Welfare

Quando i clandestini arrivano dal cielo

di Redazione

Non arrivano solo via mare, stipati sui barconi, o via terra, nascosti nei doppi fondi dei tir. A volte gli immigrati clandestini che utilizzano canali irregolari per entrare in Europa tentano di passare le frontiere per via aerea. «Anche se il fenomeno ha numeri ancora contenuti, ha comportato negli ultimi anni una crescita della complessità di gestione per gli enti aeroportuali: un compito difficile ma necessario», commenta Paola Monzini, una delle coordinatrici della prima ricerca dedicata a pratiche e buone prassi nei controlli sull’immigrazione irregolare negli aeroporti di Milano, Malpensa e Linate (“La Sea – Aeroporti di Milano e i controlli sull’immigrazione irregolare”).
Realizzato con due mesi di lavoro “sul campo” tra il dicembre 2009 e il gennaio 2010, lo studio ha verificato come le forze di polizia e l’organizzazione dei due scali milanesi abbiano messo insieme le energie per organizzare i controlli, da una parte rispettando i diritti umani e dall’altra senza creare troppi problemi alle migliaia di passeggeri in transito.
«Un sistema che nel complesso funziona bene e riesce a dare risposte adeguate e articolate», sottolinea Monzini.
Oggi in aeroporto non solo avviene il controllo di frontiera per l’immigrazione irregolare ma anche per chi è destinato all’espulsione e per coloro che vengono riammessi forzatamente nel territorio nazionale. Per far fronte a tutto ciò a Malpensa è stato realizzato un sistema di pronta accoglienza nei confronti di chi chiede asilo politico che ha condotto alla creazione di una filiera per assistere e ospitare i migranti all’interno di una rete organizzativa che parte dall’aeroporto (mediante lo Sportello immigrazione e asilo) e si irradia nel territorio circostante attraverso le strutture di accoglienza di primo e secondo grado.
«Molto più problematico è gestire invece la situazione dei ritorni forzati da altri Paesi europei in base al regolamento Dublino 2, che si applica a chi ha richiesto asilo in Italia ma poi si è spostato in altri Paesi senza aspettare la conclusione dell’iter burocratico. In questo caso l’aeroporto diventa il collettore dei ritorni forzati e il sistema di assistenza, non essendo istituzionalizzato, è ancora carente».
«Occorrerebbe», conclude Paola Monzini, organizzare dei tavoli di coordinamento con linee guida più precise incrementando anche il ruolo dei mediatori culturali». [M.M.]

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