insieme un team di ricerca nel campo dei materiali compositi in Montedison», racconta. «Questa esperienza mi è servita proprio nel momento in cui operavano assieme il più grande gruppo agroindustriale europeo, Eridania-Beghin Say, e Montecatini, una delle più importanti multinazionali della chimica». Un cammino che l’ha portata a incrociare Raul Gardini: «È stato lui ad avere l’intuizione della chimica verde, un’idea ancora alla base di tutto il mio lavoro».
Lei insiste spesso sulla necessità e sull’urgenza di favorire la transizione da un’economia di prodotto a un’economia di sistema. È questa la sfida di oggi?
Non c’è dubbio che la sfida prioritaria del nostro millennio per l’innovazione consista nella ricerca di modelli di sviluppo in grado di conservare le risorse del pianeta preservando e aumentando la qualità della vita dei suoi abitanti. Si tratta di favorire una rivoluzione copernicana: la transizione da un’economia di prodotto a un’economia di sistema, un grande salto culturale verso una sostenibilità economica e ambientale che deve interessare l’intera società. Solo contando su una maggiore apertura critica potremo sperare in una società matura in grado di bilanciare cambiamento e tradizione del territorio rilanciando la competitività economica e la qualità ambientale insieme a tolleranza e democrazia. Occorre una visione più sistemica e una strategia che mettano al centro l’ambiente prima del profitto, con l’adozione di standard di qualità elevatissimi, in una logica di sistema e non di prodotto, che parta dalla specificità dei territori e che coinvolga tutti gli interlocutori. I buoni ricercatori e imprenditori sono fondamentali anche nel settore delle materie prime rinnovabili, ma senza un coinvolgimento attivo di tutto il territorio e senza standard di sistema stringenti e rispettati, i rischi di effetti distorsivi rimangono elevatissimi.
Lei e la sua azienda però siete in prima linea nello sviluppo di prodotti. Resta pur sempre questa la priorità?
Lo sviluppo di prodotti da materie prime rinnovabili può rappresentare un significativo contributo allo sviluppo sostenibile in vista della potenziale minore energia coinvolta nella loro produzione e della gamma più ampia di opzioni di smaltimento a più basso impatto ambientale. Rappresenta inoltre un’ottima opportunità di sviluppare sistemi integrati verticali che potrebbero coinvolgere attori agricoli ed industriali in uno sforzo di sviluppo comune. Mi riferisco ad esempio al concetto di bioraffineria sul territorio, di cui Novamont è caso esplicativo. Il futuro di questo settore sarà determinato dalle strategie che verranno messe in atto a livello locale ed internazionale.
E quali sono queste strategie?
Le alternative sono sostanzialmente due. Si dovrà decidere se puntare su poche colture industriali e poche sostanze chimiche, magari mimando la chimica del petrolio. In tal caso lo spazio per la crescita di nuove aziende di piccola e media dimensione nate dalla ricerca sarebbe molto limitato. Oppure spingere la biodiversità dei territori, moltiplicando le opportunità che vengono dallo studio di diverse materie prime vegetali e di scarti locali, minimizzando i trasporti e massimizzando la creazione di circuiti della conoscenza e di progetti integrati con i diversi interlocutori locali. La seconda alternativa non esclude la prima, ma concentra le risorse e le linee strategiche sullo sviluppo di sistemi virtuosi in cui il risparmio delle risorse diventa il punto essenziale dello sviluppo del territorio.


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