Volontariato
Spiegherò il G8 con Ghandi e Capitini
Giovanni Durand, insegnante di lettere a Genova, imposterà le prime ore sulla discussione dei giorni di luglio. «Noi docenti non possiamo tacere. E io dirò...»
di Redazione
Il mio mestiere è insegnare italiano, storia ed educazione civica ai ragazzi degli istituti superiori. Oggi ne sento molto più di prima la responsabilità». Così il professor Giovanni Durand, si sfogava in una lettera inviata a Repubblica dopo gli scontri di Genova. A pochi giorni dall?inizio delle lezioni Vita è andata a chiedergli come si sta preparando al rientro in classe, all?Istituto tecnico commerciale Vittorio Emanuele II.
Vita: Professore, crede che i suoi studenti vorranno parlare dei fatti del G8?
Durand: I ragazzi hanno sensibilità diverse, ma bastano due o tre elementi vivaci in una classe perché la questione si ponga.
Vita: E se vorranno discuterne?
Durand: Ho conservato i giornali di quei giorni, anche perché la lettura dei quotidiani è una mia normale scelta didattica. Li faccio leggere in classe una volta la settimana, unendo degli esercizi di sintesi e di comparazione tra articoli scritti da testate diverse, facendo lavorare gli studenti in piccoli gruppi.
Vita: Nei compiti in classe ci saranno delle tracce sul G8?
Durand: Certamente si. Chiederò di spiegare il significato della riunione dei capi di governo e le sue finalità dal punto di vista degli Stati, mettendole a confronto con le ragioni della contestazione e i suoi fini. Chiederò un po? di approfondimento sul senso di questa esperienza.
Vita: Niente sugli scontri di piazza?
Durand: Su questo argomento proporrei un tema su come evitare la violenza. Non vorrei mai che lo studente fosse costretto a dire che negli scontri hanno avuto ragione questi o quelli, perché lo si costringerebbe ad una rozzezza manichea, il genere di schematismi che innesca la spirale di violenza.
Vita: Pensa che dal punto di vista didattico queste cose debbano essere decise da tutti gli insegnanti?
Durand: Nella scuola le decisioni collegiali sono molto difficili, soprattutto quando riguardano fatti vicini e toccano tensioni ideologiche. Inoltre le assemblee studentesche convocate dai professori non hanno mai grande successo; forse perché ciò che gli studenti sono chiamati a fare per obbligo suscita in loro sempre delle intemperanze. Penso che il luogo più adatto sia la classe. Io non nascondo le mie idee agli studenti, senza farne però una bandiera, perché in questo modo propongo agli studenti di averne anche loro.
Vita: E se al rientro ci sarà il silenzio da parte degli insegnanti?
Durand: Allora potrebbe accadere che qualche ragazzo più vivace e reattivo convinca gli altri della necessità di uno sciopero, come accade quando si lasciano trascinare dagli atti emotivi. La politica è sempre un misto di ragione e passione, ma dobbiamo dire ai giovani di non confondere la passione con l?emotività. Come educatori dobbiamo ricondurre le passioni al pensiero e all?approfondimento delle questioni.
Vita: Lei come pensa di farlo?
Durand: Per il nuovo anno ho messo a punto un programma diviso in tre unità didattiche. Delle brevi schede sulla storia del pensiero politico, e un dizionario ragionato della terminologia politica: destra, sinistra, trasformismo e tutte quelle parole sul cui significato credo i ragazzi si orientino poco, fatto che non li aiuta a seguire i dibattiti politici. Il terzo strumento è più complicato. Si tratta di una specie di sommario delle questioni aperte sullo scenario politico nazionale e internazionale, i nodi che dividono le varie forze politiche e sociali. Inoltre avrò da seguire la classe che si diploma con specializzazione in informatica e che già dall?anno scorso aveva preparato un lavoro multimediale sul G8.
Vita: E come letture?
Durand: Ai più giovani assegno sempre Politica per mio figlio di Savater. Con le altre classi leggiamo L?Altruismo e la morale di Alberoni e Veca, o anche I Doveri dell?uomo di Mazzini. Ma quest?anno aggiungerò opere di Ghandi e del purtroppo inascoltato Aldo Capitini, perché credo che la non violenza sia oggi il solo strumento per conquistarci un nuovo spazio di partecipazione politica.
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