Mondo

Il “duro” Gingrich allarma l’Europa

Dalle primarie repubblicane rispunta l'orgoglio americano

di Franco Bomprezzi

Il futuro dell’Europa dipende anche in una certa misura dall’atteggiamento che nel presente e nel futuro avranno nei confronti del vecchio continente i responsabili della politica americana. Le primarie repubblicane sono dunque un avvenimento da seguire con molta attenzione, viste le difficoltà di Obama, e l’affacciarsi all’orizzonte di nuovi protagonisti, come Newt Gingrich, vincitore in South Carolina. Ecco come i giornali del lunedì seguono la notizia.

Titolo a una colonna di spalla sulla prima del CORRIERE DELLA SERA: “Gingrich: non finiremo come l’Europa dei burocrati” scrive Massimo Gaggi. I servizi alle pagine 12 e 13. “Lo «Tsunami» Gingrich riapre la corsa repubblicana” è l’apertura di pagina 12. “Un trionfo, quello di Newt Gingrich – scrive il CORRIERE – definito dal giudice distrettuale Wilkins «la versione politica di uno tsunami». Indietro di 20 punti nei sondaggi di una settimana fa, l’ex Speaker della Camera ha raggiunto e superato Romney in pochi giorni arrivando a staccarlo di più del 12 per cento: 40 per cento dei consensi mentre l’ex governatore del Massachusetts si è fermato a quota 27,8, pur avendo avuto l’appoggio dei personaggi più in vista dello Stato, a partire dalla governatrice Nikki Haley. Staccato e anche lui deluso l’altro candidato della destra evangelica, Rick Santorum, che ha chiuso al 17 per cento, mentre il radicale libertario Ron Paul si è dovuto accontentare del 13”. E aggiunge: “Da domani lo slogan di Gingrich per scardinare Romney sarà, più o meno: l’America ha bisogno di un reaganiano audace, non di un timidone del Massachusetts. Se questo messaggio farà breccia nell’elettorato, Romney sarà spacciato. Ma non per questo il partito si rassegnerà a farsi guidare da un personaggio di valore, ma anche megalomane, capriccioso e troppo radicale come Gingrich. Sarebbe la resa a quella «politica della fatwa», gli anatemi dei radicali, che anche un giornale liberale come l’Economist considera mortale per la grande tradizione conservatrice americana”.  Paolo Valentino racconta la crisi di Romney: “La resa di Mitt: «Svelerò i miei redditi»”. “E il clima della gara repubblicana è cambiato – annota -. Gingrich ha dimostrato di essere un ciclone, soprattutto nei confronti diretti. Romney si è confermato incapace di scaldare il cuore dei militanti, inviso agli evangelici e al movimento del Tea Party. E ora è costretto a giocare in difesa. Nulla lo dimostra meglio della mossa di ieri: pressato dagli avversari, incalzato dai media, il miliardario ha annunciato che domani renderà pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi. «Abbiamo sbagliato a non farlo per così lungo tempo — ha detto —, causando un motivo di distrazione dai veri temi della campagna. E’ tempo di tornare alla sostanza: leadership, carattere, visione, lavoro, freno all’invadenza del governo federale»”. Ma è il pezzo che apre pagina 13 a interessarci maggiormente: «Europa socialista e burocratica. Difendo la mia America diversa» è il virgolettato su cui viene titolato il pezzo di Massimo Gaggi, che riesce a scambiare qualche battuta con il trionfatore delle primarie in South Carolina: “Il vincitore adesso è qui. Complimenti, Mr Gingrich. Però l’Europa non è quella cosa pessima che ha descritto lei poco fa. 
«Ma è vero che la vostra Europa si è data un modello sociale che fa trionfare la burocrazia», replica impassibile. Faccione e capelli da bambino invecchiato, gli occhi scuri, gelidi — un contrasto che ricorda quello che era stampato sul volto di Giovanni Spadolini — Newt Gingrich passa senza sofferenza e senza entusiasmo tra la massa dei supporter. E’ come se pensasse ad altro, in volo sulle loro teste. Non dà segni di fastidio quando viene spintonato, cerca solo di proteggere la moglie tenendola per mano. E non si stupisce né si irrita per la domanda di un cronista che non dovrebbe essere lì. Non ripete l’invettiva pronunciata con voce tonante qualche minuto prima davanti al suo popolo del «deep South»: «Europa socialista, assistenziale, secolare». Ora non grida ma sussurra: «Purtroppo è così. Lo dico con dolore. Quello che avete in Europa è un sistema sclerotizzato. Non dobbiamo permettere a Obama di ridurci nello stesso modo»”. E comunque il clima è quello: “Un attacco all’Europa, quello che torna di continuo nei discorsi di Romney, Santorum, Paul e, ora, anche di Gingrich, che non è fine a sé stesso: serve ad accusare il presidente democratico di voler mutuare dal Vecchio continente un modello fallito. Me lo avevano spiegato chiaramente, negli «spogliatoi» del dibattito televisivo di giovedì sera a Charleston, l’ex governatore del Minnesota Tim Pawlenty, ora passato con Romney («Non vogliamo attaccare l’Europa, solo chiarire che quello è un modello che non va bene per noi) e lo stratega della campagna del candidato mormone, Stuart Stevens: «Non ce l’abbiamo con l’Italia né con nessun altro. Ma abbiamo bisogno di riaffermare che l’America di Mitt sarà radicalmente diversa: massima libertà per i soggetti economici e Stato leggero, non l’interventismo pubblico all’europea di Barack»”.

