È a capo di una delle più antiche aziende calabresi.
Ha detto no alla ?ndrangheta e per rispondere alle intimidazioni, anziché fuggire, ha fondato “Io resto
in Calabria”. Una rete di imprenditori che dimostra come sia possibile fare il proprio mestiere senza compromessiPippo Callipo vive tra Pizzo Calabro e Tropea. Suo malgrado è diventato famoso, più che per i suoi prodotti, per la strenua resistenza a ?ndrangheta e criminalità organizzata che in quel territorio sono una costante quotidiana. Già proprietario della “Callipo Group”, gruppo societario formato da sei aziende, rappresenta la quarta generazione dei Callipo che dal 1913 si sono succeduti alla guida della spa di famiglia. Dal 2001 al 2006 è stato presidente della Confindustria calabrese, e in quegli anni il fatto di non scendere mai a patti con un “contesto”, direbbe qualcuno, che tanti patti li chiede, è una cosa che non dev’essere piaciuta. Per rispondere alle intimidazioni delle mafie varie, non si è chiuso in un bunker, ma ha dato vita a un’associazione – “Io resto in Calabria” – con cui cerca di mettere in rete coloro che non si vogliono arrendere al malaffare. Un’esperienza che fa dell’esempio virtuoso per i giovani il proprio fiore all’occhiello. E mostra come si possa fare impresa in Calabria e al contempo combattere il crimine organizzato.
Partiamo dall’inizio. Che cos’è “Io resto in Calabria”?
Il nome nasce da un’intervista che ho rilasciato subito dopo l’attentato che ho subito. Un giornalista mi chiese: «Presidente, allora se ne va anche lei?». No, risposi, io resto in Calabria. Non solo, dissi di avere in testa due nuove progetti, da realizzare sempre in Calabria, altro che scappare. E che oggi sono realtà: Callipo Gelateria, che produce gelato semiartigianale, e Popilia Resort, che si occupa di turismo.
In cosa è consistito l’attentato?
È stata un’intimidazione. Hanno sparato sei colpi di pistola contro il portone d’ingresso dello stabilimento dove lavoriamo il tonno.
Cosa vuole fare l’associazione?
L’associazione “Io resto in Calabria” ha uno scopo sociale difficile da sintetizzare. Proviamo così: coinvolgendo i giovani, vorremmo cambiare il sistema clientelare e di comparaggio tipico di questo territorio. Il messaggio che vogliamo far passare è chiaro: non ci arrendiamo. Bisogna combattere, facendo riferimento sempre alle istituzioni e rispettando le regole. Certo è una sfida complessa, ci vuole coraggio. Troppo facile abbandonare la propria terra andando a investire fuori, come hanno fatto in tanti. Per carità, non li critico, ma a tutti dico: adesso il modo di restare c’è.
La sua azienda è quasi centenaria. Cosa significa portare avanti un’impresa per così tanto tempo in questa situazione?
Vuol dire combattere ogni giorno non solo con i problemi della normale gestione societaria, ma anche con tanti “condizionamenti ambientali”. Quando si viene avvicinati da qualcuno che offre scorciatoie, bisogna mettersi di traverso e denunciare, subito. È una posizione che paga. Perché si diventa forti e credibili. Si diventa esempi da seguire. Certo, si vive stando all’erta, non si avrà più una vita completamente “libera”. Ma c’è la soddisfazione di dire: «Io non ho ceduto alla ?ndrangheta».
L’associazione ha proposto il primo Calabria Day. Di che cosa si tratta?
È un’occasione per mettere insieme aziende virtuose che vivono nella legalità e che danno un esempio positivo. Il messaggio è semplice e rivolto soprattutto ai giovani: in Calabria si può. Si può fare impresa, farlo bene e ottenere anche utili. Rispettando la legge e il lavoro dei dipendenti. Speriamo si riesca ad avviare un network di realtà positive. Vogliamo tornare alla meritocrazia. Qui va avanti solo il figlio della comare, l’amico dell’amico e il parente di quello che conta. Così i calabresi che valgono rimangono tagliati fuori.
E che riscontro ha avuto?
Un successo grandissimo. Sala gremita, mille persone. Studenti, professori, imprenditori e professionisti. Tra le autorità presenti, quello che ho apprezzato più di tutti è stato il procuratore aggiunto alla Direzione antimafia di Reggio Calabria, Michele Prestipino. Una gratificazione enorme averlo lì.
Perché è così importante dare un esempio?
È fondamentale. I giovani non ne possono più di sentirsi dire cosa bisogna fare, e come. I ragazzi vogliono vedere i fatti.
È vero che lei ritiene l’opposizione alla mafia una forma di “responsabilità sociale d’azienda”?
Certo. Quello di fra fronte alla ?ndrangheta, ai suoi favori e alle facilitazioni deve cominciare ad essere la prima responsabilità per ogni imprenditore, quaggiù. Affiliandosi non si hanno problemi, la vita diventa subito più facile: niente controversie o problemi economici. Ma sei una pedina, sei succube. Si diventa prenditori, non più imprenditori. Con la violenza il mafioso, ad esempio, permette di non avere vertenze sindacali. Ma significa anche, nel contempo, l’assoluta mancanza di sicurezza del e sul lavoro.
Questa presa di posizione però è rischiosa. Perché rischiare, rischiare addirittura la vita?
Per amore. Io sono innamorato della Calabria.
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