Non profit
Cento milioni di attese
Parla John Macdonald, capo della task force Ue dell'Anno del volontariato
di Redazione

L’Anno europeo è chiamato a gettare le basi di un lunga sfida per il volontariato in Europa, che si giocherà soprattutto negli Stati membri». Bastano poche parole per definire una mission e i suoi obiettivi. A capo della task force istituita dalla Commissione europea per coordinare l’Anno europeo del volontariato, John Macdonald ha le idee chiare sulle opportunità – e i limiti – che si presentano nel 2011 ai 100 milioni di cittadini europei che rappresentano il mondo del volontariato Ue. «Se si trattasse di un Paese», sottolinea Macdonald, «sarebbe il più grande Stato membro dell’Unione». Un “Paese” che ha grandi attese. Il capo della task force, volontario pure lui, lo sa.
Partiamo dagli obiettivi che vi siete dati per quest’anno speciale.
Vogliamo innanzitutto facilitare l’opportunità di fare volontariato. Oggi nello spazio Ue la situazione varia da Paese a Paese, ma in parecchi Stati membri permangono degli ostacoli che creano problemi al volontario.
A cosa si riferisce?
Prendiamo il caso dei disoccupati che vogliono fare volontariato, anche per mantenere vive le loro competenze. In alcuni Paesi ciò non è possibile, perché un disoccupato deve dedicare il suo tempo alla ricerca di un lavoro, non a fare volontariato. Se decide di farlo, rischia di perdere il sussidio di disoccupazione. L’Anno europeo è un’opportunità per invitare gli Stati membri a riflettere sulla necessità di rimuovere questo genere di ostacoli. Non solo. Vogliamo anche promuovere il networking tra le associazioni, opportuno in un contesto di integrazione crescente dello spazio europeo, e lo scambio di buone pratiche, utilissimo per consentire a un’organizzazione di un Paese di capire come un’organizzazione di un altro Paese è riuscita a superare ostacoli simili ai suoi. Ultimo ma fondamentale obiettivo riguarda invece il riconoscimento del volontariato.
Cosa si intende per “riconoscimento”?
A livello macroeconomico mancano in Europa dati statistici comparabili necessari per l’elaborazione di policies a favore del volontariato e per una gestione più efficiente del settore. La domanda cruciale è: come si fa a sostenere un mondo di cui non si conoscono le reali dimensioni? Su questo fronte, ci sono varie iniziative, tra cui quella della John Hopkins University che sta collaborando con il Centro europeo per il volontariato e il Centro di servizio per il volontariato del Lazio per convincere una quindicina di Stati membri ad adottare nel 2011 il manuale di misurazione del volontariato elaborato con l'”European volunteer measurement project”.
La Commissione europea è favorevole a questo progetto?
Sì, perché risponde a uno degli obiettivi che ci siamo fissati per il 2011, cioè migliorare la comprensione del mondo del volontariato e il suo impatto sull’economia, sulla società e sull’individuo.
Il volontario resta la vittima principale di questa mancanza di riconoscimento. Cosa si può fare per porvi rimedio?
Troppo spesso le competenze e le abilità acquisite da un cittadino nel campo del volontariato non sono riconosciute, perché sono considerate forme di apprendimento effettuate in un ambiente informale. Riconoscere e dare valore ufficiale a queste forme di apprendimento è una sfida cruciale. La prossima estate la Commissione europea dovrebbe assumere una posizione ufficiale al riguardo e indicare la via per migliorare il loro riconoscimento: stiamo parlando di una possibile svolta, che potrebbe avere un impatto importante sul volontariato.
La Commissione si è anche posta l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini europei sui temi e le attività di volontariato. Per questo avete messo a disposizione 8 milioni di euro. Come verranno spesi?
Due milioni sono destinati a rafforzare dei progetti innovativi, una o due proposte per ogni Stato membro, finalizzati a favorire collaborazioni tra le organizzazioni non profit e le autorità pubbliche. Un bando è stato lanciato nell’autunno scorso, la selezione dei progetti è ancora in corso ma entro un mese i risultati verranno ufficializzati. Quasi la metà del budget sarà invece spesa per le attività degli organismi nazionali di coordinamento negli Stati membri, che hanno il compito di identificare le priorità nazionali e lanciare azioni per l’Anno europeo. Il resto dei fondi è riservato a campagne di sensibilizzazione su tutto il territorio europeo e all’organizzazione di quattro conferenze per promuovere dibattiti sul futuro del volontariato in Europa. Dobbiamo gettare le basi di un lunga sfida che si giocherà soprattutto negli Stati membri. Il volontariato è una materia di loro competenza.
Quali sono le attese della Commissione rispetto alle organizzazioni che si sono raggruppate nell’Alleanza europea EYV 2011?
Entro fine 2012 la nostra task force ha il compito di redigere un bilancio dell’Anno europeo e, di conseguenza, includerà le proposte dell’Alleanza. Si tratta di uno strumento molto importante, perché si propone di identificare delle linee operative – sia a livello nazionale che europeo – per il volontariato dei prossimi anni.
Il 2012 è lontano. Dalla Commissione ci si aspetta un segnale politico già nel 2011. C’è chi parla di stesura di un Libro bianco, chi di Libro verde…
È troppo presto per pronunciarsi.
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