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E ora chi toccherà il “Porcellum”?

Il no della Consulta ai referendum rimanda al Parlamento la modifica della legge elettorale

di Franco Bomprezzi

I referendum non si faranno. Ma la legge elettorale va modificata. E’ questo il senso della decisione presa ieri dalla Corte Costituzionale. Un voto sofferto, e le reazioni politiche non si sono fatte attendere, su tutte le accuse pesanti di Di Pietro alla Consulta e al presidente della Repubblica. Ma ora il tema vero è se e come questo Parlamento sarà in grado di riformare la legge elettorale prima dello scioglimento delle Camere, perché il Porcellum, in ogni caso, agli italiani non piace affatto.

 Il CORRIERE DELLA SERA  ha una prima piena zeppa di titoli importanti. Una falsa apertura dedicata al vigile ucciso dai conducenti di un Suv, e poi, con grande evidenza, di taglio centrale, la vicenda del voto che ha impedito l’arresto di Cosentino. Il tema del referendum è però l’apertura, a due colonne, con la notizia: “Bocciati i referendum. Il Colle: rivedere la legge”. E subito sotto l’editoriale affidato al costituzionalista Michele Ainis: “Ora cambiatela, e in fretta”. Partiamo da qui: “ La Consulta – scrive Ainis -, fin dalla sentenza n. 29 del 1987, ha sempre acceso il rosso del semaforo contro i referendum totalmente abrogativi d’una legge elettorale: in caso contrario ogni legislatura durerebbe un secolo, se il Parlamento non colmasse la lacuna. Insomma l’inammissibilità di questo referendum (diagnosticata da chi scrive lo scorso 16 settembre, sul Corriere) era un po’ a rime obbligate”. E così conclude: “c’è poi, alla fine della giostra, un imperativo categorico che si rivolge alla giostra dei partiti. Cambiate questa legge elettorale, risparmiateci lo strazio del terzo Parlamento nominato anziché eletto. Spazzate via le liste bloccate, e già che ci siete anche questo premio di maggioranza senza soglia minima, un espediente che non aveva osato neppure Mussolini. Rimpiazzatela con un maggioritario puro, con un proporzionale distillato, o se vi pare con un “maggiorzionale”. Ma fatelo, non foss’altro che per dare senso al vostro ruolo in Parlamento, mentre il governo Monti tira avanti da solo la baracca. Dopotutto l’ozio è il padre dei vizi”. I servizi vanno da pagina 6 a pagina 9. Interessante l’analisi di Dino Martirano: “La Corte si spacca sull’ultimatum alle Camere”. Scrive: “Una parte minoritaria della Corte avrebbe voluto «dare l’ultimatum» al Parlamento per «costringerlo» a fare sul serio sulla legge elettorale. Alla maggioranza del plenum presieduto da Alfonso Quaranta, però, il passo è sembrato troppo lungo. E dopo la votazione sulla questione di costituzionalità — che ha premiato il partito della «non invasione di campo» — si è aperto un altro lungo dibattito sull’opportunità o meno di inserire un avvertimento al Parlamento nella sentenza che boccia i quesiti referendari. È prevalso il fronte della prudenza e così la Corte ha dato 10 giorni al relatore Cassese per poter valutare con calma se e quanto leggera dovrà essere la sua penna”. Di spalla la nota politica di Massimo Franco: “E’ probabile che il «no» della Camera all’arresto del deputato del Pdl, Nicola Cosentino, e quello della Corte costituzionale ai referendum elettorali diminuiscano la popolarità di queste istituzioni presso l’opinione pubblica. Ma per Mario Monti la sentenza emessa ieri dalla Consulta e la decisione dell’assemblea di Montecitorio potrebbero essere polizze di assicurazione per la stabilità del governo. Difficilmente un Parlamento che ha appena dato uno schiaffo alla magistratura per difendere la propria autonomia si scioglierà in tempi brevi per ripresentarsi all’elettorato. E la cancellazione dell’appuntamento referendario di primavera riduce la tentazione di interrompere la legislatura per evitarlo”. A pagina 8 le parole pesanti di Di Pietro, stigmatizzate da Pd e Udc. E a pagina 9 la reazione del Colle: “E Napolitano invita a cambiare la legge”. Ma Alessandro Trocino frena, nel pezzo di taglio: “«Via spagnola». «No, tedesca» L’intesa tra i partiti è lontana”. “Mettere d’accordo tutti i partiti è impensabile – scrive Trocino -. La cosa più facile, sostiene il pdl Osvaldo Napoli, «sarebbe un’intesa bipartisan, Pd e Pdl». Che tagli fuori la Lega da una parte e l’Idv dall’altra, e «costringa il centro a scegliere». Quale intesa, però? Il Pd ha presentato una proposta di partito (Bersani e Finocchiaro) che prevede un maggioritario misto a doppio turno con collegi uninominali per il 70%, una quota proporzionale per il 28% dei seggi e un «diritto di tribuna» alle forze minori. Modello che non tutti, tra i Democratici, apprezzano, preferendo invece il sistema tedesco di tipo proporzionale. Nel Pdl la proposta più apprezzata (Quagliariello) prevede qualche ritocco al Porcellum (la legge attuale, studiata da Roberto Calderoli) e introduce di fatto un sistema simile a quello spagnolo”.

