Politica

Snob e noiosetta, ma questa è la mia città dei sogni

Randa Ghazy, scrittrice italo-egiziana: «Milano rimane comunque il mio "place to be"

di Redazione

The place to be. Così si direbbe in inglese. Ma Milano è il place to be? La città un po’ cool, all’avanguardia, che lancia mode e dettami, sprigiona energia propositiva e lubrifica i meccanismi che permettono ad una regione, un paese, un’intera nazione, di esprimere un’identità ed essere competitiva, al passo con gli altri..?
Beh, Milano è stata il mio place to be. Avevo quindici anni, vivevo in provincia, frequentavo un liceo classico “pettinato”, insomma conducevo una normale vita da adolescente di seconda generazione. Ma Milano è la capitale dell’editoria. E la cultura e le idee circolano. Quanto più la città ti sembra immobile e sempre uguale a se stessa, poco audace, un covo di matti sempre di fretta anche se non si capisce dove stiano andando, e anche se questo non basta certo a renderli campioni europei di efficienza? ecco, quanto più tutto ciò ti sembra ridicolo, tanto più l’eccellenza si fa strada a spintoni, e dice la sua, in modo semplice e statico. Destinata però a durare, granitica.

La prima telefonata
«Vuoi scrivere un libro?» «Come scusi?» «Ti ho chiesto se vuoi scrivere un romanzo?» «Uno vero? Un libro mio, intende?» «Sì, un libro tuo». In quella città che a me sembrava sempre uguale a se stessa, e grigia, tristemente indifferente al resto dell’universo, al conflitto palestinese, alla fame nel mondo, al famigerato “scontro di civiltà”, ai grandi stravolgimenti mondiali? una talent-scout della Fabbri mi chiama e mi dice «ehi tu, realizza il tuo sogno». E così realizzo il mio sogno. Esce il mio primo romanzo. Poi il secondo, poi il terzo.
E mi arrabbio, e di questa città “pettinata” prendo in giro tutto, anche se nella sua provincia sono nata e anche se poi, dopo le lunghe “ubriacature” di Alessandria d’Egitto che i miei genitori mi regalavano ogni estate, tornavo sempre con l’occhio un po’ ammirato per il suo efficiente immobilismo e la sua placida presunta superiorità. A Milano ricevi telefonate, e poi possibilità. Non sempre, ma c’è spazio, tanto, per chi ha voglia di cambiare o di inventarsi qualcosa. I designer prendono vecchi oggetti della nonna e creano una linea ispirata al “retrò”. Le vecchie osterie mantengono il loro nome antiquato e l’enorme frigorifero dell’anteguerra, e si vendono come “la vera cucina tradizionale” di Milano. Siamo bravissimi a reinventare il passato.

La seconda telefonata
La seconda telefonata, però, riguardava il futuro. «Vuoi venire in redazione? È un gruppo di giovani musulmani di seconda generazione. Scriviamo un giornale divertente». Mi parlano di tale idea, che insomma, alla fine perché il musulmano medio dev’essere il musone che fa kebab, o il pazzo che lotta contro i crocefissi, o un simil-talebano? Ci sono milanesi di seconda generazione che c’avrebbero un paio di cosette da dire. E quindi nasce Yalla Italia. A Milano. Questa, a modo suo, è l’avanguardia. Non aspettiamo che le cose cambino, in negativo. Siamo qua a fare i protagonisti, di questa città un po’ snob e noiosetta, che amiamo proprio com’è, e che ci appartiene. Siamo giovani, e siamo orgogliosamente diversi.
Che Milano continui a lasciarci spazi, nobili, per esprimerci. E se no ce li prendiamo. Ve l’ho detto, qui le idee circolano, e si trasformano in fatti, e i fatti circolano ed ecco che in un baleno si è realizzato un sogno. E se lo è, che Milano rimanga il place to be. Si possono realizzare sogni anche all’estero, ma noi li vogliamo realizzare qui.


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