Welfare

Lavoro, disperazione in fiamme

Un muratore si dà fuoco a Verona, è ancora grave il piccolo imprenditore di Bologna

di Franco Bomprezzi

Il lavoro che si trasforma in dramma e nella decisione di farla finita, fra le fiamme. Succede in due giorni di fila, prima a un piccolo imprenditore alle prese con il fisco, poi a un muratore a Verona. Tutto accade nel quadro di una recessione confermata dal ministro Passera e dai dati economici.

“«Da quattro mesi non mi pagano» Si dà fuoco in piazza”: bisogna arrivare a pagina 15 del CORRIERE DELLA SERA per trovare la notizia del tentato suicidio di Hermane, muratore di Verona, immigrato in regola, marocchino. La cronaca di Andrea Pasqualetto: “Lo stipendio che viene meno, l’affitto che non può essere pagato, poi il dormitorio pubblico, la mensa dei poveri e sempre più giù, fino alla decisione di darsi fuoco in piazza come un bonzo tibetano. Poteva finire molto peggio per il marocchino Hermane, ventisettenne muratore di Verona, se un paio di carabinieri non fossero intervenuti a spegnere le fiamme. La fortuna ha voluto che ieri mattina si trovassero proprio lì, nella centrale piazza Bra dell’Arena, quando il giovane si è cosparso di benzina la testa e le gambe appiccando il fuoco a se stesso con un accendino. Vicino a lui, davanti a palazzo Barbieri, sede del Comune, c’era un presidio organizzato da alcuni genitori per sensibilizzare l’opinione pubblica su altre vicende, lontane dai problemi di Hermane: l’operato del Tribunale dei minori di Venezia e degli assistenti sociali”. A pagina 11 Enrico Marro approfondisce invece il tema spinoso degli “esodati”: “I calcoli sbagliati (per difetto) su chi perde pensione e stipendio”. Scrive Marro: “Secondo i calcoli che furono fatti al momento della riforma, a dicembre, i lavoratori da salvaguardare sarebbero stati 65 mila. E su questa platea furono stanziate le risorse per coprire l’erogazione delle pensioni secondo le vecchie regole. Ma sono bastate poche settimane per rendersi conto che in realtà gli interessati sarebbero stati molti di più. Solo considerando i lavoratori in mobilità e mobilità lunga secondo gli accordi chiusi entro il 4 dicembre e quelli a carico dei fondi di solidarietà di settore, tipo i bancari, il numero dei 65 mila è già esaurito. Ma il punto è che gli accordi, anche se stipulati lo scorso dicembre, prevedono spesso la messa in mobilità pure negli anni successivi e anche questi lavoratori vanno tutelati. Senza considerare che la norma tutela genericamente anche i lavoratori ammessi alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre scorso, che sono un numero sterminato se non interverranno interpretazioni limitative. Sono quindi cominciate a circolare le stime più diverse da 100 mila a più di 300 mila”. E andando a ritroso, a pagina 6, Antonella Baccaro riferisce dell’audizione del ministro Passera in commissione bilancio: «La stretta del credito c’è Siamo ancora in recessione».

«Articolo 18, ecco come cambierà» è il titolo di apertura de LA REPUBBLICA. Ma c’è spazio anche per un richiamo alla cronaca di ieri da Verona: «Si dà fuoco, era da 4 mesi senza stipendio». Alla notizia è dedicato il commento di Adriano Sofri: «La Spoon river della crisi». Scrive Sofri: «l lavoro davvero rende liberi, perdere il lavoro vuol dire perdere la libertà. Vi sarete accorti che il rogo fotografato a Bologna l´altroieri somigliava a quello del giovane tibetano a Nuova Delhi del giorno prima. E i titoli, a poche pagine di distanza: “Il trentesimo tibetano che si è dato fuoco nell´ultimo anno”, “Nel Veneto, già trenta suicidi di imprenditori”. Ieri un operaio edile di origine marocchina si è dato fuoco davanti al municipio di Verona, è stato soccorso in tempo, era “senza stipendio da quattro mesi”. L´altroieri il piccolo imprenditore edile a Bologna, accanto alla sede delle Commissioni tributarie. Si può andare indietro e trovarne uno al giorno, operai disoccupati, artigiani, imprenditori. Sta diventando l´altra faccia dei bollettini delle morti cosiddette bianche. Caduti sul lavoro, caduti per il lavoro». Questo contagio di suicidi è «un segno di resa e di solitudine, ma non solo. È una rivendicazione estrema di dignità. Fa ricordare, dopo una lunghissima parentesi, quella onorabilità borghese per la quale ci si vergognava di una rovina, anche la più onesta, e si scriveva una lettera di amore e di perdono alla famiglia». Sofri vede il ritorno di una «dignità all´antica» negli «operai restati senza lavoro, negli imprenditori che si danno del tu coi propri dipendenti e se ne sentono responsabili, negli stranieri che avevano fatto il loro pezzo di salita e si vedono di colpo riprecipitati in fondo. È questo, la crisi, per tanti: non sapere più come fare, e non rassegnarsi alla destituzione della propria personalità». Chi perde il lavoro si vede «crollare il mondo addosso, a sé e alla propria casa. La rovina: e le 15 mensilità al posto del lavoro non ripagano la rovina, ma le aggiungono l´umiliazione. Sbagliano governi e parlamenti a fare come se questi fossero affari di preti, di pompieri e di assistenti sociali. Il movimento operaio è passato attraverso l´ideologia del lavoro e anche l´ideologia del non-lavoro. Non ci si dà fuoco da soli, chiedendo di lasciare in pace la propria donna, per un´ideologia. Lo si fa per una fede offesa, come i giovani tibetani, o per una destituzione di sé, come un padre di famiglia italiano di 58 anni».

