Non profit
I politici smettano di giocare in difesa
Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà
di Redazione
Nel 2001 la sussidiarietà entra in Costituzione. L’anno dopo il professor Giorgio Vittadini, una delle storiche teste pensanti della Compagnia delle Opere, vara la Fondazione per la sussidiarietà. Passano ancora dodici mesi ed ecco esordire, sempre nell’alveo della Fondazione, la Scuola di sussidiarietà, a cui fin da subito partecipano politici (lo spin off parlamentare sarà il cosiddetto Intergruppo per la sussidiarietà) e nel 2008 ilsussidiario.net, il portale informativo che va a fare coppia con Atlantide, il quadrimestrale della fondazione che, sotto il cappello del comitato scientifico, annovera nomi pesanti di famiglie politico-culturali anche molto differenti fra loro come Luigi Campiglio, Ferruccio De Bortoli, Massimo Gaggi, Oscar Giannino, Pietro Ichino, Pierbattista Pizzaballa, Alberto Quadrio Curzio e Lester Salamon.
Da dove nasce l’esigenza di creare un pensatoio sulla sussidiarietà?
L’idea se vogliamo era molto banale: riflettere sulle esperienze in atto. Esperienze che, grazie alla rete della Compagnia delle opere, già da anni avevamo imparato a conoscere, ma che con l’inizio della crisi del welfare state stavano diventando di un’attualità sorprendente. Uno schema, questo, che rifiutava la consequenzialità: tot risorse uguale tot risultati.
Di che esperienze si tratta?
Nell’alveo della Cdo ho visto nascere tante realtà impegnate sulla formazione professionale. Poi è nato il Banco alimentare. Poi è nata una fitta rete di medie imprese. Poi è arrivata l’Avsi con i suoi progetti di sviluppo internazionale. Cosa dicono queste esperienze sul welfare? Sono in grado di cambiare il paradigma? Noi ci siamo presi in carico di rispondere a questi interrogativi.
Qual è stata la prima iniziativa?
La Scuola di sussidiarietà, in cui abbiamo coinvolto anche i politici per vedere che cosa significasse davvero quel principio declinato nel concreto sui vari temi: sanità, assistenza e socialità. Contemporaneamente abbiamo lanciato anche le Scuola d’impresa (per Pmi e sociale). Anche qui volevamo osservare, esperienze alla mano, cosa significasse abbandonare l’idea di impresa intesa come massimizzazione del profitto e dell’utile individuale. Poi abbiamo cominciato a redigere il rapporto annuale in cui mettiamo a fuoco un tema. L’anno scorso abbiamo indagato l’istruzione e la formazione professionale. Quest’anno andiamo sulla città sussidiaria. Proveremo a dimostrare che un cittadino partendo dal basso e mettendosi insieme può modificare le cose. Anche qui: lavoreremo per esperienze, non solo pertinenti alla nostra rete (per esempio il “Bosco in città” a Milano) e non per assiomi precostituiti. Poi abbiamo cominciato a scrivere dei libri in collaborazione con l’editore Guerini & Associati. Infine abbiamo fatto nascere il periodico quadrimestrale Atlantide e il sito di informazioni ilsussidiario.net, in modo che questo nuovo pensiero, queste discontinuità potessero venir veicolate non solo nei circuiti accademici, ma anche con strumenti più alla portata dei giovani.
In questo senso il rapporto con la politica ha funzionato bene?
Qualche risultato l’abbiamo portato a casa: il 5 per mille (suggerito a Tremonti dall’attuale vicepresidente della fondazione, Luca Antonini), la “dote” in Lombardia e alcune politiche attive sul lavoro extra legge Biagi. Ma è anche vero che non ho mai trovato un politico che ti dicesse in faccia che la sussidiarietà è una cazzata. Poi però ne ho trovati pochi che cambiano le linee politiche.
In che senso?
L’Intergruppo culturalmente si è dimostrato fortissimo, ma politicamente è fragile. È stato utile in chiave di difesa, laddove erano messe in discussione certe conquiste, ma non ha saputo essere propositivo cambiando il paradigma degli schieramenti. Le faccio un esempio: nonostante Berlusconi parli sempre dei finanziamenti alle scuole private, i suoi governi si sono distinti per i tagli. E l’Intergruppo è servito semmai a contenere la diminuzione dei contributi, non certo a invertire la rotta e a mettersi di traverso.
Fra dieci anni esisterà ancora la Fondazione per la sussidiarietà?
Questo è uno strumento, leggero (in tutto, compresa la redazione del sito, siamo in 13/14) e al servizio di un’idea. Se fra dieci anni sarà ancora utile, ci saremo ancora. Se invece ci accorgeremo che sarà necessario cambiare strumento, penseremo ad altre strade.
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