“No ai referendum, ora la riforma”: LA REPUBBLICA sceglie la Consulta che boccia i quesiti e l’invito di Napolitano. A pagina 2 Liana Milella riferisce la decisione e soprattutto le reazioni. Cominciando con quelle istituzionali: Napolitano, Fini e Schifani si sono incontrati ieri «per esaminare le prospettive dell’attività parlamentare, con prioritaria attenzione alle riforme istituzionali». Insomma, hanno parlato del referendum e della riforma possibile, esprimendo infine la convinzione «che tocchi alle forze politiche e alle Camere assumere rapidamente iniziative di confronto concreto». Le ragioni della decisione della Consulta paiono più di opportunità che di merito: scrive Milella che «i quesiti cadono vittime della loro inadeguatezza. Secondo gli alti giudici se sottoposti al voto e approvati lascerebbero gli italiani privi di una legge per votare. Condizione del tutto inammissibile». Furibondo Di Pietro: “Siamo al regime, adesso tutti in piazza” è il titolo dell’intervista rilasciata a Giovanna Casadio. «È una giornata amara per lo Stato di diritto». La bocciatura per «non disturbare il manovratore… cioè il sistema dei partiti». Tesi che il Quirinale ha definito «insinuazioni volgari e scorrettezze». Nel retroscena Goffredo De Marchis spiega che Napolitano ha avvertito i leader di tutti i partiti del suo messaggio sulla legge elettorale e ha poi coinvolto Fini e Schifani perché si affronti subito la questione. Centrale però è la posizione dei segretari dei partiti Pd, Pdl e Terzo polo. Quanto alle posizioni il Pd corre il rischio di profonde divisioni, Casini pensa al proporzionale (che andrebbe bene pure alla Lega di Maroni), anche nel Pdl si muove qualcosa: non tutti sono allineati sul niet di Berlusconi. In appoggio pagina che sintetizza le proposte in campo: dall’uninominale al modello tedesco, sono molte le alternative al Porcellum. Il commento è di Massimo Giannini: “La frustrazione e la democrazia”. L’ultima chance per il cambiamento ancora una volta è affidata alla moral suasion del presidente della Repubblica. «Il sistema elettorale vigente resta una vergogna italiana, che ha privato gli elettori del diritto di scegliere i propri eletti, ed è servito solo a garantire quello che i costituenti di Filadelfia avrebbero definito un vero e proprio “dispotismo elettivo”. C’è un nome e cognome, al quale imputare questa vergogna: Silvio Berlusconi, l’ultimo giapponese del “Porcellum”. Insieme al povero Bossi, non a caso, è l’unico a dire ancora oggi che quella “è una buona legge”».

