Welfare

Grazie ai carcerati fatturo 400mila euro l’anno

Giuseppe Ongaro, imprenditore intramoenia

di Redazione

Dare lavoro ai detenuti? Ecco la mia esperienza: su 320 persone che ho impiegato in sei anni, quelli che sono tornati a delinquere sono stati quattro, poco più dell’1%. Che ne dite?». A sentire Giuseppe Ongaro, 54 anni, l’imprenditore che in Italia non ha rivali nell’assumere carcerati, c’è da restare a bocca aperta.
Quanti detenuti lavorano per la sua azienda?
In media sono 70, italiani e stranieri, e rimangono con noi circa due anni. C’è un forte turn over perché il carcere di Verona è una casa circondariale e molti detenuti sono in attesa di giudizio.
Di cosa si occupano?
I lavori, tutti intramurari, sono vari: dall’assemblaggio alla costruzione di box, gazebi e dei portabiciclette che oggi si ritrovano in decine di Comuni d’Italia. Da poco abbiamo avviato la produzione di pannelli solari termici. Fatturiamo 400mila euro l’anno. Il lavoro, per tempistica e modalità, è strutturato come quello di una qualsiasi azienda fuori dalle mura. Nei nostri contratti applichiamo appieno la legge Smuraglia e i detenuti sono pagati come operai di secondo livello secondo il contratto dell’industria.
Come viene selezionato il personale?
L’Ufficio di comando del penitenziario ci fornisce una lista di candidati, che poi scegliamo con un normale colloquio, aiutati dalla polizia penitenziaria per quanto riguarda il profilo comportamentale.
Come entra in carcere un imprenditore?
Non è difficile. Bisogna però essere consapevoli delle difficoltà – in primis il fatto che ogni esperienza è a sé – perché il carcere oggi non è pronto ad accogliere in modo sistematico i privati. Poi ci vuole un minimo di predisposizione al sociale e di voglia di rendersi utili, fermo restando che è una scelta “vera”, non è un gioco né volontariato. Io con questa azienda ci guadagno da vivere.
Consiglia la sua scelta ad altri?
L’obiettivo non è arricchirsi bensì autosostenersi, ma in cambio si ha un guadagno doppio per la società: la famiglia del detenuto riceve soldi dal suo lavoro e non deve quindi mantenerlo mentre è in cella, e lui quando esce dal carcere non deve per forza affidarsi alla malavita. Anche dal punto di vista imprenditoriale è un vantaggio: il livello di competitività della manodopera è alto, quasi a livello dell’Europa dell’Est, ed è più “controllabile” essendo in territorio italiano.
Quale bilancio dopo sei anni di attività?
È una scommessa vinta. Anche perché genera buone prassi: a breve apriremo l’azienda anche nelle carceri di Vicenza e Trento, e sempre più ditte, dopo aver visto come lavoriamo, ci chiedono personale da inserire una volta uscito dal carcere. Inoltre, visto l’aumento delle commesse, nel 2009 abbiamo creato una cooperativa esterna che oggi dà lavoro a dieci ex detenuti.
[Daniele Biella]

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