Avolte si vince. Sui diritti. Sulla discriminazione. Succede a Milano, dove un giudice del tribunale civile, Patrizio Gattari, ha accolto il ricorso presentato contro il taglio delle cattedre e delle ore di sostegno previste per 17 alunni. Un ricorso che sa di class action, voluto da genitori consapevoli dei propri diritti, che si sono coalizzati e hanno avuto il supporto dell’associazione Avvocati per Niente e di Ledha, la Lega dei diritti delle persone con disabilità.
Il grimaldello per scardinare le inadempienze dell’Ufficio scolastico regionale e di quello provinciale di Milano è una piccola legge dello Stato, la 67 del 2006, dov’è stabilito che le persone con disabilità non possono essere discriminate rispetto ai diritti essenziali. Fra questi, quello all’istruzione. Ore quasi dimezzate, insegnanti ridotti, il tutto in conseguenza dei tagli a livello nazionale.
I genitori hanno fatto “rete” e hanno usato gli strumenti legali a disposizione. Ora il giudice ritiene «accertata la natura discriminatoria della decisione delle amministrazioni scolastiche di ridurre le ore di sostegno scolastico per l’anno in corso rispetto a quelle fornite nell’anno scolastico precedente» e, pertanto, «ordina alle amministrazioni la cessazione della condotta discriminatoria e condanna i convenuti, ciascuno per le rispettive competenze, a ripristinare, entro trenta giorni, per i figli dei ricorrenti, il medesimo numero di ore di sostegno fornito loro nell’anno scolastico 2009/2010».
Ho riportato per intero queste frasi perché sono la prova che non bisogna mai dare per persa una battaglia quando è giusta e si basa su diritti di cittadinanza non comprimibili. È un precedente di portata straordinaria anche a livello nazionale: la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, finalmente, comincia a essere un riferimento normativo. Non è poco, in tempi così grami.
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