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Che razza di coraggio quel pazzo di Antoni Gaudì

Luca Doninelli

di Redazione

Il primo sentimento dell’uomo moderno – e pacificato fino all’ovvietà, fino alla totale banalità, nella certezza del proprio essere moderno – che muove i suoi passi sotto le torri della Sagrada Familia, è quello di un divertito stupore, solo leggermente infastidito dal vacillare del proprio sentimento di superiorità.
L’uomo in questi anni sente – è sufficiente solo un istante di sincerità – di non avere qualcosa che Gaudì, viceversa, aveva in abbondanza. Guarda un po’ che razza di coraggio ha avuto questo pazzo. Pazzo, certo, e demente anche, e ingenuo – tra l’altro è noto che l’ingenuità produce coraggio – ma con un ardimento che oltrepassa sempre di un filo la sua imbecillità. Non è difficile vedere in Gaudì un imbecille di talento, tanto è forte il sentimento di invincibilità che ogni autentica mediocrità infonde nei suoi adepti: però, a differenza di tanti altri imbecilli di talento, qui il talento appare eccessivo. Il coraggio acquista una sua sconcertante misura, si nutre di calcoli esatti, frequenta millimetri con una familiarità che insospettisce.
La sua capacità di osare appare troppo grande, e al tempo stesso stranamente quieta, come se una strana normalità, una strana ferialità, quotidianità circolasse tra queste arditezze. Il coraggio di Gaudì è un coraggio quotidiano, non è fatto d’altra materia che questa: il nostro quotidiano coraggio, il nostro quotidiano pane. Studia le sue soluzioni, ed ecco che d’un tratto non appariranno più stravaganti, bensì naturali, in accordo con quella che resta la sola, interessante definizione dell’arte che l’umanità abbia saputo produrre: imitazione della natura.

Questo brano è tratto da Cattedrali, l’ultimo
libro di Luca Doninelli, edito da Garzanti

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