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Sono un punk contadino. Ogni tanto scendo a valle e vendo canzoni

Giovanni Lindo Ferretti

di Giorgio Tonelli

Antagonista, sovietico, ratzingheriano, libertario, antiabortista, mistico. O forse solo «montanaro». Quello di Giovanni Lindo Ferretti, “papà” del punk italiano, è un percorso a zig zag attraverso la vita, «dono meraviglioso». Che ora, dopo anni di silenzio, lo riporta sul palcoLasciato alle spalle «un tumore grande come un cd», reduce da cento battaglie non solo politico-generazionali e dopo aver scritto un paio di buoni libri, Giovanni Lindo Ferretti da qualche mese è tornato sui grandi palchi, dopo anni di sostanziale inattività musicale. L’ex cantante punk dei CCCP Fedeli alla linea, ora vive quasi da eremita a Cerreto Alpi, nel “suo” Appennino reggiano: assiste la mamma anziana, scrive, compone musica, collabora con la Comunità montana e le associazioni culturali locali e alleva i suoi cavalli. Da febbraio è in tour permanente su e giù per l’Italia, accompagnato da due ex Ustmamò: Ezio Bonicelli (violino e chitarra acustica) e Luca Alfonso Rossi (chitarra elettrica e basso). Ferretti la definisce «una piccola ensemble di montanari del crinale». Dovevano far solo nove tappe, poi il tam tam si è esteso e il concerto A cuor contento si prolungherà per tutta l’estate.
In pochi mesi sono usciti ben tre libri sull’esperienza dei CCCP e su di te in particolare, e ai tuoi concerti c’è il pienone. Come te lo spieghi?
Non me lo spiego. Anzi, mi stupisco. Forse succede perché siamo stati un’esperienza particolare e significativa. Noi abbiamo messo in scena un disagio giovanile vero, non abbiamo fatto finta di fare un gruppo che suonava all’inglese o all’americana. Facevamo un punk filosovietico-musica melodica emiliana. E non lo facevamo neanche molto bene. Ma era una storia vera, che è stata adottata da moltissima gente.
Oggi i CCCP non ci sono più, ma il malessere giovanile resta. Chi lo canta?
Non saprei. Non ascolto musica, non vado ai concerti. So cantare solo le mie canzoni. Non è più il mio mondo, quello della musica.
Perché sei tornato sul palco?
Perché ho bisogno di lavorare. E hanno bisogno i miei musicisti e i miei tecnici. Se io faccio concerti vuol dire che ci sono sei famiglie che hanno uno stipendio. E, di questi tempi, non è qualcosa da buttar via. Poi c’è un’altro motivo: ho bisogno di respirare un po’ di aria, perché da tre anni e mezzo vivo in una camera da letto, accanto alla mia mamma malata. Visto che adesso, forse, me lo posso permettere, ho detto: andiamo. Un po’ come i miei nonni, che ogni tanto dovevano scendere in pianura per vendere il formaggio e le bestie. E quando c’è la transumanza, i montanari devono andarsi a guadagnare il pane da un’altra parte. Così continuiamo a fare quel che abbiamo sempre fatto…
Il titolo del concerto è A cuor contento. Ma c’è qualcosa per cui essere contenti?
L’ho chiamato così pensando al detto “Cuor contento il Ciel l’aiuta”. Siccome il Cielo mi sta aiutando, da parte mia ci metto il cuor contento. E poi, perché non essere contenti? Siamo vivi. Abbastanza sani. Abbiamo degli splendidi giorni di sole…. È il mistero della vita. Sono ben pochi i momenti nella storia dell’umanità in cui non si deve essere contenti. E poi io sono sempre, per quanto vecchio, un punkettone: quando tutti si lamentano e sono disperati, io sorrido. Quando tutti sorridono, io tiro fuori il lato disperante della vita.
Ancora punk, a 57 anni. Che ricordi hai del primo disco inciso dai CCCP a Bologna alla Punk Attack?
Eravamo in un buco, sottoterra, sulla via Emilia, verso Modena. Con Ignazio Orlando, grande musicista con altre sonorità nella testa, che non sopportava i CCCP e mi disse: «Ferretti, ti prego, non suonare questa canzone perché sarà la tua rovina». Era Emilia Paranoica. Gli risposi: «Orlando, ognuno deve pensare a sé. Questa canzone credo che sarà la mia fortuna». Ricordo che andavamo a mangiare alla Camst perché eravamo poverissimi. Non potevamo nemmeno permetterci un pasto completo…
Oggi canti: «…certo le circostanze non sono favorevoli…».
Io lo dico musicalmente, però mi sembra evidente che le “circostanze” oggi non sono proprio favorevoli.
Però aggiungi: «e quando mai…».
In realtà è molto difficile che le circostanze siano favorevoli. Io, che sono molto chiuso nella mia piccola esperienza di montanaro, so bene che tutti coloro che sono vissuti prima di me, nella mia famiglia, hanno attraversato circostanze “non favorevoli”. Anzi, decisamente disgraziate. E comunque a noi poveri nessuno regala mai niente.
Però, il cuore resta “contento”.
Perché ringrazio Dio tutte le mattine di essere vivo. Perché io non so cosa ci sia d’altro, e per quanto ci sia! Però la vita è un dono meraviglioso. Me lo ha insegnato gente che ha patito la fame, la guerra e la miseria, e che comunque ha sempre pensato che la vita fosse un dono.

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