IL GIORNALE dedica due pagine sulla sentenza della Corte Costituzionale. Il primo di Laura Cesaretti titola “Stop ai due referendum. Nei partiti la tentazione di tenere il Porcellum”. «Il “no” della Corte Costituzionale ai due quesiti referendari che volevano abrogare la legge elettorale in vigore arriva a ora di pranzo, mentre la Camera attende col fiato sospeso il verdetto su Cosentino, e non stupisce nessuno. Era una bocciatura attesa, anche se i referendari nutrivano l’ultima flebile speranza di una sentenza fifty-fifty, che bocciasse il quesito per l’abrogazione totale e lasciasse in vita quella parziale. Certo, nelle motivazioni della sentenza (trapela dalla Consulta) verrà inserito una sorta di «monito» al Parlamento di rivedere il famigerato Porcellum, ma non sarebbe la prima volta che la Corte tenta del tutto inutilmente di usare la moral suasion nei confronti di Camere assai più recalcitranti di quanto appaia dalle pubbliche dichiarazioni a ritoccare i meccanismi della legge elettorale attuale. Un guazzabuglio di proporzionale con sbarramenti diversificati, premi di maggioranza regionali e nazionali, e soprattutto liste bloccate, che sarà pure ripugnante agli occhi del comune cittadino, ma è fantastico per le burocrazie di partito». Il secondo articolo invece è di Massimiliano Scafi, “Di Pietro perde la testa e spara alto: scelta per compiacere Napolitano”. «Un attacco durissimo, quasi ad orologeria, scattato subito dopo il no della Corte ai referendum sulla legge elettorale, replicato qualche ora più tardi al termine del voto della Camera che ha negato l’arresto di Nicola Cosentino. E dire che bastava la prima dichiarazione del leader dell’Italia dei Valori a irritare il Colle. “Il nostro Paese si sta avviando, lentamente ma inesorabilmente, verso una pericolosa deriva antidemocratica, ormai manca solo l’olio di ricino”. Per Di Pietro la Corte Costituzionale sul Porcellum non ha emesso un verdetto giuridico. “Ha fatto una scelta politica per fare un piacere al capo dello Stato, alle forze politiche e alla maggioranza trasversale e inciucista che appoggia Mario Monti”. Insomma, sostiene, un mezzo golpe. “Un’operazione che rischia di farci diventare un regime”».

Richiamo con vignetta di Vauro nella prima pagina del MANIFESTO  che apre ancora sulle liberalizzazioni e le sue ricadute sull’articolo 18 e la privatizzazione dell’acqua. Vauro disegna una scheda referendaria con un disegno osceno e il titolo “Referendum – Scheda nulla”. Subito sotto l’inizio dell’articolo di Gaetano Azzariti “Un referendum inammissibile” che esordisce «Non sarà direttamente il popolo a cancellare l’attuale sistema elettorale per tornare al precedente sistema maggioritario. In effetti, la richiesta dei promotori del referendum per il ripristino del Mattarellum è apparsa sin dall’inizio una forzatura istituzionale e un bizantinismo politico. Bene dunque ha fatto il giudice costituzionale a decretarne l’inammissibilità (…)». L’articolo poi prosegue a pagina 6 completamente dedicata al tema. Azzariti argomenta «Spetta al parlamento e alle forze politiche modificare una legge che non ha nessuna legittimazione e che contrasta con ogni possibile concezione di democrazia rappresentativa (…) Facciamo dunque un appello ai partiti: salvate voi stessi e assieme a voi la democrazia rappresentativa (…)» e prosegue: «C’è un filo rosso che lega l’attuale legge elettorale a quella precedente, e collega altresì la profonda crisi di tutte le nostre istituzioni rappresentative (fatta salva la presidenza della Repubblica). Questo filo rosso sta soffocando il Paese e la democrazia, un filo che si è cominciato a tessere nel 1993 quando si è pensato si potessero, in nome della governabilità, sacrificare le ragioni della rappresentanza (…)» E conclude: «È quel filo che i partiti devono riuscire a tagliare prima di trovarsi imprigionati. Il tempo rimasto è poco». La pagina si apre con il titolo “La odiano tutti, infatti non si tocca” mentre il sommario generale della pagina sottolinea “Porcellum – Da Napolitano a Bersani: ora si muovano le Camere. Ma il Cavaliere è chiaro: il sistema che c’è è buono, al massimo serve un ritocco per il senato. Bossi: si va al voto con questa legge”. L’articolo generale riporta le posizioni dei diversi partiti e dei referendari e si conclude con una riflessione di Rosy Bindi: «Tutte chiacchiere, dice Rosy Bindi: perché il voto su Cosentino ha messo in luce che tra Bossi e Berlusconi “c’è un patto che riguarda anche la conservazione di questa pessima legge, cucita su misura per tutelare le convenienze di Pdl e Lega”».

