Cultura

Fuoco (mediatico) a volontà

Giornali e tv durissimi e compatti contro le proteste. Perché?

di Giuseppe Frangi

Sono tutti delinquenti questi No Tav? Leggendo i giornali o seguendo radio e tv in questi giorni sembra di avere a che fare con gruppuscoli capaci di ogni violenza e vandalismo. C’è una lettura uniforme di quel che sta accadendo in Val Di Susa che assume come dogma il fatto che la Tav è una scelta giusta allineata con l’Europa, mentre chi si oppone lo fa in nome di localismo esasperato che si mette di traverso al treno della modernità.

Ma nessuno che si chieda com’è possibile che un movimento come questo abbia la forza di continuare le sue battaglie dopo, tanti, anni duri di continue demonizzazioni e di tante sconfitte. Nessuno che si chieda se quello che sta accadendo in Val di Susa non può essere liquidato con lo schema molto semplice che relega i No Tav in un estremismo fuori dalla storia e che fa, all’opposto, della Torino Lione un punto di passaggio obbligato verso la modernità. Il tono usato dall’informazione è spesso di una durezza inconsueta. Trascinando anche giornalisti tendenzialmente euqilibrati come Enrico Mentana.

L’arroccamento dell’informazione invece svela una grande debolezza: a quella gigantesca opera è stata assegnata una centralità strategica che + non ha. E il fuoco mediatico contro chi vi si oppone serve a scantonare da quella questione di fondo. Gli interessi in gioco ormai sono troppi per concdersi debolezze e ripensamenti.

Ma per fortuna la realtà a volte è dura da spianare. Così negli anni in val di Susa è cresciuta una coscienza e una visione condivisa forte, radicata e trasversale. Con la forza di chi ama la propria terra ed è ben convinto delle proprie ragioni, il No alla Tav è diventato qualcosa di molto diverso da quello che ci viene raccontato. È un fronte largo, mosso da ragioni assolutamente pacifiche (la foto in home page di Vita è davvero emblematica), capace di di aggregarsi in modo molto moderno.

In questo modo hanno messo a nudo il moloch della Tav, con le loro ragioni ma soprattutto con la costanza della loro opposizione. È questo che fa paura di loro. Oggi come ha giustamente ha detto a Vita Marco Revelli siamo guidati da una tecnocrazia feticistica e non pragmatica (qui l’intervista), che guarda più ai simboli che alla realtà. E la Tav è diventata appunto un simbolo, da cui dipenderà il lucro per nuove e antiche cricche.

Per la prima volta questa tecnocrazia deve fare i conti con una resistenza che è radicata, diffusa e consapevole. Non è il fuoco di paglia degli Indignados. E non è la rabbia a termine degli antagonisti. Per questo sui No Tav si deve sparare (mediaticamente) a prescindere. Non sia mai che il modello attecchisca e spuntino altri fronti ingovernabili qua e là per l’Italia.


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