Non profit
Oltre al socio-sanitario c’è di più
I numeri del settore fra recessione e innovazione
di Redazione
Mai come in queste ultime settimane ci sarebbe bisogno di qualche buon dato sull’impresa sociale: certo, aggiornato e possibilmente in serie storica per leggerne l’evoluzione. Proprio ora che l’impresa sociale vive un passaggio cruciale: stretta tra i tagli al suo principale settore di attività (il welfare socio- assistenziale) e i tagli, pare confermati, ai vantaggi fiscali della sua principale forma giuridica (la cooperativa sociale). Dati utili non per fare lobby stando sulla difensiva, ma per rilanciare, grazie a misure sull’impatto, la crescita, l’innovazione. Quanti e chi sono i beneficiari delle attività delle imprese sociali? Cosa producono? Quanto investono in ricerca e sviluppo? Quanto fanno risparmiare alla pubblica amministrazione e a quanto ammonta il valore aggiunto sul sistema economico? E quanto contribuiscono alla dinamica del mercato del lavoro? Belle domande, alle quali però si può rispondere solo parzialmente o attraverso indagini ad hoc, spesso condotte in contesti locali e senza continuità.
A latitare sono soprattutto le fonti istituzionali. L’Istat ha chiuso il suo programma di rilevazione settoriale sulle cooperative sociali e così si rimane in fiduciosa attesa, tra qualche anno, dei dati del prossimo censimento sulle non profit. Meglio quindi rivolgersi, trattandosi d’imprese, alle Camere di commercio che da qualche tempo si stanno interessando al fenomeno. Ad esempio nell’ambito del progetto “Excelsior” che misura le tendenze dell’occupazione, sono stati pubblicati da Unioncamere alcuni volumi relativi al comparto “impresa sociale”. Comparto che comprende organizzazioni non profit di carattere produttivo: cooperative sociali ma non solo. Anche altre forme giuridiche come fondazioni, enti morali e religiosi, associazioni. In tutto circa 12mila organizzazioni che hanno costituito l’universo di riferimento per la rilevazione compiuta da Iris Network, anticipata nell’infografica, e che confluirà nel secondo rapporto sull’impresa sociale.
Si tratta tuttavia di una base dati, quella camerale, che deve essere abbondantemente rimpolpata. Mancano all’appello, ad esempio, numerose cooperative sociali (secondo altre fonti sono, solo loro, oltre 13mila) e, molto probabilmente, è necessario conteggiare migliaia di altre organizzazioni non profit con caratteristiche di impresa sociale “di fatto” in quanto producono beni e servizi in vista di obiettivi di interesse collettivo. Sì, perché dal punto di vista strettamente normativo le imprese sociali sono poche: solo qualche centinaio sono formalmente riconosciute ai sensi della nuova normativa (l. 118/05 e successivi decreti).
Se poi si dovessero sorpassare le “colonne d’Ercole” del vincolo non profit per rivolgersi a modelli emergenti di “social business” che prevedono la distribuzione degli utili pur dotandosi di una mission da impresa sociale, la cosa si farebbe ancor più complicata. Andrebbero infatti in crisi i modelli teorici dominanti, perché si sa che i fenomeni esistono ed evolvono nella misura in cui sono disponibili informazioni su di essi. Ma al di là di queste elucubrazioni, quante sono le imprese sociali in Italia? Almeno 20mila, si stima. Una risposta a stento sufficiente, considerando quanti altri indicatori servirebbero per descrivere un modello imprenditoriale che ambisce addirittura a cambiare le regole del gioco economico.
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