LA REPUBBLICA apre con le riforme (“Lavoro, sconto sull’articolo 18”) e riferisce delle elezioni americane solo a pagina 21 con un pezzo di Federico Rampini: “Vince Gingrich e spacca i repubblicani «Hanno paura, mi riprenderò Washington»” è il titolo. «Il profondo Sud dà una sterzata a destra per la nomination americana» incoronando Newt Gingrich. Il quale promette: «non farò una campagna repubblicana, farò una campagna americana». Il che significa con Obama lo straniero, l’anti patriota, il nero usurpatore. Rampini lo definisce un «guitto rancoroso che calca la scena politica dai tempi di Reagan», cacciato di tempi di Clinton dai suoi colleghi per una leadership disastrosa della Camera. Di fatto la sua vittoria complica e di molto la corsa di Romney e produce un risultato forse non voluto: tre candidati si sono divisi le prime tre primarie e il rischio è che la gara diventi un gioco al massacro. Come di fatto sta avvenendo. Nemmeno Gingrich è «immacolato: ha incassato 1,5 milioni di parcelle da Freddie Mac, colosso del credito implicato nello scandalo dei mutui subprime. E su queste contraddizioni Romney parte al contrattacco». Quanto al profilo umano di Gingrich, è talmente megalomane da paragonarsi a Churchill e De Gaulle, si vanta di essere stato l’autore della riforma del Welfare (in realtà pilotata da Clinton) e di essere un grande storico. In appoggio Angelo Aquaro riferisce sulle iniziative del presidente Obama che ha lanciato una campagna per la riduzione degli aborti, sostenendo le donne incinte e le madri (ha ribadito comunque il suo «impegno a proteggere il diritto di scelta della donna»). Il commento sulla campagna Usa è di Vittorio Zucconi e ha un titolo sferzante: “Gingrich il redivivo”. I potenti del partito repubblicano avevano puntato su Romney, conservatore moderato e autorevole, una specie di «usato sicuro» (era stato eliminato già dalla corsa del 2008). La base del partito ha scelto però diversamente: «Gingrich non è eleggibile, si è sempre detto, e forse è vero. Ma nei momenti di rabbia e di confusione, molti elettori preferiscono perdere con qualcuno che rappresenta il loro malessere piuttosto che sperare di vincere con qualcuno che non ne interpreta la collera».

