Politica

Lavoro, ci prova Napolitano

Il presidente spinge per una legge meditata in Parlamento

di Franco Bomprezzi

La parola passa al Parlamento, la riforma del lavoro piace al governo e a Monti che la difende, modifiche dell’articolo 18 compreso, mentre cresce l’insoddisfazione sindacale, e i partiti della maggioranza vanno in difficoltà, soprattutto il Pd. Anche il presidente Napolitano cerca di mediare e di favorire una convergenza ampia, ma al momento il suo appello sembra cadere nel vuoto.

“Monti va avanti sul lavoro” titola in prima il CORRIERE DELLA SERA, che dedica molte pagine e molti commenti alla riforma. La cronaca di Monica Guerzoni a pagina 2: “I leader sindacali hanno lasciato il tavolo senza un testo in mano, perché la riforma sarà approvata oggi dal Consiglio dei ministri. «Salvo intese» però, il che vuol dire che per l’articolato definitivo il governo ha deciso di prendersi ancora qualche giorno, a costo di inviarlo al Quirinale quando ormai Monti sarà partito per l’Oriente. Ieri mattina il premier ha incontrato riservatamente il leader della Cisl, quindi è salito al Colle con Elsa Fornero e il sottosegretario Antonio Catricalà, finché alle cinque ha aperto l’incontro con le parti sociali. Fermandosi, lamenterà la Cgil, solo pochi minuti. E avvertendo a scanso di equivoci che l’articolo 18 non sarebbe stato sul tavolo. Spazzata via l’illusione di un ripensamento sui licenziamenti economici, punto sul quale il governo «non cambia idea», il premier prova a placare le acque scongiurando «abusi» sul punto più doloroso: «Abbiamo percepito diffusa preoccupazione sull’articolo 18, su cui vorrei rassicurare tutti. Mi impegno, con un minimo di attenzione alla stesura, affinché non ci sia il rischio che il binario dei licenziamenti economici possa essere abusato con aspetti di discriminazione»”. Maria Antonietta Calabrò registra un altro motivo di tensione: “E il pubblico impiego ora teme l’articolo 18”. Prova a mettere ordine Massimo Franco: “L’ obiettivo ormai non è quello di mettere d’accordo tutti sulla riforma del lavoro: è chiaro che sarà impossibile. Ma se è vero che il perno diventa il Parlamento, si tratta di svelenire a livello istituzionale una situazione di tensione crescente; e di non trasferire anche alle Camere quel di più di ideologico che ha segnato la trattativa con e fra le parti sociali. Si va verso un disegno di legge, come sembra suggerisse il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, preoccupato da una spirale che stava consumando i rapporti nella maggioranza eterogenea di Mario Monti; e con qualche delega sull’articolo 18, destinata a garantire che i rapporti parlamentari siano incanalati su binari meno rissosi”. E così conclude la sua Nota: “Non significa che l’articolo 18 potrà essere stravolto: né Palazzo Chigi, né lo stesso Quirinale lo permetterebbero, oltre al Pdl. Non si può ritenere neppure che lo scontro sia finito: anzi, in qualche misura comincerà proprio adesso, nelle piazze e nelle aule parlamentari. Forse, però, si comincia a capire che in una fase come questa nessuno può stravincere: la vera vittoria è una sorta di pareggio che eviti una squalifica collettiva”.

“Monti: sull’articolo 18 vado avanti”. Con questo titolo LA REPUBBLICA fotografa il dibattito sulla riforma del lavoro. Un tema al quale Altan dedica una vignetta al vetriolo e sul quale il direttore Ezio Mauro dedica le prime 10 pagine del giornale. Oggi il Cdm dovrebbe dare il via libera alla riforma. Nonostante le critiche ma con qualche cautela suggerita, come svela il retroscena di Claudio Tito, dal presidente Napolitano. Che sarebbe intervenuto per insistere su cautela e prudenza (specie sui licenziamenti economici), pur essendo convinto che si tratta di una strada buona. «A condizione che non si porti in Parlamento un “pacchetto preconfezionato” e si consenta un esame approfondito delle Camere sia pure in tempi ragionevolmente rapidi». La questione sociale è un tema da difendere, ma non a costo dell’immobilismo insomma. Dal canto suo Bersani insiste sulla necessità del reintegro ma avverte che non ci sarà crisi. «Se non mi sono distratto le leggi le fa il Parlamento, non il governo», scherza fino a un certo punto Franceschini. Chissà quanto rincuorato dal ripensamento della Cisl e dal monito della Cei: «La dignità della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale. Chiediamo che la riforma sia condivisa e che tutti siano responsabili». Certo è che c’è preoccupazione anche fra la gente, come ha dimostrato una manifestazione svoltasi ieri davanti a Palazzo Chigi: il rischio è, sostengono i precari, che l’aggravio sia scaricato sulle spalle dei lavoratori. Non sarebbe la prima volta…La polemica finale è di Alberto Bisin e riguarda il “Perché nessuno tocca gli statali”. Il nodo è l’equità nel trattamento, va da sé, e il fatto che occorre uno sforzo per riallocare le risorse nei settori produttivi.

