Nata nel 1991 per favorire l’inserimento lavorativo dei malati psichici, Cascina Clarabella oggi dà lavoro a 200 persone impegnate nell’agriturismo, nella fattoria didattica e nella manutenzione del verde. E a loro
Sara si dedica a tempo pieno per far vivere un “sogno”Vuoi rendere sostenibile la tua impresa sociale che inserisce giovani con gravi problemi psichici? Non fare beneficenza, ognuno deve lavorare come gli altri, senza distinzioni tra malati e sani». Non c’è ricetta vincente più azzeccata dietro la sorprendente realtà di Cascina Clarabella, insieme di esperienze sociali in terra di Franciacorta, soprattutto perché a darla è Sara Vigani, 25 anni, cofondatrice “ad honorem” del consorzio bresciano e di tutto quello che sta dietro: «Avevo 5 anni quando, nel 1991, è nata la prima iniziativa di inserimento lavorativo per “matti”, ovvero la serra ad Adro, nel bresciano», spiega Sara. «I miei genitori erano amici di chi l’aveva ideata, e io ogni domenica andavo ad aiutarli. Da allora, appena terminati gli studi liceali in psicopedagogia, mi ci sono dedicata a tempo pieno».
Cos’è oggi Cascina Clarabella?
Un insieme di tre cooperative sociali e una fondazione che dà lavoro a 200 persone, di cui almeno 67 degli assunti sono pazienti con forti problemi psichiatrici: lavorano soprattutto nella cooperativa agricola, nella coop che si occupa di manutenzione del verde, nella fattoria didattica e nell’agriturismo. C’è stato un boom improvviso, se si pensa che meno di cinque anni fa eravamo in 30: da quel momento da una parte è cresciuto il lavoro nell’agricoltura, dall’altra in convenzione con gli enti pubblici abbiamo aperto tre comunità per la cura della persona, in cui ci sono 45 utenti e 50 operatori.
Ha funzionato bene dall’inizio?
No, nel senso che l’ottima idea di partenza non si è tradotta in un lavoro che permetteva l’autosostenibilità. Questo perché all’inizio i promotori del progetto erano psichiatri, ovvero persone molto brave a fare il proprio lavoro ma non esperti in conduzione d’azienda: a metà anni 90, pochi anni dopo la nascita, la serra rischiava di chiudere. Meno male che in quei tempi è arrivato un promotore finanziario stanco del proprio lavoro, Claudio Vavassori, che ha rilanciato Clarabella (che allora si chiamava solo cooperativa Isparo, acronimo delle zone di Iseo, Palazzolo e Rovato, ndr) rendendola sempre più produttiva. La serra è stata chiusa, ma nel 2000 abbiamo ottenuto un’area bonificata tra Cortefranca e Iseo, luogo in cui abbiamo fatto partire i lavori agricoli e che ancora oggi è il fulcro della nostra realtà.
Tu allora avevi 14 anni. Cosa ti spingeva ad andare ad aiutare?
L’enorme passione che vedevo nelle persone che stavano realizzando il “sogno” di Clarabella. Mi sentivo davvero a casa: c’era sempre qualcosa di interessante e utile da fare. Quando ho finito gli studi ci sono andata più spesso, legandomi soprattutto a una signora che stava progettando l’agriturismo: nel 2006 è salita al cielo all’improvviso, io mi sono sentita di portare avanti il suo lavoro. Oggi, oltre all’agriturismo, che ha 25 posti letto e in cui lavorano dieci operatori di cui otto pazienti, gestisco anche la fattoria didattica per le scuole. E ho in mente la creazione del primo agri-nido della zona, un asilo inserito appieno nel mondo contadino.
Cosa serve per rendere l’esperienza un vero e proprio business sociale?
In primo luogo una visione economica netta: se a due-tre anni dall’avvio un particolare settore non sta in piedi, va chiuso e si deve puntare su altro, come è successo a noi per la serra. Inoltre, è importante avere una collaborazione assidua con gli enti pubblici: nel nostro caso, le rette dell’azienda ospedaliera contribuiscono molto al nostro sostentamento. Per quanto riguarda quel che produci, deve essere di qualità, pur cercando di contenere il prezzo: il nostro vino, ad esempio, ha il marchio Terre di Franciacorta doc, e tra i vari clienti abbiamo dieci Gas (Gruppi di acquisto solidale). Ancora, c’è la questione del rapporto con le persone con problemi psichici: mai farle sentire diverse da te. Nessuno sconto, devono lavorare tanto quanto te. È un approccio terapeutico che paga molto, perché la gente smette di chiamarli “poverini” e loro si rendono conto di valere come essere umani.
Come vedono i “matti” i cittadini della Franciacorta?
Per risponderti uso un’immagine: una delle tre comunità che gestiamo è nel centro del paese di Adro, nel Bresciano (il comune dove il sindaco leghista ha tentato di tappezzare di simboli “padani” la scuola pubblica, ndr). I 25 giovani psichici che ci vivono escono liberamente in paese per commissioni o tempo libero. Prima c’era molta preoccupazione, ora tutti li conoscono e sanno che possono vivere in modo più che dignitoso. La loro presenza ha messo in atto una vera rivoluzione culturale.
Quali sono le difficoltà con cui devi fare i conti oggi?
La crisi economica è naturalmente arrivata anche da noi, non ne siamo immuni e stiamo passando un periodo di maggiore fatica. Ma ce ne stiamo uscendo grazie all’impegno di tutti quelli, soci e non, che hanno a cuore il consorzio e quello che rappresenta sul territorio. Bisogna trovare il modo per rendere comunque la vita in Clarabella il più possibile significativa: a giudicare dalla molta forza di volontà che vedo in giro, siamo sulla strada giusta.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.