Economia

Quello che Coop continua a non dire

Controreplica

di Redazione

Ovviamente non c’è alcun problema a riconoscere i tanti meriti della campagna promossa da Coop. Ma anche dopo l’intervento del presidente Soldi – che purtroppo non offre controdeduzioni di merito sulle questioni sollevate – resta inalterata la sensazione che l'”Acqua di casa mia” abbia un forte retrogusto commerciale.
Non viene infatti spiegato perché Coop innalzi il vessillo dell’acqua del rubinetto per ridurre l’inquinamento prodotto dalla proliferazione delle minerali in bottiglia, ma contestualmente: raddoppi le proprie concessioni di sfruttamento delle sorgenti d’acqua da imbottigliare (annunciandone una ulteriore, a breve, al Sud); si premuri di informarci che sta riducendo la quantità di plastica utilizzata per le bottiglie dell’acqua a marchio proprio (cosa che, come ammette anche il presidente Soldi, non rappresenta un virtuosismo esclusivo di Coop); sponsorizzi l’acquisto delle acque minerali “provenienti da fonti vicine” (tra cui, ovviamente, in primo luogo la propria) ricorrendo alla semplificazione demagogica del “km zero” invece di ragionare sulle emissioni riguardanti tutto il ciclo di vita del prodotto.
Eppure lo stesso dossier predisposto da Coop evidenzia come l’impatto ambientale, in termini di CO2 emessa, dell’acqua minerale dipende per il 74% dal packaging, per il 18% dal processo di estrazione e imbottigliamento e solo per l’8% dal trasporto. Se Coop diversificherà le proprie fonti di approvvigionamento, parallelamente moltiplicherà anche gli impianti di imbottigliamento che, come noto, non vanno a pedali. Quindi il saldo netto delle emissioni prodotte da questa operazione rischia di essere in aumento, non in diminuzione.
Questo mette seriamente in discussione la suggerita “equivalenza” tra i benefici ambientali del consumo di acqua di rubinetto e quelli assicurati dall’acqua minerale a marchio Coop.
Resta anche inspiegato il motivo per cui la campagna Coop abbia completamente ignorato (ma le cose dette sopra un sospetto lo fanno venire) una vera e propria “pietra dello scandalo” riguardante il business delle acque minerali: l’irrisorietà dei canoni di concessione che le aziende pagano per appropriarsi delle acque di sorgente. Le sorgenti pubbliche sfruttate senza limiti e criterio dalle aziende di imbottigliamento non rappresentano un problema ambientale altrettanto rilevante?
Un’azienda che assurge al ruolo di “agenzia educativa” si assume precisi doveri di neutralità, trasparenza e completezza informativa. Per questo, se i dirigenti Coop avessero presentato la loro iniziativa come una campagna di marketing dagli spiccati contenuti socio-ambientali – invece che come una campagna di “educazione del consumatore” – sarebbe stato decisamente più appropriato. [Sebastiano Renna]


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