Se c’è una verità che, in questi tempi di crisi, non dovremmo stancarci di ripetere è che nessuno, per quanto si illuda, è mai davvero padrone a casa propria. Il filosofo franco-algerino Jacques Derrida la definiva «l’implacabile legge dell’ospitalità»: l’ospite che accoglie e che si crede proprietario di luoghi, cose e situazioni è in realtà – così scriveva nel suo Adieu à Emmanuel Lévinas del 2007 – a sua volta «ricevuto nella propria casa». Questo ospite «riceve l’ospitalità che offre nella propria casa, la riceve dalla propria casa – che in fondo non gli appartiene».
Ma come è possibile che, in base a questa legge che Derrida descrive implacabile, «l’invitante sia invitato dal suo invitato» e «chi riceve sia ricevuto» nella sua casa? È possibile perché, osserva Silvano Petrosino, l’ospitalità precede la proprietà e permette di distinguere tra la chiusura totale da un lato, che riduce la casa a trappola e tana, dall’altro di un’«ospitalità assoluta», che non è mai all’altezza dell’uomo esasperando l’apertura della casa, e infine il terzo imprevisto: un’«ospitalità piena», segnata dalla giusta misura tra apertura e intimità.
L’ospitalità non è un un “atto” della buona coscienza, ma la sua più profonda natura. L’ospitalità non riguarda pertanto le “buone intenzioni”, ma dimensioni e strutture stesse dell’umano. Un umano destinato a non dominare mai interamente le dimensioni della propria esperienza se è vero che, come scriveva Lacan: «Io sono dove non penso e penso dove non sono».
In questa chiave, Silvano Petrosino affronta alla radice il tema dell’accogliere l’altro e del soggetto. Lo fa in un volume tematicamente denso e filosoficamente rigoroso, La scena umana, fresco di stampa per i tipi della Jaca Book (pag. 157, 16 euro).
Se la prima parte è dedicata al confronto che – in tre lavori rispettivamente pubblicati nel 1964, nel 1980 e nel 1997 – Jacques Derrida intrattenne con il pensiero di Emmanuel Lévinas, nella seconda Petrosino affronta con ancor più vigore i temi dell’esperienza del soggetto umano e del suo rapporto con l’ospite, l’altro e lo straniero, anche in relazione alle figure-limite dell’accogliere e del distruggere. Derrida e Lévinas sono autori sui quali Petrosino ha dedicato anni di studio e passione e nei cui confronti rivolge ora – fin dal titolo – un “grazie”. Un gesto semplice, una prova di umiltà che nasce anche dal fatto che Derrida e Lévinas sono tra i pochi a non aver mai trasformato, anzi ad aver tentato in ogni modo di sottrarre il proprio oggetto di studio all’ideologia e a quella deriva, spesso grottesca, della “pulsione di morte” che trasforma intellettuali e filosofi in falsi profeti di una fine sempre imminente.
Nell’epoca della fine dell’uomo, della fine del soggetto, della fine della verità, Emmanuel Lévinas e Jacques Derrida hanno rivelato una non comune tenacia etica e un’attitudine alla sincerità proprio dinanzi alla grande questione del “soggetto umano”. Solo il soggetto umano è non solo aperto, ma anche esposto all’altro. E solo questa esperienza, questa esposizione, questa apertura permettono al soggetto di uscire dal flusso indistinto della nuda vita, sottoponendolo alla dura, implacabile legge dell’ospitalità. [Marco Dotti]
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