IL GIORNALE dedica una pagina alle primarie Usa. “Gingrich vuol fare il nuovo Reagan per vincere le primarie-maratona” è l’articolo dell’esperto di cose statunitensi del quotidiano, Giuseppe De Bellis. «Scommettete zero euro su come andrà a finire la campagna per le primarie del partito repubblicano americano. Tutto aperto, tutto incerto, tutto fluido. La vittoria in South Carolina di Newt Gingrich mette in discussione ogni potenziale certezza. Ora può vincere lui, può vincere Romney, può persino vincere qualcun altro. Niente azzardi, niente previsioni. Se un euro qualcuno lo volesse giocare, invece, allora che lo scommetta su che cosa farà adesso Gingrich: cercherà di trasmettere all’America, alla sua America, l’idea del nuovo Reagan. Lui, sì. Così si pone, così si sente: vede un Paese che ha bisogno di tornare a quegli ideali incarnati da The Gipper. Alla fine dell’ultimo dibattito stravinto in South Carolina ha detto: “Se ho vinto non è perché sono un good debater. Ma perché esprimo i valori profondi del popolo americano. Sono pronto a scontrarmi con Obama per dimostrare che è lui l’estremista”. Come a dire: io sono l’americano, lui no; io sono quello autentico, lui no; io sono quello occidentale, lui no».

Newt Gingrich spunta al centro della prima pagina de LA STAMPA, ritratto in una foto mentre si affaccia alla finestra di un ristorante in South Caroline per farsi fotografare con dei giovanissimi fans. «Gingrich crea il caos tra gli anti-Obama» è il titolo. All’interno il reportage di Maurizio Molinari. «Il successo di Newt Gingrich in South Carolina apre la strada a una sfida-maratona con l’avversario Mitt Romney che minaccia di durare fino alla convention di Tampa, in agosto. Nella notte della vittoria i sostenitori hanno ritmato il grido “Newt-Tsunami” perché sono le dimensioni di quanto avvenuto a scuotere la gara per la nomination: Gingrich ha vinto con il 40% dei voti contro il 28% di Romney, lasciando al rivale solo 3 delle 46 contee perché ha prevalso in ogni categoria di votanti, giovani e donne inclusi, rovesciando un esito che appena dieci giorni sembrava scontato. La presunta forza di Romney si è dissolta a partire da giovedì, quando nel dibattito di Charleston Gingrich ha accusato i “media liberal” di aver spinto l’ex moglie Marianne ad attaccarlo «per aiutare Obama». Newt piace alla base conservatrice perché mostra grinta e attacca l’avversario per metterlo ko. “È un candidato con la spina dorsale” sottolinea Borry Harrell, presidente della Camera in South Carolina. Romney invece appare “timido”, destinato a soccombere contro Obama». E le differenze tra i due sono al centro di uno schema a pagina 15, con le foto dei candidati. Nel frattempo, riferisce Paolo Mastrolilli, «La casa Bianca brinda all’avversario che non c’è».

E inoltre sui giornali di oggi:

8 PER MILLE
IL SOLE 24 ORE – “Millecinquecento progetti orfani dell’8 per mille”. È il titolo del pezzo di Antonello Cherchi richiamato in prima pagina.   «L’otto per mille nel 2011 ha lasciato a bocca asciutta 1.562 progetti che aspiravano a ricevere una parte dei 145 milioni che i contribuenti hanno destinato allo Stato nel 2008 attraverso la dichiarazione dei redditi. A essere penalizzati sono soprattutto gli interventi nel campo dei beni culturali, che rappresentano il 76% delle proposte arrivate alla presidenza del Consiglio. Seguono, ma a grande distanza, i progetti contro le calamità naturali (il 13% delle richieste), quelli contro la fame nel mondo (8%) e, infine, le misure di assistenza ai rifugiati. (…) gli ultimi undici anni l’otto per mille ha perso più della metà delle risorse: aveva a disposizione 1,2 miliardi, ma alla fine sono rimasti solo 510 milioni. Di fronte a ciò assume ancora più rilievo la proposta di evitare che la quota del contributo possa prendere strade diverse da quelle previste dalla legge e che i contribuenti si aspettano. Lo stop all’abitudine di svuotare il tesoretto dell’otto per mille è contenuto in un disegno di legge – frutto di un collage di diversi progetti parlamentari – approvato a fine settembre dalla Camera e ora all’esame del Senato. Il Ddl prevede nuovi criteri di ripartizione dei soldi, piano che ora predispone entro fine luglio di ogni anno la presidenza del Consiglio sulla scorta delle indicazioni delle amministrazioni competenti. Secondo la proposta, invece, anche le commissioni parlamentari – che ora hanno solo una funzione consultiva e che in passato si sono spesso trovate in disaccordo sulla ripartizione operata da Palazzo Chigi – dovrebbero dire la loro su come suddividere i soldi. Sempre che i fondi non vengano dirottati altrove. Ma anche in questo caso il Ddl impone qualche vincolo: lo storno delle risorse può avvenire solo di fronte a esigenze impreviste assolutamente straordinarie». Commento a pagina 16 “Se l’8 per mille perde la destinazione”: «I contribuenti italiani sono avvisati: quando decidono di destinare, in sede di dichiarazione dei redditi, il loro 8 per mille allo Stato fanno una donazione al buio, ossia senza avere certezza che le somme vadano esattamente nella direzione indicata dalla legge. Per esigenze di assoluta emergenza – che si manifestano puntuali fin dal 2004, sia pure in forme diverse – il fondo viene utilizzato, infatti, come salvagente di finanza pubblica, con buona pace dei progetti in lista per ottenere un finanziamento. Non che le destinazioni siano scandalose in sé: quest’anno le risorse sono state dirottate su Protezione civile, edilizia carceraria e per tappare svariate, piccole falle nei conti dello Stato. Si dà il caso, però, che la norma sull’8 per mille sia chiara nell’indicare che il gettito dovrebbe andare a quattro settori di intervento: lotta alla fame nel mondo, assistenza ai rifugiati, interventi nelle calamità naturali, conservazione del patrimonio culturale. Obiettivi ben identificati, che possono certamente ammettere eccezioni, ma non fino al punto di trasformare queste ultime in regola. E una ben magra consolazione appare l’aver inserito la tutela dei beni culturali tra le destinazioni del 5 per mille: questa norma, infatti, resta tuttora sperimentale, con perenni incertezze sul tetto di finanziamento e sui tempi nei rimborsi».

LEGA
LA REPUBBLICA – La manifestazione contro il governo si è tenuta all’insegna di una apparente ritrovata unità. Accanto a Bossi, sul palco, Maroni che però non ha parlato. Non sono mancate le contestazioni (vedi fondi in Tanzania) e gli ultimatum che vorrebbero rivitalizzare il partito. Dopo aver insultato Monti («fuori dai coglioni, attento che ti vengono a prendere a casa»: si può?) Bossi ha infatti avvertito il cavaliere: via Monti o salta la giunta Formigoni. Secondo Filippo Ceccarelli, un declino, quello di Umberto, che è un dramma shakesperiano, tra rivolte e tradimenti…

AFRICA
ITALIA OGGI –  Secondo il report Ghanaweb.com, il continente nero sarà protagonista sulla scena economica mondiale con una forza lavoro pari a 600 milioni di persone. E lo sarà con l’aiuto degli Usa. Come spiega il pezzo “L’Africa diventa l’anti Cina” «con l’invecchiamento della popolazione americana e l’allungamento della vita media sarà necessario ricorrere alla forza lavoro rappresentata dagli afroamericani  ma soprattutto dagli immigrati africani negli States».

SERVIZIO CIVILE
LA STAMPA – «Servizio civile a rischio per migliaia di volontari» è il titolo dell’articolo di Giacomo Galeazzi. «Stop a tutti gli incarichi dal 1° febbraio. Bloccati dopo la sentenza contro l’esclusione degli extracomunitati», recitano occhiello e sommario. Scrive Galeazza: «Caos nella galassia “non profit”. 18mila volontari sarebbero dovuti entrare in servizio a inizio febbraio ma le loro aspirazioni sono al momento bloccate». Il ministro Riccardi assicura: «Presentato ricorso, il bando non può essere annullato».

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