Strillo in prima e servizio a pagina 22 per il no della Consulta sul SOLE 24 ORE.  L’analisi di Stefano Folli, che vede nel no della Consulta un punto a favore del Governo: «al di là del merito dei quesiti, una campagna referendaria che si fosse svolta contro il Parlamento dei “nominati” sarebbe stata molto delegittimante per le due assemblee e molto destabilizzante per il governo in carica. Nel fatidico paese “normale”, tante volte evocato, un referendum si svolge in parallelo alla politica istituzionale e convive con essa. Da noi, con un governo “tecnico” in carica e i partiti frustrati in un angolo, tutte le tensioni si sarebbero addensate sulla scadenza referendaria. Con esiti prevedibili. Fa male Antonio Di Pietro a scagliarsi con tanta veemenza contro i giudici e a mancare di rispetto anche al presidente della Repubblica. Perché adesso il vero problema non è lacerarsi, ma utilizzare bene il tempo in Parlamento in vista di cambiare il “Porcellum”. È un po’ strano che autorevoli esponenti di forze rappresentate alla Camera e al Senato ritengano che l’unico modo per modificare una legge sia quello di passare per un referendum. Talvolta è accaduto (e spesso le indicazioni del corpo elettorale sono state poi disattese), ma nel caso in questione – la riforma elettorale – il Parlamento è il luogo per eccellenza adatto al compito. Non stupisce perciò l’invito che viene dal capo dello Stato. Nelle sue parole c’è un giudizio molto negativo nei confronti della legge attuale e una sollecitazione ai parlamentari affinchè provvedano a correggerla. Al tempo stesso Napolitano ricorda l’esigenza di avviare e concludere in tempi ragionevoli un significativo lavoro di riordino istituzionale. Un Parlamento che voglia rendersi utile in questi mesi deve solo scegliere con che cosa cominciare. Quello che dovrebbe essere chiaro a tutti è che esiste un obbligo morale verso i cittadini, siano essi firmatari del referendum o no: restituire al popolo il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Purtroppo non c’è da essere troppo ottimisti al riguardo: in tanti, senza dirlo, preferiscono giocarsi le carte elettorali, quando sarà, con il terribile “Porcellum”».

Su ITALIA OGGI interviene Marco Bertoncini con un pezzo “Elezioni, ai partiti va bene cosi” a pagina 5. E lo fa con la sua solita ironia:«Il porcellum puzzerà di maiale ma il porco  è pur sempre un animale graditissimo ai gastronomi». Ancora Bertoncini: «Si fingerà presto di avviare le discussioni, senza dubbio; ma si può star certi che si procederà lento pede, scegliendo con calma gli interlocutori, mercanteggiando sulle proposte, affinando le prospettive elettorali sulla base di futuri sondaggi».