Titolone de IL GIORNALE: «Bersani disperato». La situazione nel Pd è vista così da Laura Cesaretti: «È stata necessaria la moral suasion del Quirinale per indurre lo stato maggiore del Pd ad abbassare i toni dello scontro con il governo sull’articolo 18, e ad aprire una linea di credito a un provvedimento “in gran parte buono”, come diceva ieri sera Pier Luigi Bersani, e comunque “migliorabile” in Parlamento. Le preoccupazioni di Giorgio Napolitano sull’inasprirsi del clima sociale e politico attorno all’esecutivo, sul tornante decisivo della riforma del lavoro, è ben leggibile dietro le parole con cui il segretario democratico ha preso le distanze dalla sinistra dei Di Pietro e dei Vendola, che ieri sfidavano il Pd a buttare all’aria la maggioranza: “Penso non sia il caso di staccare la spina al governo, perché nel provvedimento ci sono cose che vanno in senso positivo, cose serie da non buttar via, ma la norma sull’art.18 va cambiata”, frena Bersani». Il commento di Vittorio Feltri invece si concentra su un altro tema, sotto il titolo «Lo scandalo continua: I fannulloni statali restano intoccabili».

“Nessuno mi può giudicare”È questo il lapidario titolo del MANIFESTO che in bianco va a sfondare lo sfondo nero della foto che occupa metà pagina con i profilo di Mario Monti. “«Non si cambia»: sull’art. 18 Monti blinda il testo del governo escludendo il reintegro per i licenziamenti economici. Il centrodestra applaude, il Pd spera nella legge delega e trova una sponda nella Cisl che ora chiede modifiche. Manifestazioni spontanee fuori dalle fabbriche in tutto il nord” si legge nel sommario che rinvia alle pagine 2 e 3 interamente dedicate ai temi della riforma del lavoro. Al tema è dedicato anche l’editoriale di Guido Viale “Punto di svolta” e la vignetta di Vauro dall’eloquente titolo “L’articolo 18 non si tocca” dove sono rappresentati un omino con la tuta da operaio che mostra il dito medio alla caricatura della Fornero e dice: «Beccati questo e mettilo a verbale». Scrive Viale: «L’azzeramento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è una misura per rendere flessibile il mercato del lavoro, ma per rendere rigidi (fino al parossismo) il regime di fabbrica e la stretta sui ritmi di lavoro. Certamente nei prossimi mesi e anni ci saranno uno a uno, o meglio quattro a quattro, decine di migliaia di licenziamenti individuali per “motivi economici”. Sappiamo già chi verrà colpito (…)» ossia i lavoratori iscritti alla Fiom e conclude a pagina 15 «(…) quello che non sono riusciti a fare Berlusconi, Maroni e Sacconi in 17 anni, Monti lo sta portando a termine in pochi mesi. Il piatto è servito e quello che resta da fare, prima che passi in Parlamento il cosiddetto decreto sul mercato del lavoro (…) è continuare a opporsi senza se a senza ma. (…) Quale che sia l’esito, questa mossa di Monti e Fornero deve diventare per tutti il simbolo dell’ipocrisia, della malafede e della pochezza di questa campagna di governo». Pagina 2 si apre con una grande foto di Elsa Fornero e il titolo “Fornero intrattiene Monti chiude” e nel sommario «Bonanni (Cisl) si converte al «modello tedesco» e chiede modifiche che salvino la faccia al Pd e convincano la Cgil a dare l’ok. Ma il premier non ci vuol sentire: per lui lo «scalpo» dell’art. 18 è «fondamentale»”. A pagina 3 l’apertura è dedicata al Pd: si osserva – nell’occhiello – che “Bersani incassa la legge delega e tenterà la modica dell’art. 18 in parlamento” mentre il titolo è: “Il salva-Pd è un tedesco all’italiana”. A piè di pagina 3 un ampio box è dedicato al presidente designato di Confindustria: “Formula Squinzi in Confindustria, il chimico che non ricorre all’art. 18”. 

