È il miglior giocatore europeo 2010 di wheelchair hockey. E, alla faccia delle sue ossa di cristallo che lo costringono in carrozzina, è il trascinatore degli Sharksdi Monza. Finendo pure nel cast del film di Ligabue, e togliendosi lo sfizio di rispondere così allo “Special One”…Il bomber che non t’aspetti ha le ossa di cristallo e si muove in carrozzina.
Si chiama Mattia Muratore, ha 27 anni e vive con i genitori e due fratelli ad Arcore, provincia di Monza e Brianza. È lui, con 37 gol in 11 gare, il capocannoniere dell’ultima stagione del campionato italiano di Wheelchair hockey, e a fine 2010 è stato nominato miglior giocatore in un torneo europeo a Praga. Ma soprattutto è grazie anche al suo impegno fuori dal campo che la squadra in cui milita, gli Sharks Monza, sono una delle realtà più affermate d’Italia: «Pochi anni fa abbiamo rischiato di chiudere per mancanza di atleti e volontari; ci siamo rimboccati le maniche e siamo ripartiti da zero: da allora sono vicepresidente e vado a caccia di sponsor e collaboratori per diventare sempre più solidi», spiega Muratore.
La sua storia è quella di una persona comune colpita fin dalla nascita da una malattia assolutamente non comune: l’osteogenesi imperfetta, la “patologia delle ossa di cristallo”, arti che si rompono con un soffio: «Basta uno strappo muscolare, uno starnuto o persino uno spavento», spiega. Ma il giovane e combattivo brianzolo ha affrontato la malattia (e la paura) di petto: gioca a hockey dal 1998, sta terminando gli studi per diventare avvocato ed è un fan sfegatato di Ligabue, che segue ovunque, tanto da essere entrato da protagonista nel cast di Niente paura, il film di Piergiorgo Gay con ha la colonna sonora del musicista emiliano, dove Muratore porta l’esempio di uno sportivo “diverso”. Che lotta per far capire che lo sport è patrimonio di tutti: «Prima di essere disabili, siamo atleti», afferma.
Come fa a giocare a hockey su carrozzina con l’osteogenesi imperfetta?
È una sfida che sto vincendo. All’inizio è stata molto dura: in uno dei primi allenamenti ho rotto il braccio in un banale scontro. Ma poi ho preso le misure ed è cresciuta la fiducia nelle mie possibilità. Devo comunque stare sempre all’erta: le carrozzine elettriche che usiamo sono molto veloci, raggiungono gli 11 km/h, e l’agonismo è sempre ad alto livello: si gioca per vincere, come in ogni sport.
Come viene considerato il wheelchair hockey dalla gente?
È passato in breve tempo da sport quasi sconosciuto all’interesse di molti (lo scorso novembre i campionati mondiali si sono tenuti in Italia, ndr). Lo riscontro quando vado in cerca di fondi e sponsor. In particolare, sta passando il messaggio che non siamo un gruppetto di “sfortunati”, ma una società sportiva vera. Un esempio: il direttore della catena di supermercati Auchan di Monza ci ha dato 15mila euro a fondo perduto in cambio del logo sulle magliette; è la prima volta che accade nella nostra disciplina. È un buon segno, anche se siamo ancora lontani dai livelli delle squadre europee, i cui sponsor sono le stesse aziende ortopediche che producono le carrozzine.
Che voto dà all’accessibilità delle strutture in Italia?
Basso: il problema più grosso per il nostro sport è trovare una palestra idonea. Sembra assurdo, ma è la verità. Noi giochiamo per forza di cose nell’unica palestra accessibile di Monza, quella della scuola media Bellani. C’è un solo bagno per disabili, ma è già tanto rispetto ad altri impianti. È una questione di mentalità, che manca su più livelli: a volte ci viene contestato anche il momento del buffet di fair play a fine partita, con il pretesto che “sporchiamo la palestra”, cosa che non avviene mai grazie ai volontari che poi rimettono tutto in ordine. In generale è difficile, da disabile, far valere i propri diritti: a me, juventino, è stato negato l’accesso a una finale di Champions League nei posti riservati perché, mi è stato detto, non ero un “tifoso assiduo”. Vai a spiegare all’addetto che gli accrediti per i portatori di handicap sono la mia unica possibilità di entrare allo stadio…
Il film Niente paura e la sua amicizia con Ligabue l’hanno resa famosa…
L’aspetto più interessante della mia partecipazione al film, avvenuta dopo una selezione lanciata dal sito web ufficiale del Liga, è stato la possibilità di girare l’Italia, da Milano a Palermo, condividendo la mia esperienza con centinaia di persone. Soprattutto nelle scuole, dove vado di persona o in videoconferenza: è entusiasmante vedere tanti ragazzi interessati ai temi di impegno civile raccontati da Niente paura, così come è divertente sentirmi fare domande su Ligabue: prima e durante le riprese ho avuto modo di conoscerlo bene, è una persona speciale proprio perché è molto spontaneo, alla mano, lontano dallo stereotipo della rockstar.
È vero che durante una pausa delle riprese ha avuto un dialogo divertente con lo “special one” José Mourinho?
Sì, è stato un episodio molto buffo. Ero al ritiro dell’Inter per girare delle scene assieme a Javier Zanetti, uno dei calciatori più impegnati nel sociale. Ho incrociato Mourinho che, dopo avermi chiesto come facevo a giocare con la carrozzina sul ghiaccio («il wheelchair hockey si gioca su pista», gli ho spiegato), mi ha sfidato: «Ma sei bravo?». Io gli ho risposto a tono: «Sono il migliore, naturalmente». Scherzavo, ma lui l’ha presa sul serio e ha annuito: era la risposta che voleva sentire.
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