“Il giorno dei no”, titola AVVENIRE in prima pagina, sintetizzando i due eventi politici di ieri: “La Camera salva Cosentino, la Consulta boccia i referendum”. Il commento, nella pagina degli editoriali, è affidato a Sergio Soave, che mette da parte le polemiche di parte entrando subito nel merito del “perché” giuridico della bocciatura: «La Corte costituzionale ha confermato la sua tradizionale giurisprudenza, che considera inammissibili i quesiti referendari che non siano tali da rendere immediatamente efficace la situazione legislativa che si verifica in caso di abrogazione di parte di una normativa, e quindi ha bocciato quelli proposti per cassare o modificare la legge elettorale in vigore». E, passate in rassegna le posizioni dei vari gruppi politici emerse, con più o meno vis polemica, dopo la scelta, allarga la riflessione. «Non è solo la legge elettorale, ovviamente, la causa dei fenomeni di scarsa governabilità che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio. Ci sono cause istituzionali, a cominciare dal bicameralismo ripetitivo e dalla pletoricità del numero dei parlamentari (difetti che tutti dicono di voler superare e che forse oggi si potrebbero correggere con una riforma condivisa) e cause politiche. Tra quelle politiche primeggia il modo in cui sono state costruite le coalizioni, basate soprattutto sulla volontà di escludere gli avversari dal governo e poco sulla coerenza degli obiettivi. È questo il difetto originario del bipolarismo all’italiana, che ha condotto già in varie occasioni a una paralisi della dialettica politica. Il pregio del bipolarismo, che ha consentito di mettere alla prova delle responsabilità di governo tutte le espressioni politiche, senza esclusioni preventive e che ha conferito all’elettorato una funzione decisiva nella scelta di chi deve governare, è un tratto comune di tutte le grandi democrazie e va tenuto in gran conto. L’interpretazione del bipolarismo come scontro senza quartiere, demonizzazione sistematica dell’avversario, offuscamento della comune responsabilità nazionale, invece, si può e si deve superare. Al Parlamento c’è perciò da augurare un lavoro serio e buono».

«La Consulta boccia i referendum» è il titolo di apertura de LA STAMPA. La notizia viene commentata dell’ex Presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo: «Come era prevedibile, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le due richieste», scrive il giurista. «Parlando di prevedibilità non alludo però certo all’asserito peso di organi o soggetti politici su queste decisioni della Corte Costituzionale. Conosco per esperienza personale l’infondatezza di tesi del genere nel funzionamento di un organo che è e resta autorevole proprio perché non si riduce ad una articolazione marginale del sistema politico. Anzi, va detto che semmai sono tentativi di condizionamento della autonomia della Corte proprio alcune strumentali campagne di stampa che asseriscono perentoriamente l’esistenza di pressioni politiche sulla Corte o riducono a schemi politici i complessi confronti che si sviluppano all’interno di questo organo». Il commento di Luigi La Spina invece si sofferma su come viene percepita la politica dopo la giornata di ieri: «Chiusi nel bunker» è il titolo. Scrive La Spina: «Le coincidenze, nella vita, sono casuali. In politica, invece, sono determinanti, perché sono capaci di imprimere un significato unitario a eventi apparentemente non collegati tra loro. La giornata di ieri ne ha fornito un altro inequivocabile esempio: il “no” della Consulta ai referendum elettorali e quello del Parlamento all’arresto di Cosentino, piovuti contemporaneamente sulla testa di un’opinione pubblica a dir poco sconcertata, hanno rafforzato l’impressione di una classe politica sempre più chiusa nel bunker. Sorda e persino irridente rispetto alla sensibilità, agli umori, alle speranze dei cittadini. È logico, è giusto ed è anche augurabile che le distinzioni e le responsabilità non si confondano in una esasperazione di sentimenti demagogici. Le scelte della Corte Costituzionale riflettono indubbie difficoltà giuridiche a contraddire una costante linea interpretativa sulla cosiddetta questione della «riviviscenza» di una legge modificata rispetto a quella che si vuole cancellare». A pagina 3 il corsivo della “Jena” Riccardo Barenghi: «A proposito, non era mica tanto cretino quel cretino che disse che la democrazia era sospesa». Dell’argomento si occupa anche il direttore Mario Calabresi nella pagina delle lettere: «Se mettiamo da parte le letture semplificate e le emozioni dello stomaco, allora i due no di ieri non possono essere letti come parte di uno stesso disegno. Da un lato c’è una decisione, quella della Corte Costituzionale, che può deludere e anche addolorare (penso a tutti quelli che hanno lavorato per mobilitare l’opinione pubblica e raccogliere le firme) ma che va letta solo nel suo contesto esatto. I giudici dovevano decidere dell’ammissibilità del quesito referendario e non certo dare un giudizio sulla legge. Anche perché con questo sistema elettorale abbiamo già votato due volte e nessuno aveva formalmente sollevato un’obiezione di costituzionalità. Il fatto che una legge sia oscena non significa automaticamente che violi la Costituzione. E non si può nemmeno chiedere ai giudici di farsi carico della delusione o delle aspettative di chi ha raccolto le firme, sarebbe una cosa pericolosissima: devono valutare solo secondo la giurisprudenza e i precedenti. Così come non si può applaudire la Corte un giorno, presentandola come eroica, e bollarla come sintomo di regime un altro, solo sulla base dell’adesione alle proprie convenienze. Resta l’amaro in bocca per una legge con cui non vogliamo davvero più votare: da oggi l’opinione pubblica tutta dovrebbe tenere sotto pressione il Parlamento perché la cambi al più presto».