Per il SOLE 24 ORE il titolo di apertura lo merita una frase del premier Monti: “«Articolo 18, eviteremo abusi»”. Il commento del giornale di Confindustria è appaltato a una delle prime firme del quotidiano. Quella di Guido Gentili. Titolo: “La zona franca degli statali”. Questo l’attacco del pezzo: «Non si applica. Si applica. Si può applicare, ma serve un’estensione normativa ad hoc. Non si applica, ma occorre una deroga per legge. Puntuale e controverso, affogato nei codicilli e nel vai e vieni delle competenze ministeriali, il dualismo pubblico/privato si riaffaccia in coda alle modifiche progettate dal Governo per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in particolare per ciò che riguarda i licenziamenti individuali per motivi economici.
Logica vorrebbe che per la pubblica amministrazione (gli impiegati sono 3,5 milioni, di cui 3,1 stabilmente assunti in ruolo, circa il 15% dell’occupazione totale e il 23% dei lavoratori subordinati) valgano le stesse regole ipotizzate per i lavoratori delle imprese private. Tanto più in un momento di grave crisi e di necessari cambiamenti profondi: per cui alla logica si aggiungono elementari criteri di equità sociale. Semplice? Per nulla. Perché dai sindacati e dallo stesso Governo (netta la posizione mercoledì sera del ministro Elsa Fornero che aveva smentito l'”aperturista” collega titolare della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi) era arrivato un secco stop. Gli statali, insomma, stavano fuori dalla riforma. E ci sono poi rimasti per tutta la giornata di ieri salvo, in serata, rientrarci con un piede dopo che il ministro Fornero ha richiamato in causa Patroni Griffi. Avvertendo però che le norme non possono essere applicate «pari pari» ma che questo «non vuol dire che il Governo non interverrà». La posizione ufficiale di Confindustria è sintetizzata dall’articolo a pagine 2 in cui il presidente uscente Emma Marcegaglia mette le mani avanti ribadendo il suo “«No a indebolimenti sull’art.18»”.

Titolone in prima pagina di ITALIA OGGI, “La p.a. può licenziare” e una serie di approfondimenti.  Si inizia a pag 4 con un reminder storico. Secondo il pezzo “Ma la Cgil voleva riformare l’art. 18”,  nel 1995, tutti i sindacati della commissione lavoro del Cnel dissero sì alla revisione dello Statuto. Sempre a pag 14, Luigi Olivieri, nel pezzo “Il licenziamento economico già esiste per gli statali”,  approfondisce l’applicazione dell’art. 18 al settore pubblico e ricorda come alcune di queste riforme siano già operative. A dire la sua sull’articolo 18, c’è pure Pietro Ichino. “Il pezzo “Ichino, la riforma è anche mia” riprende alcuni passaggi dell’intervento del senatore Pd alla Fondazione Marco Biagi. Sempre a pag 5, ITALIA OGGI pubblica un intervento “La Cgil frena soltanto, ma si dovrebbe chiedere cosa fare dopo lo sciopero” scritto di Peppino Caldarola ripreso dal Blog Mambo del sito Linkiesta. Tesi del pezzo: anziché rifugiarsi a tutelare la rigidità, la Cgil dovrebbe discutere come produrre nuovi lavori.

Il governo rassicura Pd e sindacati sull’articolo 18. Ma non fa marcia indietro. La normativa sui licenziamenti economici sarà riformulata per evitare la possibilità di abusi o discriminazioni da parte delle imprese, ma resterà esclusa la possibilità del reintegro del lavoratore in caso di licenziamento economico ingiustificato. Così AVVENIRE sintetizza le ultime novità sull’articolo 18: «la riscrittura si limiterà a chiarire in maniera esplicita che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento economico deve anche accertarsi che questo non nasconda motivazioni diverse, cioè disciplinari o discriminatorie». L’altolà arrivato l’altra sera dal leader Pd Pierluigi Bersani ha in qualche modo riaperto una partita che martedì sera Monti aveva dato per «chiusa», con anche la Cisl che ora vuole il modello tedesco. 

