Welfare

Sono 2mila su 70mila i detenuti occupati in Italia. Ma il lavoro è la sola garanzia contro il sovraffollamento. E portarlo dentro è possibile

di Redazione

Gli istituti di pena non sono mai stati così pieni come nel 2010: a fronte di una capienza regolamentare di 45mila detenuti, si è arrivati a quota 69mila, con una media di circa mille nuovi ingressi ogni mese. Sei mesi fa, il Consiglio dei ministri varava il “Piano carceri” in cui si annunciava la costruzione di 20 nuovi padiglioni e 11 nuovi istituti. «Ma nessuno ha visto i risultati», osserva l’ex sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, presidente dell’associazione “A buon diritto”. Così a dicembre si è arrivati al provvedimento “svuota carceri”: all’inizio si diceva ne avrebbero usufruito in 9.600, poi il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha ridimensionato il dato a 6mila, ora i più scettici dicono che in realtà i beneficiari saranno appena 2mila. Una goccia nel mare per un’emergenza – ormai lo ammettono tutti – non più sopportabile.
Il sovraffollamento non è però l’unico problema. L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario (l. 354/1975) recita così: «Salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa». Principio smentito dalla realtà: secondo le statistiche aggiornate al primo semestre del 2010, su circa 70mila detenuti quelli che hanno un lavoro sono solo 14.116, il 20% circa del totale, ma di questi 12.058 lavorano alle dipendenze della stessa amministrazione penitenziaria, spesso con paghe irrisorie. «Chi si occupa delle pulizie o della cucina può prendere circa 3 euro all’ora», rivela Francesco Morelli, della redazione di Ristretti orizzonti, il giornale del carcere Due Palazzi di Padova.

La recidiva si abbatte
«Si realizza così il paradosso atroce che l’80% lavora per la riproduzione delle condizioni della propria schiavitù», continua Manconi. Ad avere un lavoro “vero”, quindi, sono solo in 2.058, appena il 3% della popolazione carceraria. Ma potrebbero (e nel prossimo futuro, “dovranno”) essere molti di più. L’occupazione dei detenuti è lo strumento più efficace per abbattere la recidiva e aumentare la sicurezza dei cittadini: lo dicono le cifre e il buon senso. «È noto che chi riesce a reinserirsi nella società con un lavoro ha molte meno probabilità di commettere un nuovo reato», conferma il provveditore della Lombardia, Luigi Pagano. Dati ufficiali non ve ne sono, ma le stime di chi opera nel mondo carcerario lo confermano: «Di norma, 68 detenuti su cento tornano a delinquere», ricorda Manconi, «ma la statistica crolla per chi ha la possibilità di trovare un’occupazione». «Secondo i nostri calcoli si arriva anche sotto al 20%», confermano da Ristretti orizzonti. Ma i numeri degli occupati sono (ancora) bassi, nonostante da dieci anni a questa parte esista una legge – la 193 del 2000, più nota come “legge Smuraglia” – che offre agevolazioni fiscali e vantaggi economici alle imprese pubbliche e private e alle cooperative sociale che vogliono assumere detenuti. «Un provvedimento che ha avuto effetti positivi; se non ci fosse, oggi mille detenuti non avrebbero un lavoro», ricorda Nicola Di Silvestre, responsabile Lavoro dell’ufficio dell’Osservazione e del trattamento del Dap.

Il modello Bollate
Bollate, hinterland – ma si potrebbe dire prosecuzione – di Milano. Qui sorge la più giovane casa di reclusione del capoluogo, diretta da Lucia Castellano, un istituto con numeri fuori dall’ordinario. I detenuti sono 1.098 (per 976 posti regolamentari). Di questi, circa 400 hanno un lavoro e la metà è occupata presso cooperative sociali e imprese. Più di cento fanno gli operatori in due call center, e se si chiama il servizio di assistenza dei principali operatori telefonici potrebbero essere loro a rispondere. In 25 si occupano della riparazione di cellulari fuori uso; una decina sono ai fornelli o in livrea, al servizio di imprese di catering. Quasi 80 hanno lavorato per il Comune nella raccolta dei rifiuti, nel canile municipale o al cimitero Monumentale. Una decina di persone invece si occupa della digitalizzazione degli atti del tribunale. Un mezzo miracolo. Reso possibile «dai rapporti che in questi anni abbiamo costruito con le imprese e le cooperative del nostro territorio, che da questo punto di vista fortunatamente è molto ricco», spiega Castellano, «grazie anche al supporto di Articolo 27, l’agenzia per il lavoro creata su iniziativa del nostro provveditore».
Un modello da esportazione. Anche se «con il contenimento della spesa pubblica vengono destinate sempre meno risorse a questi scopi», interviene Di Silvestre. Si prenda ad esempio il finanziamento della “Smuraglia”: dovrebbe essere stabilito di anno in anno, ma è sempre lo stesso da quando è stata varata: 4 milioni e mezzo. In dieci anni, però, le esigenze sono cambiate. Stesso discorso per i vantaggi alle aziende: «I 516 euro di credito di imposta per detenuto assunto previsti come sgravio, oggi hanno un peso inferiore rispetto al 2000», conclude il funzionario.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.