E inoltre sui giornali di oggi:
 
NUCLEARE
IL MANIFESTO – A pagina 9 trova spazio un ampio articolo dedicato a una “mobilitazione dal basso di cittadini, scienziati e attivisti antinucleari” il tutto avviene in Giappone. A firmare l’articolo, intitolato “«Partire da Fukushima»: una grande conferenza per «uscire dalla dipendenza» dell’energia atomica” è  Yukari Saito. Si annuncia una mobilitazione di circa 10mila persone che parteciperanno a una conferenza a Yokohama domani, mentre  – ricorda il sommario “a Osaka e Tokyo si raccolgono le firme per indire dei referendum”. La conferenza è organizzata da sei associazioni antinucleari giapponesi tra cui Peace Boat e Greenpeace Japan. Nell’articolo si sottolinea la novità di questa mobilitazione e il fatto che «Per la società giapponese, ancora abituata a delegare le decisioni ai dirigenti politici, sarà impresa irta di ostacoli: ma la conferenza sul “mondo libero dal nucleare” servirà a favorire la presa di coscienza e far circolare informazioni».

SCUOLA E DISABILI
AVVENIRE – A pag. 12 presenta e approfondisce il rapporto Istat su scuola e disabili, riferito all’anno scolastico 2010/2011. Dei 139mila studenti con difficoltà (il 3% della popolazione scolastica) solo la metà partecipa alle attività extradidattiche. E anche gli stessi edifici non sempre sono in grado di superare i problemi di accesso per gli alunni con disabilità motorie. La fotografia che emerge dallo studio non è molto positiva. Dato importante è quello relativo agli insegnanti di sostegno. “Sono complessivamente poco più di 63mila, secondo i dati forniti dallo stesso ministero della Pubblica Istruzione. Il loro ruolo è fondamentale, non solo per sostenere lo studente nel percorso di studi, ma anche «per promuovere e favorire il processo d’inclusione scolastica» dello studente disabile stesso. Secondo le cifre fornite dal ministero e dall’Istat, sulla carta vi sarebbe un rapporto di 1,8 alunni con disabilità ogni insegnante di sostegno nella primaria e 1,9 nella secondaria di primo grado. Le differenze territoriali, però, sono molto marcate: la Provincia autonoma di Bolzano, per entrambi gli ordini scolastici, ha un numero maggiore di alunni per insegnante di sostegno (3,5 alunni nella primaria, 4,2 alunni nelle medie). Il rapporto più basso si riscontra in Molise per la scuola primaria con 1,4 alunni per insegnante di sostegno e in Sardegna per la scuola secondaria di primo grado con 1,6 alunni. Differenze anche per le ore settimanali assegnate in media all’alunno con disabilità, che solitamente risultano maggiori nelle Regioni del Mezzogiorno, mentre sono più basse in quelle del Nord. Ma in tutta Italia le famiglie degli alunni disabili chiedono l’aumento di queste ore, così come la maggior presenza di altre figure professionali che aiutino in particolare gli studenti disabili con difficoltà di movimento”.

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