IL GIORNALE non va per il sottile: «Effetto Monti: roghi umani» è il titolone di prima pagina. Occhiello: «Un altro lavoratore fa il bonzo». Spiega il direttore Alessandro Sallusti: «Lo chiamano “effetto Monti” per definire una sorta di nuovo miracolo italiano. Che esiste solo nella fantasia di giornali sdraiati a zerbino sul governo dei tecnici. Anzi. Lo spread risale, la Borsa riscende e purtroppo cresce la disperazione di molta gente. Ieri un altro rogo umano, il secondo in due giorni: un operaio disoccupato si è dato fuoco a Verona. La paura di disturbare il manovratore, tutto preso in banchetti con potenti nostrani e internazionali, rende questi disperati soli anche nella disperazione. Non un membro del governo che se ne faccia carico, neppure qualcuno di destra, centro o sinistra che li strumentalizzi mettendoli sul conto del governo o di chicchessia. Semplicemente non esistono, sfigati fino alla fine come direbbe un noto sottosegretario». Come se ne esce? «Riforme subito e meno tasse. Questo serve, tanto lo spread, come ormai ampiamente dimostrato, non legge il Corriere della Sera o La Repubblica : va per gli affari suoi e colpisce quando vuole. Corrado Passera ieri ha messo le mani avanti:sarà recessione tutto l’anno.Non è certo colpa sua, ma da un ministro del suo peso non ci si aspetta l’oroscopo, si esigono soluzioni. E forse anche qualche gesto o parola di incoraggiamento, perché la solitudine è davvero una brutta malattia, e pure contagiosa».

“Poveri da morire, un operaio si dà fuoco a Verona” questo il titolo dedicato all’ultimo caso in prima pagina sul MANIFESTO che dedica invece la grande apertura allo sciopero generale di ieri in Spagna. «Disperato perché senza stipendio da quattro mesi, un muratore ventisettenne di origini marocchine ieri si è dato fuoco alle gambe e alla testa davanti all’Arena di Verona. Sono riusciti a salvarlo, le sue condizioni sono gravi ma non perderà la vita (…)» si legge nel breve richiamo che si conclude ricordando «Nel solo mese di marzo la lista delle vittime della crisi è già tragicamente lunga». L’articolo è l’apertura di pagina 4 collegata, attraverso il segnapagina all’apertura sulla Spagna “Generalissimo”. “Suicidi – Non si arresta la catena di morti indotte dalla crisi, ormai al ritmo di una al giorno. Intanto il Paese sprofonda in una recessione che pare senza fine. Il ministro dello Sviluppo: agire subito” si legge nel sommario posto nella fascia grigia in testa alla pagina. Nel sommario dell’articolo si sottolinea che “In Italia ogni anno si tolgono la vita più di tremila persone. Sono in costante aumento i casi di suicidio dovuti a motivi economici o di lavoro”. Nell’articolo del resto si ricorda che le statistiche fanno riferimento al 2010 e che «Il rapporto diretto tra i suicidi e le “ragioni economiche” è risultato uno dei più alti degli ultimi decenni (187 casi, erano 150 solo due anni prima)». L’articolo ripercorre i suicidi e i tentativi dell’ultimo mese. Di spalla, collegando i temi il MANIFESTO pone un articolo dedicato all’allarme dell’Ocse per il Pil a -1,6% con il titolo “Passera: «Un anno di recessione»”. L’articolo è richiamato in prima pagina proprio accanto al richiamo per le morti “Il ministro: la crisi deve ancora arrivare. A rischio 800mila posti di lavoro”. «Dopo le rose di Monti, le spine di Passare (…)» è l’incipit dell’articolo che si chiude ricordando come la popolarità del governo Monti «potrebbe precipitare di fronte alla recessione più grave dal dopoguerra».

