Non profit

Aiutando gli anziani soli aiuto soprattutto me

Giovanni Scarpaci - Auser

di Maurizio Regosa

Li accompagna a fare la spesa, in banca, in posta, dal medico 7 giorni su 7, domenica compresa. Sua moglie a volte reclama un po’, ma Giovanni ha trovato la sua vera ragione di vita. E ha superato il disagio provato andando in pensioneQuando è andato in pensione, il 30 giugno 2001, Giovanni Scarpaci – una vita in officina, prima all’Italsider e poi all’Ilva di Taranto – è andato in spiaggia. «Mi sentivo come se avessi vinto al Lotto. Erano anni che non facevo mare. Così decisi di regalarmi luglio e agosto sulle rive dello Ionio». Poi a inizio settembre, Giovanni (all’epoca aveva 53 anni) si è posto il problema di come occupare il tempo libero: «Non sapevo bene cosa fare. Per fortuna ho trovato un volantino dell’Auser, a una festa dell’Unità. “Cerchiamo il volontario che è in te”, diceva».
Quindi?
Ho deciso di andare nella sede cittadina per prendere informazioni. La presidente mi ha spiegato cosa faceva l’associazione. Cosa avrei potuto fare io. E così ho deciso di iniziare quest’avventura. Che è partita in modo veramente inaspettato.
Quale?
Stavano organizzando una recita per raccogliere fondi. Così mi sono trovato a recitare in pubblico. Un diversivo vero. Una cosa differente da quella che avevo fatto tutta la vita: ho lavorato come motorista per tanti anni… Una vita sporca di grasso, di olio.
E conclusa la recita?
Ho iniziato subito a fare il volontario, dopo aver partecipato a un corso di formazione. Ci hanno spiegato come si risponde al telefono, come si parla alle persone. La dote dell’ascolto, che poi è la cosa principale, l’avevo già. L’avevo capito quando mio padre aveva bisogno di parlare, di raccontarsi. Era operaio della Marina militare, è morto nel 1999. In Auser la prima esperienza fu di andare a trovare una persona completamente sola, una vedova. Mi accolse dicendomi: «Finalmente vedo una faccia di cristiano». Stava intere giornate sola in casa. Siamo ancora amici, quando lei chiama al centro chiede di me.
Oggi di che cosa si occupa?
Sempre del Filo d’argento di Taranto. Prendo in macchina le persone e le porto a fare la spesa, negli uffici, dal medico. E coordino il servizio, che è svolto da 12 volontari. Con la macchina siamo in pochi. L’associazione ha solo un pulmino in comodato d’uso. Con quello, una volta alla settimana, portiamo gli anziani a fare la spesa.
Quanto tempo dedica a questa attività?
Dalla mattina alla sera, tutti i giorni. Anche la domenica.
È molto impegnativa…
Ogni tanto dico: «Son stanco, mi devo riposare», ma poi mi chiedo: «E cosa mi metto a fare?».
Fare volontariato serve anche a lei…
È una sorta di auto-aiuto. Quando sono andato all’Auser la prima volta, nel 2001, mi sentivo solo, isolato. Ero arrivato al punto di non uscire più di casa perché mi sentivo osservato. Un disagio subentrato in me dopo la pensione. Negli ultimi anni, all’Ilva, svolgevo una mansione che mi metteva in contatto con tantissima gente. Poi tutto era finito. Con gli ex colleghi ci sentivamo, ma non era più la stessa cosa…
Così si è buttato sul volontariato.
Più cose ho da fare, meglio è. A volte sto fuori dalla mattina alla sera.
E sua moglie?
Si lamenta perché la trascuro.
Come organizza il coordinamento?
Con una bacheca dove scrivo i turni settimanali. Ciascuno dà la sua disponibilità.
Quante persone riuscite a seguire?
Gli habitué sono una ventina. Regolarmente portiamo a casa le medicine oppure li accompagniamo a fare la spesa, in banca, in posta, dal medico. In tutto seguiamo un centinaio di persone la settimana. Ovviamente senza chiederci se sono o meno associate. Come sede provinciale abbiamo 255 tesserati.
Guardandosi indietro, qual è l’incontro più significativo?
Due anni fa a Taranto c’è stata carenza di acqua potabile. Io la portavo con i bidoni alle persone. Mi è capitato di andare diverse volte da un signore anziano e malato. Abitava in un palazzo di cinque piani senza ascensore e respirava con la bombola dell’ossigeno. Ogni volta per lui era una festa: era ridiventato bambino. Avrà avuto una settantina d’anni. Aveva bisogno di questo contatto umano. Per una persona che sta sola, incontrare un altro essere umano disponibile ad ascoltarla, è una grande cosa.
Che bilancio fa di questi dieci anni?
Sono fiero di far parte dell’Auser. Molti mi chiamano Giovanni Auser. E a me va bene così. È stata un’esperienza ricca di soddisfazioni. Ci sono anche bei momenti comuni. Quando facciamo i gemellaggi con le altre province, si mangia insieme, si balla, si fa festa.
Che consigli darebbe al presidente nazionale?
Gli direi che oggi come oggi c’è bisogno di più fondi. E poi il rimborso al volontario, 0,25 centesimi al km, sono un po’ pochi…


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