Politica
Polverini no-family
Il Lazio insieme a Campania e Sicilia è la regione più ostile alle famiglie. La proposta della Cisl
Si fa presto a dire “family friendly”. Più difficile comprendere quanto siano realmente “friendly” le politiche regionali. Tanto più nell’epoca del federalismo. A definire contorni, efficacia, criteri delle politiche locali ci pensa ora una ricerca promossa dalla Cisl, realizzata da Aretés e intitolata “Le politiche per la famiglia nelle principali regioni italiane”. L’obiettivo ovviamente quello di analizzare il grado di orientamento alla famiglia delle regioni e dei welfare regionali del Paese, applicando l’Indice sul Grado di Familiarità dei territori e delle politiche (un complesso set di vari indicatori già sperimentato dalla Cisl nel 2005).
L’indagine (che è stata presentata oggi a Roma) ha riguardato otto regioni (Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia) e consentito di individuare quali siano le cinque regioni pro-family (che si posizionano sopra la media nazionale: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia e Toscana) e quali le tre no-family (Lazio, in foto il governatore Renata Polverini, Campania e Sicilia).
Secondo la ricerca, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Toscana dimostrano di essere sistemi sufficientemente finanziati (equilibrio tra le diverse fonti di finanziamento del welfare), societari (equilibrio fra i diversi mercati del lavoro) e regolati (maggiore orientamento alla famiglia quale destinatario delle politiche e dei servizi) ma non presentano dinamiche relazionali particolarmente positive; Lombardia e Veneto, invece, si posizionano al di sopra della media in quanto sistemi relazionali e societari. Per quanto riguarda le tre regioni inserite nella categoria no-family, Lazio, Sicilia e Campania presentano come medesimo punto debole il fatto di essere sistemi non-finanziati e istituzionali (la Campania in più ha un’ulteriore debolezza normativa).
La presentazione della ricerca è stata soprattutto l’occasione per discutere la proposta del sindacato: realizzare un Piano nazionale federale per la famiglia. Gli scopi sono molteplici: valorizzare al meglio il potenziale sociale familiare e guidare i processi di orientamento alle famiglie di sistemi di welfare che si presentano diversificati.
Il Piano nazionale federale ha una importante premessa di metodo – adottare il soggetto famiglia nella progettazione, realizzazione e valutazione delle politiche – e prevede: una visione comune a livello nazionale e regole comuni; un sistema di valutazione nazionale; piani regionale per la famiglia; governance regionale delle politiche familiari. Entro questo quadro, andrebbe contestualizzato il dibattito sulla definizione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) o Livelli essenziali delle prestazioni sociali (Leps) che dovrebbero, continua la ricerca, «essere concepiti su base regionale e intesi non tanto come standard ‘cognitivi’ da applicare in maniera asettica quanto, piuttosto come obiettivi ‘rappresentativi’ costruiti sulla base di informazioni del singolo contesto regionale, comparati con riferimenti di livello nazionale e implementati attraverso percorsi di partecipazione comunitaria territoriale».
L’indagine prosegue promuovendo politiche per la nascita di organizzazioni di economia civile, accordi economico-sociali nei territori per il welfare aziendale e rilanciando il tema dell’accesso alle tariffe eque (riformulando l’Isee) e indicando nel fisco familiare uno degli strumenti moderni per andare verso l’equità
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