La Commissione Ue si sta muovendo bene sull’Evhac, il Corpo volontario europeo per gli aiuti umanitari, ma rimangono molte questioni irrisolte». Lo sostiene Luca Jahier, membro del Cese sin dal 2002, ex presidente del Comitato di monitoraggio ACP-UE (2008-2010) e presidente del Gruppo III (Attività diverse) dal 2010, con una forte esperienza sul campo degli aiuti umanitari e della cooperazione allo sviluppo. «Ritengo fondamentale la presenza di volontari europei a fianco di un volume di aiuti che è tra i primi al mondo, sia in termini di quantità che di qualità ed efficienza».
Quali sono i motivi di soddisfazione sull’evoluzione di Evhac?
È troppo presto per dare giudizi, siamo ancora in una fase sperimentale. Detto questo, posso con soddisfazione dire che la Commissione Ue si è attivata molto rapidamente per dare un volto operativo a Evhac: prima la consultazione online, poi lo studio esterno di valutazione e di orientamento, infine l’avvio di tre progetti pilota.
Quali invece i punti critici?
C’è un paradosso tra la volontà di professionalizzare il corpo volontario umanitario e l’impiego dei giovani volontari. L’idea di inviare dei giovani del servizio volontario europeo in contesti umanitari molto ostili mi sembra complicata. Rimane poi aperta la questione del tipo di volontario che si vuole utilizzare nelle operazioni umanitarie. La soluzione più logica è il ricorso a volontari locali piuttosto che europei, se non altro per motivi linguistici. Ma il problema più grosso rimane la sicurezza. Oggi non esiste una forza militare europea che possa affiancare, cioè proteggere, il corpo volontario in contesti di guerra civile.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.