Formazione

Il primo giorno c’è già un assente: si chiama Alex

L’assurda storia di discriminazione nei confronti di un bambino brasiliano adottato. Una storia che non è un’eccezione. Perché la scuola italiana tratta così i figli adottivi...

di Benedetta Verrini

è settembre e io non so ancora a quale scuola iscrivere mio figlio. Già due direttori me lo hanno rifiutato. Nessuno sembra voler venire incontro a un bambino di sette anni che è arrivato in Italia da un mese e non chiede di diventare Einstein, ma soltanto inserirsi serenamente in una classe». Antonella Parazzoli, neo-mamma di Alex, un bellissimo bambino brasiliano adottato in luglio, è davvero arrabbiata. «Dopo aver attraversato mille difficoltà per accoglierlo» continua, «ci sembra assurdo trovare proprio nella scuola un ostacolo al suo pieno inserimento». La storia di Alex è molto dolorosa. Prima che arrivassero i Parazzoli ad adottarlo, aveva vissuto l?esperienza peggiore che un bambino in istituto possa subire. L?anno precedente una coppia italo-tedesca si era presentata a prelevarlo dal suo istituto, a San Paolo, lo aveva tenuto per dieci giorni, e poi restituito. «Dopo questo trauma è stato difficilissimo conquistare la fiducia di Alex» dice Roberto, il papà. «In Brasile ci ha messi alla prova in tutti i modi, ma noi non abbiamo mollato. Ora vorrei soltanto che non dovesse più sentirsi rifiutato da nessuno. Ma forse, per certi dirigenti scolastici, è chiedere troppo». Rientrati a casa loro, a Buccinasco, i Parazzoli hanno incontrato il direttore di una scuola elementare. La loro unica esigenza era inserire Alex in una classe con orario normale, per fargli trascorrere il pomeriggio con la mamma. Richiesta negata: le classi a orario regolare, con 21 alunni, erano già al completo. «Il direttore mi ha detto che era troppo tardi, e ha sottolineato che avrei dovuto fare l?iscrizione nel gennaio scorso» racconta Antonella, «Certo, se avessi saputo che a luglio sarebbe arrivato Alex lo avrei anche fatto?». Antonella e Roberto non si sono arresi e hanno proposto l?inserimento del bambino al tempo prolungato, con la possibilità di prelevarlo all?ora di pranzo. Soluzione respinta. A detta del direttore, sarebbe rimasto indietro col programma. Scuola della competizione batte due a zero scuola dell?integrazione? «Temo proprio di sì» dice Stefania Susani, psicologa e psicoterapeuta, consulente di AiBi ed esperta di integrazione scolastica dei bambini adottivi. «Al di là delle sensibilità individuali, la scuola non ha mai preso in considerazione il problema dell?inserimento dei bambini adottivi, e la situazione si complica se ci sono anche differenze di etnia e di lingua». Tutti i minori stranieri che arrivano in Italia attraverso l?adozione internazionale ? circa 2mila all?anno ? vengono scolarizzati. Quasi tutti sono in età da scuola materna o elementare e provengono da diverse regioni del mondo. Difficile stare al passo, quando si hanno ancora problemi di lingua, di apprendimento e, a volte, di disciplina. La presenza in classe di un bambino con queste caratteristiche viene avvertita come un problema e gestita con strumenti inadeguati: «In alcune scuole i bambini adottivi vengono seguiti dal mediatore culturale, che non c?entra nulla con l?adozione e si occupa di integrazione per i bambini immigrati » continua Susani. «In altri casi, vengono ?scaricati? a un?insegnante di sostegno: altra scelta infelice, che finisce per ghettizzarli ulteriormente». Il problema si sta rivelando così urgente che la Melita Cavallo, la presidente della Commissione adozioni internazionali, recentemente ha sollevato la necessità che la Commissione venga integrata da un rappresentante del ministero della Pubblica Istruzione. Nel frattempo, è settembre. Cosa devono fare le coppie adottive che, come i Parazzoli, desiderano partire col piede giusto? «Meglio evitare di mandarli immediatamente a scuola» suggerisce la Susani, «Appena arrivati in Italia, questi bambini non hanno bisogno di socializzare subito con tutti, né di acculturarsi, ma soltanto di cementare il rapporto con la famiglia. Conviene prepararli con qualche lezione privata, e parlare della propria storia con i direttori e gli insegnanti. Se si è fortunati, saranno disponibili a personalizzare i corsi. A volte basta solo un po? di sensibilità: accogliere con pazienza un bambino senza farlo sentire un problema, ma il testimone di una storia un po? speciale».


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