Titolo molto secco per LA STAMPA di oggi: “Lavoro, oggi la riforma”. Fra i commenti molto in vista (con tanto di richiamo in prima) l’intervista a Rosi Bindi che a pagina 5 porta un titolo molto critico col governo: “«Monti forte con operai e pensionati, debole con televisione e avvocati»”. In parole povere l’accusa è di usare due pesi e due misure: «Noi avevamo lavorato per un accordo condiviso con tutte le parti sociali e fondato sul modello tedesco. Rivendichiamo la possibilità di lavorare in Parlamento per arrivare a quella soluzione. Nei licenziamenti per motivi economici è necessario che sia un magistrato a stabilire se ci vuole il reintegro o l’indennizzo. Ci sembrava un punto di mediazione importante. Non si capisce perché sia stato abbandonato, e soprattutto come mai l’abbia abbandonato il governo». E sul professore: «la sorpresa sta nello scoprire un presidente del Consiglio fermissimo in alcune decisioni, non altrettanto in altre. Sull’articolo 18 la determinazione è la stessa che ci fu sulle pensioni; non mi sembra identica a quella vista sulle liberalizzazioni, sulle frequenze tivù, sulla lotta all’evasione fiscale». Poi l’affondo finale: « Dal mio punto di vista dico che quelle sull’articolo 18 sono scelte sbagliate. Rischiano di avvitare ancora di più i meccanismi recessivi, di aggravare l’impoverimento delle fasce più deboli». A pag 6 LA STAMPA dà un’apertura anche all’affondo della Cei, riprendendo le parole di Giancarlo Maria Bregantini, sugli effetti sociali della riforma Fornero: “«Il lavoratore non è una merce»”. 

E inoltre sui giornali di oggi:

CONFINDUSTRIA
LA REPUBBLICA – È Giorgio Squinzi il presidente designato che sarà eletto alla guida di Confindustria allo scadere del mandato di Marcegaglia. L’associazione però esce spaccata da una campagna elettorale che lo ha visto superare il falco Bombassei. «Sarò il presidente di tutti», dice Squinzi, che avverte di non sentirsi colomba. Di fatto sottolinea Roberto Mania la Confindustria non è mai stata cos divisa e cresce il ruolo dei big pubblici come Eni (che ha sei voti e che ha evitato che fra i due contendenti ci fosse il pareggio).

MIGRANTI
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina e articolo a pagina 5 sul caso dei due ragazzi bosniaci liberati dal Cie. “«I nati in Italia fuori dal Cie», la sentenza per i fratelli Seferovic”. La storia è quella di due fratelli nati in Italia da genitori bosniaci e che hanno trascorso 50 giorni nel Cie di Modena per non aver ottemperato alla richiesta di cittadinanza. La sentenza del giudice di pace di Modena viene giudicata storica, ma non basta secondo la rete che ha sostenuto la battaglia dei due giovani nati in Italia che ricorda per voce del legale come su questo casi sia già stato avviato dalla Corte di giustizia europea per i diritti umani un procedimento d’infrazione nei confronti dell’Italia.

PAPA
AVVENIRE – Il Papa oggi è in Messico. Una visita pastorale «nel nome della libertà», per tutto il Sud America. Rodrigo Guerra Lopez, filosofo, intervistato da Avvenire dice che «la fede è la via autentica per la liberazione dei popoli e il Papa, col suo messaggio evangelico, ci aiuterà a trovare nuovi cammini di libertà e nuovi percorsi di sviluppo basati sulla giustizia». A tutti i non credenti, poi, la visita del Papa ricorderà che «esiste la speranza». 

TOBIN TAX
LA STAMPA – Nuova uscita del presidente della Commissione europea Barroso a favore della Tobin Tax (LA TAMPA ne parla a pag 33, nella sezione Economia). Questo lo slogan coniato a Bruxelles: «Adottate la Tobin Tax e risparmierete  metà del denaro che ogni anno versate nelle Casse della Ue». Il pezzo del corrispondente dalla capitale belga ricorda come l’idea sia sostenuta da Francia, Germania e Italia. 

ABORTO
AVVENIRE – Un’intera pagina di intervista al cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa contro il piano Obama sulla sanità, lanciato lo scorso 20 gennaio, che impone l’aborto in tutte le strutture sanitarie, comprese quelle gestite da realtà cattoliche, senza possibilità di obiezione di coscienza.


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