Non profit

Le mani dei palazzinari sulla rubinetto spa

In Italia il mercato dell'oro blu vale 6 miliardi di euro l'anno

di Redazione

L’Italia apre i rubinetti ai privati. E i privati accorrono: ex municipalizzate, multinazionali, costruttori, fondi di investimento, tutti in prima fila per la gestione delle risorse idriche del Belpaese. Perché lungo gli oltre 300mila chilometri di tubi che portano l’acqua (5,34 miliardi di metri cubi l’anno) nelle nostre case, scorre anche un mare di soldi.
Il mercato dell’oro blu Made in Italy vale almeno 6 miliardi di euro l’anno. Questo solo per cominciare. Infatti il settore garantisce ritorni da capogiro. Secondo il centro studi Utilitatis, la rete idrica nazionale è un vero colabrodo, che perde 47 litri ogni 100 immessi. E servono investimenti, almeno 64 miliardi da qui al 2030, per rimettere a nuovo gli acquedotti nazionali. Soldi che arriveranno dal settore pubblico, dalle fondazioni, dagli stessi privati o direttamente con gli aumenti delle tariffe? Ai nastri di partenza, con l’ultimo ostacolo del referendum che potrebbe abrogare con un tratto di penna il decreto Ronchi sulla liberalizzazione, è difficile dare fisionomia a un mercato che ancora non c’è. Sappiamo però che la stangata in bolletta è in corso da diversi anni.
Dal 2002 a oggi le tariffe sono aumentate del 65%, e ogni italiano sborsa circa 300 euro l’anno per l’acqua di casa. La rete idrica nazionale è in mano ai 92 Ato (Ambiti territoriali ottimali) esistenti. Ad ogni Ato corrisponde una provincia. Con la nuova normativa gli Ato saranno costretti a riassegnare entro il 2012 il servizio a un nuovo organismo in cui la gestione e almeno il 40% della proprietà sarà privato. Il provvedimento prevede che entro dicembre 2015 la quota pubblica delle società ex municipalizzate e quotate prima dell’ottobre 2003 (come Acea, Iride, A2A ed Hera) scenda ad un massimo del 30%. Finora, dove il processo di privatizzazione è più avanti, i costi delle bollette sono più alti: Toscana (464 euro l’anno), Umbria (412), Emilia (383) e Liguria (367). Con il via libera al decreto Ronchi, i grandi protagonisti del business saranno i costruttori, coloro che opereranno nella manutenzione e nel rinnovo della rete idrica. Come il gruppo Caltagirone, sempre più forte in Acea, la multiutilty romana, che fornisce acqua nel centro Italia, e tra i leader nell’edilizia.
Tuttavia gli investimenti ancora latitano. Nell’ultimo rapporto del Comitato per la Vigilanza sull’uso delle risorse idriche, risulta che su circa 6 miliardi di euro previsti per il 2008 solo il 56% è stato realizzato. Le reti, denuncia Cittadinanzattiva, continuano a versare in uno stato di usura tale da provocare la perdita media del 34% dell’acqua immessa nelle tubature e il 30% della popolazione italiana è sottoposto ad un approvvigionamento «discontinuo e insufficiente».
La Borsa però festeggia. Anche per quelle multinazionali, come le francesi Suez e Veolia, che si candidano a fare la propria parte nella rubinetto spa italiana. Secondo le stime degli analisti, si prevede una crescita media degli utili per le società idriche tra il 4 e il 6% nei Paesi sviluppati e tra il 10 e il 15% nei Paesi emergenti.
Tanto che scommettere sull’acqua paga. Sono le cifre a dimostrarlo. Nel 2009 i tre fondi interamente dedicati all’acqua (ossia che investono in titoli del settore), disponibili in Italia, hanno registrato nei primi 11 mesi dell’anno performance più che positive: SAM Sustainable Water +23%, CAAM Funds Aqua Global +11,5% e PF (Lux) Water +11%.

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