Non profit

Con noi l’omeopatia è andata all’università

l'altra medicina

di Redazione

«In Italia 9 milioni di italiani si affidano alle cure omeopatiche, i medici che le prescrivono sono 25mila su 250mila. Se Guna è diventata leader in questo settore è perché è l’azienda che punta di più sulla ricerca: per noi è la parte preponderante dell’investimento dei nostri utili». Lo dice Alessandro Perra, entrato in Guna vent’anni fa, da 12 direttore scientifico dell’azienda. «Nel nostro Paese il mercato dei farmaci omeopatici ha un fatturato che arriva quasi a 300 milioni. Con i 60 milioni del 2011 Guna è la prima azienda del settore», continua Perra, «e rispetto all’anno precedente abbiamo registrato un miglioramento del 7-8%».
Quanta parte di questo risultato è dovuto all’investimento sulla ricerca?
La componente della ricerca è da sempre fondamentale. All’interno dell’azienda il dipartimento scientifico ha quattro persone dedicate a ricerca e sviluppo. Sia per la ricerca di base, cioè per valutare gli effetti di una sostanza su cellule isolate o modelli animali, sia per la ricerca clinica, ovvero quella svolta sui pazienti. Sono importanti entrambi i modelli, ma nel nostro settore conta soprattutto la prima. Perché il risultato positivo che si ha su una cellula isolata o su un topo elimina l’interpretazione di un dato legato all’effetto placebo, cui spesso si attribuiscono gli effetti positivi di un farmaco omeopatico. Ci sono studi che dimostrano che il placebo è un effetto che esiste per qualsiasi farmaco, ma solo su un uomo, non può certo esistere su una cellula isolata.
Verso quali settori in particolare si rivolgono i vostri studi?
Soprattutto nel campo dei bassi dosaggi di sostanze biologiche come le citochine, ovvero le sostanze prodotte dal sistema immunitario per guidarne il funzionamento. Oppure sul dosaggio di ormoni o neuropeptidi, le sostanze che nel sistema nervoso guidano azioni e emozioni. Le ricerche più significative le abbiamo svolte in campo allergologico, sulla dermatite atopica, la psoriasi e molte altre malattie. Abbiamo cercato di indirizzarci su patologie dove non esistono possibilità di cure tradizionali efficaci.
Com’è organizzato il vostro lavoro?
Per fare ricerca ad alto livello sono necessarie le università. Noi collaboriamo con vari atenei, come la Statale di Milano, ma anche con strutture come il Policlinico, sempre di Milano, e alcuni ospedali di Roma per la ricerca clinica. La ricerca nelle università ha bisogno del sostegno delle aziende, e noi siamo pronti a darlo. Con questi enti tre anni fa abbiamo avviato un progetto per verificare l’efficacia dei nostri farmaci di base, seguendo tutte le regole della sperimentazione della medicina basata sull’evidenza. Così, tutti i valori ottenuti sono inattaccabili.
Eppure spesso viene attributa all’omeopatia una scarsa attendibilità scientifica.
Ci sono centinaia di lavori scientifici ortodossi sull’omeopatia pubblicati su riviste autorevoli. È un po’ un luogo comune alimentato dagli stessi omeopati che non vogliono confrontarsi col mondo accademico. È importante sottolineare comunque che noi crediamo nella medicina integrata. Sappiamo che non tutto si può curare con l’omeopatia. Una patologia acuta o urgente va curata con antibiotici o con i cortisonici, per esempio. Ma nella prevenzione di malattie funzionali o croniche la medicina biologica può diventare di riferimento.

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