Cultura

Sono partito per nostalgia e ho sfiorato la balena

di Redazione

Con “Marinai, profeti e balene” ha scritto la sua “Marina Commedia”.
Versione in musica (con una ciurma di collaborazioni celebri, su tutti Antonis Xylouris “Psrantonis”) dell’errare senza fine che è la sua vita. Quella
di un Ulisse che ha terrore del mareDiciannove pezzi, novanta minuti di musica. Un fiume di citazioni e riferimenti, un doppio cd registrato tra Creta, Milano, Berlino e una tournée appena avviata, per un lavoro che lui stesso ha definito “omerico”, “ciclopico”, quasi una “Marina Commedia”. Sforzo e impegno profusi da Vinicio Capossela per portare in porto Marinai, profeti e balene, sua ultima avventura artistico-musicale.
Come è nata questa impresa un po’ folle?
La salvezza arriva proprio nel punto in cui massimo è il pericolo. Questo ci insegna il mare. E anche in quest’ultima “impresa” è stato il mare a guidarci. Io sono un uomo di terra, ma ossessionato dal mare. Dai viaggi, dalla nostalgia, dal ritorno, dal suo immaginario grande, quasi incontenibile come il corpo una balena. Una balena è qualcosa di enorme, ma ci passa accanto in silenzio, diremmo con discrezione. Spesso ci accorgiamo del suo passaggio solo quando la coda affiora dall’acqua, ma è tardi, è sempre troppo tardi. Appena voltiamo lo sguardo, la balena è già andata via. Il mare è questo insieme di mistero e terrore, di attesa e di speranza, di quotidianità e fatica. Di bellezza e di vita.
Il viaggio è una costante nei suoi lavori. Perché?
Perché mi chiedo sempre se sia davvero possibile un ritorno. Possiamo tornare là dove eravamo partiti? O il viaggio, ogni viaggio, non è forse proprio questo non-ritorno, questo arrivare ma sempre da un’altra parte, un errare senza fine? Si approda per ripartire, non per restare. Anche se nostalgia e ritorno hanno un’evidente radice comune nel greco nostos, questo viaggiare senza approdi certi e sicuri è esattamente quanto definisce, per me, il sentimento vitale della nostalgia. Non basta infatti far rientro a casa, per tornare davvero. Bisogna ricostruire il mondo com’era, ricomporlo pezzo per pezzo, nessuno escluso, per appagare infine quel sentimento che ha nome “nostalgia”.
«Meglio sapere o non sapere?», si domanda in uno dei brani più intensi del disco, Dimmi Tiresia, accompagnato dalla lira di Antonis Xylouris “Psrantonis”…
Anche la conoscenza è un viaggio, ma – come dico nel pezzo – è fatica il conoscere, ma fatica ancora più grande è l’essere creduti, poiché ci siamo scordati che «la conoscenza è niente senza fede». Viaggi del genere non sono necessariamente per mare, spesso anzi sono via terra, altre volte sull’onda delle parole e delle nostre fantasticherie. A volte sono viaggi attorno alla propria stanza, altre volte la nostalgia è tutta per una partenza sognata. Voglio dire che ci sono vite sbagliate e a tal punto segnate da errori irreparabili, che ogni viaggio non può che configurarsi come un viaggio senza fine o come una perdizione ancora più grande. Un non ritorno.
A volte, si parte semplicemente per fuggire.
Anche questo è umano: il commettere errori, abbandonandosi ai margini di una vita, ma consegnandosi a pieno nelle mani del proprio destino. A volte accade però che queste vite irreparabilmente “sbagliate”, proprio nel loro girare a vuoto, nel loro errare, aprano strade impreviste. Intervistato non ricordo dove, né quando, un grande alpinista disse che qualcuno deve pur andare, deve pur aprire un varco e, per farlo, deve accantonare il desiderio di tornare. Per mare accade però qualcosa di più: quella che si forma, su una barca, è una comunità di destino. Per mare non puoi mentire. Ne andrebbe della tua, ma anche della vita degli altri. Non diciamo forse che «siamo tutti sulla stessa barca»? Ma se questo è vero, è altrettanto vero che sta a noi sceglierci la barca su cui viaggiare.
Lei che barca si è scelto, per Marinai, profeti e balene?
Una barca difficile, complessa, strutturata, ma umile. E una ciurma composita, di veri amici: da Marc Ribot a Jimmy Villotti, da Greg Cohen a Antonis Xylouris “Psrantonis”, un maestro, nel senso forte della parola, che discende da una lunga tradizione di aedi. Quando suona tutti si mettono in cerchio, attorno a lui, seguendo il codice di un antico rituale. Con questi amici ho studiato, progettato, rischiato anche. Perché per questa produzione abbiamo azzardato molto, non solo “musicalmente”. La distribuzione è Warner, ma realizzazione e produzione sono tutte nostre, della nostra piccola casa La Cùpa. È un lavoro corale, di comunità.
Come funziona la sua “officina”?
Io rimango molto tempo senza scrivere, non sono autore da un pezzo solo. Mi risulta più facile comporre 8-10 pezzi che, inevitabilmente, saranno legati da un filo comune. Comporre a “blocchi” mi serve anche per dare un senso più compiuto alla cosa. Oggi, la musica la trovi ovunque, la scarichi, la senti, ma la sua “materialità” si perde. Perciò è necessario si associ a un oggetto. Può essere un vinile o un cd particolarmente curato in quella che, un po’ svilendo il lavoro di tanti, chiamiamo “confezione”. Proprio per tornare alle cose, per dare un peso alla materia di cui, volenti o no, ci nutriamo, nell’ultimo lavoro, Marinai, profeti e balene, abbiamo scelto una confezione particolarmente curata, qualcosa che ricordi un libretto, con una cura particolare nella grafica, nella scelta del carattere, del materiale e dei particolari.
Quanto c’è di letterario, e quanto di vita vissuta, in questo viaggio?
I miei non sono viaggi autobiografici, ma nemmeno di pura fantasia. È vero, sono molti i riferimenti letterari nei miei testi, a volte espliciti, altri no, ma se proprio devo confessarlo, confesso di non avere mai letto un libro dall’inizio alla fine. Credo non esista lettore più caotico di me. I libri mi danno la spinta, sono come la chiave di qualcosa che non conosci bene. Puoi aprire una porta, puoi non trovare mai quella porta, ma se quella chiave serve per avviare un motore ecco che puoi partire. Viaggiare, appunto. Nel caso di Marinai, profeti e balene oltre a tutte le letture, dalla Bibbia a Moby Dick, da Céline a Dante, direi che ha agito come leva potente l’Odissea. Quella vista in tv da ragazzo, con Bekim Fehmiu nei panni di Ulisse.
Proprio a Fehmiu lei ha dedicato Marinai, profeti e balene.
Mi ha colpito, questo Ulisse senza ritorno che, nemmeno un anno fa, si è tolto la vita, nella sua casa di Belgrado. Bekim Fehmiu era di origine albanese, prima di morire lasciò scritto: «La guerra in Kosovo è l’ultimo atto di un’aggressione iniziata con la prima guerra imperialista della storia, la Guerra di Troia». Che dire, oggi, alle soglie di un’altra guerra? A volte i profeti hanno voci umili, gentili. A volte pronunciano a voce bassa strabilianti verità, e poi partono. Buon viaggio, Bekim! Mi mancherai.

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