La cronaca sui drammi del lavoro non trova spazio su IL SOLE 24 ORE, che invece dà spazio alle dichiarazioni di Passera “Sprint e riforme per uscire dalla crisi”: «Riforme strutturali a partire dal lavoro, le infrastrutture, l’attrazione degli investimenti, la sfida al credit crunch anche mediante la riduzione dell’enorme debito della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, traccia le priorità per uscire da una “situazione di non crescita che dura da molto tempo”. Il ministro interviene prima alla Camera, in un’audizione in commissione Bilancio, poi, nel pomeriggio, al congresso Ugl, dove spiegherà ulteriormente i concetti espressi in mattinata. Il fatto che l’Italia sia in “nel pieno di una seconda recessione”, secondo il ministro, è un dato acquisito in virtù di ormai note stime negative formulate dalle principali fonti di studio, e “questo trend, se dobbiamo prendere per buone le previsioni, durerà tutto l’anno”. Ma l’intenzione è quella di infondere ottimismo. Dalla crisi “veramente difficile” si può “vedere una via d’uscita” già nel corso dell’anno, dice Passera intervenendo all’evento Ugl, se si accelerano tutte le riforme e “si convincono i mercati ad investire in Italia”. Di qui l’invito a “imprese, sindacati e governo” a “lavorare insieme”. Se fino a ora “non abbiamo portato a casa risultati in termini di posti di lavoro, è perché non siamo stati coraggiosi”».

 Non c’è né richiamo in prima pagina né articolo nelle pagine interne dell’AVVENIRE per il muratore di origine marocchine che si è dato fuoco a Verona. Solo a piè di pagina 6 ricorda con un breve box il caso di Bologna (il muratore artigiano che si è dato fuoco davanti alle agenzie delle entrate). Nel titolo si ricorda che “Il muratore aveva guai con il fisco”. L’intera pagina 6 è dedicata alle questioni fiscali con il titolo “Evasione, recuperati 12,7 miliardi Calano i controlli, si versa più Iva”. La pagina è ricca di infografiche e numeri sull’andamento 2011 del Fisco. 

