Welfare

Lo svuota-carceri che funziona

Meno reati e meno detenzioni: la giustizia minorile è un modello. Il primo rapporto di Antigone

di Redazione

Crollo dei carcerati, diminuzione delle denunce, leggi che funzionano e vengono applicate. C’è una parte del sistema penitenziario italiano che funziona: è quello della giustizia minorile. La cui parola d’ordine, e arma vincente, è “decarcerizzazione”. Messa alla prova o affidamento in comunità, l’importante è non rimanere chiusi dietro le sbarre di uno dei 19 Ipm (Istituti penitenziali per minori) d’Italia, che tra il 2000 e il 2009 hanno visto scendere le presenze del 35%, da 1.886 a 1.222 unità. È questo il dato più eclatante che emerge da Ragazzi dentro, il primo rapporto sulla giustizia minorile in Italia, realizzato dall’associazione Antigone che nel 2008 ha avuto l’autorizzazione ministeriale per monitorare tutte le strutture detentive per minori.
«In parallelo diminuiscono di molto anche gli ingressi nei 27 Cpa (Centri di prima accoglienza, il primo luogo dove viene portato un minorenne quando viene fermato): si passa dai 3.994 del 2000 ai 2.422 del 2009, con un calo del 60% degli stranieri», riferisce Alessio Scandurra, presidente di Antigone Toscana e membro del direttivo nazionale dell’associazione, che ha coordinato la stesura del rapporto. «Ciò significa che anche i reati sono in discesa, e che l’aumento delle pene alternative non comporta meno sicurezza».
I minori ospitati in comunità protette, ministeriali o del privato sociale, sono saliti dai 1.339 d’inizio nuovo millennio ai 2.100 del 2009. «E nel 2009 i provvedimenti di messa alla prova (periodo in cui il giovane viene valutato fuori dall’Ipm, anche attraverso lavori socialmente utili, ndr) sono stati 2.631, nel 1992 erano 788, quattro volte in meno», continua Scandurra citando i dati della ricerca di Antigone. Se durante tale periodo i minori si comportano bene, il loro reato verrà estinto: «E proprio questo è uno dei punti cruciali del Codice di procedura penale minorile, rinnovato con il dpr 448 del 1988, frutto di una rivoluzione culturale che anziché stigmatizzare vuole recuperare il minore che delinque», aggiunge Scandurra.
Perché non applicare la stessa formula vincente anche al mondo carcerario adulto, alle prese con una tremenda emergenza sovraffollamento? «I tempi sono di certo maturi per una sperimentazione. Il problema è che siamo in una stagione difficile, dove la normativa vigente è più avanzata della mentalità dell’opinione pubblica e della classe politica, che per non perdere voti parla di carcere solo in termini securitari», ragiona il coordinatore del rapporto, «per cambiare in meglio il sistema ci vuole coraggio, qualità che oggi nessun politico sembra avere».

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