Welfare

Miss America e la battaglia per gli orfani di carcere

Laura Kaeppeler diventa l'eroina dei diritti dei bambini sottratti ai genitori detenuti

di Gabriella Meroni

Quando Laura Kaeppeler aveva 14 anni, suo padre venne condannato a 18 mesi di reclusione per truffa. Traumatizzata da quell’esperienza terribile, quando è stata incoronata Miss America a gennaio di quest’anno, ha annunciato che piuttosto che difendere una causa nebulosa come la pace nel mondo, si sarebbe concentrata su quello che è diventato un problema molto americano: il crescente numero di bambini che perdono un genitore detenuto.

Negli ultimi 30 anni negli Usa la corsa a incarcerare le persone per tempi incredibilmente lunghi anche per reati minori ha portato a un’esplosione della popolazione carceraria. E visto che la maggior parte dei detenuti sono anche genitori, la popolazione di bambini con un padre o una madre in carcere è esplosa a sua volta. Dal 1990 a oggi, il numero di bambini con un genitore in carcere è aumentato complessivamente dell’82%, e il numero di madri detenute è aumentato a quasi il doppio del tasso dei padri. Oggi circa 10 milioni di bambini americani hanno un genitore in carcere, in libertà vigilata o sottoposto a qualche tipo di controllo. E, come sempre accade quando si parla della popolazione carceraria, c’è una preoccupante disparità razziale; un bambino nero su 15 ha un genitore in carcere, rispetto a un bianco su 111.

Come Miss America, questi bambini sono spesso profondamente traumatizzati da questa esperienza. Il loro rendimento scolastico ne soffre, possono diventare emotivamente fragili o comportarsi in modo aggressivo. Le conseguenze negative si aggravano se non sono in grado di mantenere un contatto significativo con il genitore che amano mentre lui o lei è in carcere, tanto più se, come spesso accade, i rapporti con quel genitore si interrompono in modo permanente.

Mantenere il contatto con un genitore in carcere è una sfida, a dir poco, e non certamente una priorità per le autorità statali o federali; prova ne sia che più della metà dei detenuti americani sono rinchiusi in carceri lontane tra le 100 e le 500 miglia dalle loro case, e alcuni oltre le 500 miglia, cosa che rende le visite quasi impossibili alle famiglie. Il fattore distanza da solo spiega perché, a partire dal 2004, il 58,5% dei detenuti nelle carceri dello Stato e 44,7% dei detenuti in carceri federali non hanno mai ricevuto una visita dai loro figli. Se un bambino in Philadelphia, per esempio, vuole andare a trovare la madre detenuta nell’unico carcere femminile dello Stato, che è a otto ore di macchina dalla città, deve prendere un bus speciale all’una di notte per essere al carcere nell’orario di visita.

Ma le visite sono di cruciale importanza per i bambini, così come per i genitori in carcere. Anche considerando il fatto che in base alla legge americana uno degli esiti tragici della carcerazione, anche breve, è la perdita della potestà genitoriale. Nel 1997, il Congresso approvò la legge Adoption and Safe Families Act (Asfa), in base alla quale un genitore perde la tutela del figlio se quest’ultimo è rimasto in affidamento fuori dalla famiglia per 15 mesi su 22. Quindi, se una madre riceve una condanna a 36 mesi di carcere per reati di droga, è a rischio di perere la potestà sui figli. E una volta persa, non è più recuperabile. Negli Stati Uniti molte associazioni di diritti civili stanno cercano di ottenere la modifica della legge Asfa in modo che la carcerazione di per sé non sia un motivo valido per perdere i propri figli, e anche per avvicinare i detenuti alle loro case, soprattutto se hanno figli. Provvedimenti che possono servire, certo. Ma se non si smetterà di considerare il carcere duro come unico rimedio al crimine, e non si colpiranno duramente e alla radice le cause del crimine, tragedie come quelle vissute da Miss America non vedranno presto la fine.


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