Apertura de LA STAMPA sull’ “Allarme recessione”, e le parole poco tranquillizzanti di Passera: «Niente crescita per tutto il 2012». Ma sul dramma del piccolo imprenditore che si era dato fuoco l’altro giorno a Bologna interviene in prima pagina direttamente il numero uno dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, con una lettera al direttore. Eccola: « Caro Direttore, l’ultima cosa che avrei desiderato in questi giorni sarebbe stata quella di commentare la notizia dell’artigiano che si è dato fuoco a Bologna di fronte a un ufficio dell’Agenzia delle entrate. La ragione per cui avrei volentieri evitato qualsiasi commento mi pare evidente.
Di fronte a una notizia così terribile, credo che l’unica reazione umanamente sensata sia, almeno nell’immediato, solo provare dolore e pena profonde, immaginando quale possa essere stato il peso schiacciante delle sofferenze che hanno indotto questa persona a spezzare la sua vita e a segnare per sempre quella delle persone a lui più care. Naturalmente, so che queste parole potranno sembrare a taluni (non pochi, temo) alquanto curiose, se non addirittura ipocrite. Nell’articolo viene tirata in ballo, come spesso capita, Equitalia, che però nella particolare vicenda non aveva avviato alcuna azione di recupero coattivo. Si è trattato nel caso specifico di accertamenti effettuati dall’Agenzia delle entrate per violazioni di una certa rilevanza, anche penale, di norme tributarie. Questi accertamenti sono stati giudicati corretti dalla Commissione tributaria, ma nulla era stato ancora riscosso”. Partendo comunque dalla vicenda dello sfortunato artigiano di Bologna, l’articolo vira subito sul problema più generale dei rapporti tra piccoli imprenditori ed Equitalia, e non so quindi quale spazio autentico di sentimenti posso aspettarmi venga concesso a chi, come me, ha avuto l’incarico di presiedere un’istituzione Equitalia, appunto – dipinta da certa pubblicistica come un’organizzazione di vampiri, la cui missione sarebbe quella di vessare i cittadini, alle prese con una crisi economica senza precedenti. Dovendo tuttavia fare un lavoro spiacevole, non posso che avere rispetto per qualunque mestiere, e il mestiere di chi scrive in un giornale non è solo quello di dare le notizie, ma anche di commentarle come meglio crede. E questo mi obbliga, di rimando, a qualche considerazione. In estrema sintesi, Michele Brambilla osserva, da un lato, che non bisogna arretrare neppure di un millimetro nella lotta all’evasione fiscale, ma che bisogna, dall’altro, evitare che essa si trasformi in una caccia alle streghe. Messa così la questione, chi potrebbe mai dissentire? Ma poiché non era sicuramente nelle intenzioni dell’estensore dell’articolo cavarsela con soluzioni apparenti o facili declamazioni retoriche, sono indotto a scendere nel concreto, e a formulare, dal mio punto di vista, il problema cruciale nel modo più esplicito possibile, evitando scappatoie e infingimenti, tanto più inaccettabili di fronte a vicende come quella di cui stiamo parlando. Il problema è alla fine questo: «Cosa dovrebbe o potrebbe fare l’Agenzia delle entrate per evitare che simili tragedie si ripetano?». Poiché l’esistenza di ognuno di noi è alla fine insondabile, e nessuno è in grado di prevedere a quale esito possa portarci una sequenza di sventure, l’unica risposta idonea a scongiurare evenienze del genere potrebbe riassumersi nella seguente massima: «Astieniti dal fare il tuo dovere, perché non puoi mai sapere quale dramma umano potrebbe scaturirne, tanto più che un errore è sempre possibile, per quanto si faccia per evitarlo». E’ questo che si vuole? O si vuole che il legislatore attribuisca all’Agenzia delle entrate il diritto di arrogarsi la decisione di stabilire, caso per caso, quale sia – nell’avanzare una determinata pretesa – la sofferenza «giusta» che si può tranquillamente infliggere, costi quel che costi, o la «sofferenza ingiusta» che non va invece inflitta, derogando così, con assoluta discrezionalità, alle norme generali della legge? A questo punto, se al personale di Equitalia viene attribuita la patente di «vampiri», a quello dell’Agenzia delle entrate verrebbe attribuita quella di «giustizieri», con buona pace della distinzione fra «giustizia» e «giustizialismo» su cui Brambilla opportunamente pone l’accento. Se la prima nomea mi indigna (ma con il tempo ci si rassegna quasi a tutto), la seconda sgomenterebbe credo chiunque. Per fortuna, nessuno si sogna una soluzione del genere. Per il resto, l’articolo della Stampa, traendo sempre spunto dall’episodio di Bologna, formula rilievi su punti non secondari del sistema fiscale italiano, e anzi dell’intero ordinamento, compreso quello della giustizia civile, valutandone a grandi linee l’impatto sulla piccola e media impresa, anche in termini di equità complessiva. È una tematica prettamente politica sulla quale non è mio compito pronunciarmi, e tanto meno avrei l’animo di farlo in un momento del genere. L’unica cosa che mi sento adesso di dire è questa: il Paese per il quale lavoriamo non è un’entità astratta e impersonale. E’ una moltitudine di persone in carne ed ossa, la cui vita e quella delle loro famiglie dipendono anche dai beni e dai servizi pubblici finanziati con le imposte. E per quanto possa suonare incredibile, fra queste persone c’è anche, con la sua famiglia, il nostro concittadino di Bologna, che mi auguro di cuore sopravviva alle sue commoventi parole di addio».
 
E inoltre sui giornali di oggi:
 
MALAGIUSTIZIA
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina e ampia intervista all’interno (a pagina 7) per l’allarme lanciato da Emma Bonino sui ricorsi italiani che intasano la Corte di Strasburgo. “«La peste della malagiustizia italiana valica le Alpi e contagia le istituzioni europee. Tanto da indurre la Gran Bretagna a proporre una restrizione delle modalità di ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, intasata dai processi pendenti sull’Italia» È l’allarme lanciato dalla vicepresidente del Senato Emma Bonino. Il 25 aprile a Roma la Seconda marcia per l’amnistia e la libertà dei radicali”, riassume il sommario. A pagina 7 nel fascione grigio si legge “Malagiustizia – «I ricorsi e i processi pendenti italiani intasano la Corte europea dei diritti umani. E la Gran Bretagna propone di restringere l’accesso al Tribunale»”, mentre il titolo è un virgolettato di Emma Bonino «La peste italiana contagia l’Europa». In una domanda si chiede, riferendosi alla lentezza della giustizia civile «I famosi investitori esteri che Monti va cercando anche nell’estremo oriente, saranno più scoraggiati da questo che dall’articolo 18?» la risposta nella quale la Bonino ricorda di pensarla diversamente dal MANIFESTO sull’articolo 18 sottolinea che «(…) Da noi ci vogliono in media mille giorni perché una causa civile prenda il via in primo grado. In più la giustizia civile ormai è una giustizia per censo: se ha i soldi otterrai la prescrizione, altrimenti no».

