Welfare

A Trani, nel carcere dei clandestini

Risse fra marocchini e slavi. La quiete? Quando pregano

di Redazione

«A volte provo una pena infinita per i detenuti». È l’amara confessione del cappellano del carcere pugliese di Trani, don Raffaele Sarno, che ci introduce in una delle gattabuie più “a rischio esplosione” d’Italia: qui, su 320 detenuti, almeno cento sono stranieri, «tutti arrivati negli ultimi due anni». Soprattutto romeni, polacchi e africani: corrieri della droga, immigrati irregolari ma anche tanta gente poi non così pericolosa: «Poco tempo fa è stato condannato a un anno un ragazzo senegalese che vendeva merce griffata per strada: lui, disperato, ha tentato il suicidio lanciandosi con la testa contro un muro. L’abbiamo salvato per un pelo».
«Poi c’è la questione delle risse: italiani e stranieri sono divisi, ma tra le varie nazionalità ci sono molti conflitti, per esempio tra marocchini e slavi», continua Sarno. Molti di loro non hanno un appoggio esterno: «Il mio ruolo pastorale è oggi mutato in quello di assistente sociale: ogni giorno ho una lunga lista di persone che mi chiedono vestiti, meno male poi che ci sono i volontari e gli stessi agenti di polizia, che mi segnalano i casi più urgenti», aggiunge il cappellano. E la coesistenza tra diverse fedi religiose? «Almeno questo va bene, c’è rispetto reciproco. In occasione del Ramadan ho stampato ai 20 detenuti musulmani il calendario delle loro preghiere: hanno molto apprezzato». [D.B.]

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