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Nicaragua e Guatemala, i destini paralleli dei due presidenti

Eletti un ex generale e un ex guerrigliero

di Redazione

Un ex generale accusato di “tortura” e un sandinista ex guerrigliero, ovvero Otto Pérez Molina e Daniel Ortega che, domenica 6 novembre hanno sbaragliato gli avversari garantendosi la presidenza, rispettivamente, di Guatemala e Nicaragua. Molina, già candidato nel 2007 quando fu sconfitto al ballottaggio, è un membro di spicco dei servizi segreti dell’esercito e fu lui a condurre i negoziati che portarono all’accordo di pace del 1996 che chiuse il sanguinoso capitolo della trentennale guerra civile guatemalteca che lasciò sul terreno almeno 200mila morti e 40mila desaparecidos. Denunciato all’Onu da tre attivisti Usa per presunte “torture” durante la dittatura (1960-1986), lui ha sempre negato ma, soprattutto, per vincere questa volta ha moderato molto i toni rispetto a quattro anni fa, quando si guadagnò il soprannome di “mano dura”, vincendo al ballottaggio con il 55,2% dei voti. Lo aspetta un duro lavoro: il Guatemala è uno dei Paesi più violenti e poveri al mondo, con 18 omicidi al giorno, e un tasso di miseria che supera il 50%.
Daniel Ortega non è invece una novità, essendosi riconfermato per altri cinque anni alla presidenza dov’era già dal 2007. Un successo ampio, con oltre il 65% dei voti, spiegato soprattutto con il suo grande pragmatismo che lo ha portato a presentare come suo vice l’ex comandante dell’Esercito Omar Halleslevens, molto popolare, facendo alleare il suo Fronte Sandinista con chiunque fosse disposto a governare con lui, a prescindere dall’ideologia. È stato appoggiato da una miriade di gruppi dissidenti liberali e conservatori, dal partito democristiano e persino da una frazione degli ex Contras contro i quali aveva combattuto alla fine degli anni 70. Altro elemento fondamentale è stata l’alleanza di Ortega con la Chiesa cattolica locale, sulle sue stesse posizioni su molte questioni, a cominciare dall’aborto. Ma, forse, per farlo rivincere, più importante di tutto sono stati i 2 miliardi di dollari che gli sono stati donati dal venezuelano Chávez, pari al 7% del Pil del Nicaragua.


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