AMBIENTE
ITALIA OGGI– Al via il sesto bando del programma comunitario Life+. Secondo il pezzo “L’Europa scommette sull’ambiente” il bando dispone di un budget complessivo di 276 milioni di euro di cui circa 24,3 milioni destinati all’Italia. I  progetti finanziabili sono quelli che mirano a proteggere, ripristinare e favorire il funzionamento dei sistemi naturali, degli habitat naturali,  della flora e della fauna selvatica. Finanziabili anche politica e governance ambientali.

MIGRANTI
AVVENIRE– “La cattiva coscienze dell’Europa 63 morirono in mare, senza aiuti” è il richiamo in prima pagina sull’odissea del marzo dello scorso anno di un barcone al largo della Libia in guerra “Un Rapporto del Consiglio d’Europa accusa Italia, Spagna, Francia e Cipro, impegnate nel blocco a Tripoli, più Onu e Nato”. A pagina 11 l’ampio servizio “Migranti morti, Strasburgo contro l’Italia”, in un box viene ricordata “L’ecatombe”: le 6.226 persone morte nel canale di Sicilia in vent’anni. Si mostra anche la pagina di Avvenire di un anno fa che lanciava l’allarme sui barconi. Nell’occhiello si ricorda che “Nel marzo 2011, 72 africani furono imbarcati a forza dalle milizie di Gheddafi: 63 persero la vita durante una lunga odissea”. La notizia è l’occasione per fare il punto su due questioni: la prima la difficoltà di aprire le porte della Fortezza Europa come si ricorda nell’articolo di taglio centrale “Rifugiati, il 90% entra da irregolare”, mente la seconda sono i numeri della solidarietà “Pasti e accoglienza, richieste raddoppiate” con i dati del centro Astalli “(…) la fine dei respingimenti, la primavera araba e la crisi incidono molto ma la gestione è spesso caotica e delegata al volontariato”. 
 
PRO LIFE
AVVENIRE – Ampio richiamo in prima pagina sull’impegno dei Movimenti per la vita europei “Raccolta di firme in tutta Europa per il concepimento”. Al tema è dedicata l’intera pagina 3 che ha come occhiello “Battaglia di civiltà”. Nel sommario si legge “Presentare una richiesta alla Commissione europea e ottenere che venga discussa: è una delle novità introdotte dal Trattato di Lisbona, che diventerà operativa il 1° aprile. Quando  le associazioni per la vita scenderanno in campo. Obiettivo: agire contro il finanziamento di ricerche basate sulla distruzioni di embrioni”. Il titolo di apertura “Un «referendum» europeo per la vita” che nel catenaccio sottolinea “I movimenti pro life dell’Unione insieme per la prima iniziativa popolare «Uno di noi»” e nel secondo sommario “L’azione collettiva è possibile se supportata da un milione di firme raccolte in 7 stati membri nell’arco di dodici mesi”. Al tema è dedicato anche l’editoriale dal titolo “Impegno da cittadini” firmato da Giuseppe Anziani « Ci chiediamo spesso se esiste davvero una cittadinanza europea o no. Non se vi sia da qualche parte una definizione formale (…) ma nel senso sostanziale di una nostra appartenenza identitaria, noi gente di 27 Paesi senza patria comune.. (…) C’è l’Europa dei mercanti, l’Europa dei banchieri, e quella delle lobby e dei poteri forti; l’Europa dei cittadini, dei popoli fratelli, della casa comune, è un approdo non ancora raggiunto (…)» si legge nella prima parte dell’editoriale poi dedicato a spiegare l’iniziativa nata da Carlo Casini, europarlamentare e presidente del Movimento per la vita e portata avanti da un Comitato costituitosi tra altri esponenti dell’Unione. L’iniziativa si ricorda infine è appoggiata dai vescovi europei. 

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