Politica

Cameron, il guastafeste

Il premier inglese boccia la Tobin Tax, Europa in difficoltà

di Franco Bomprezzi

Passa dall’Europa una vera risposta alla crisi dei mercati, ma le notizie che provengono dai Paesi europei, non solo dell’area Euro, non sono incoraggianti. In particolare al centro dell’attenzione il no alla Tobin Tax dichiarato in modo secco e netto da Cameron, il premier inglese. In questo quadro complesso si compie la missione difficile del premier Monti.

Il CORRIERE DELLA SERA dedica il titolo forte alle dichiarazioni di Monti, ieri sera a “Che tempo che fa?”, ma subito sotto viene segnalata la “Lite sulla Tobin Tax”. Servizi alle pagine 12 e 13. “«Bloccherò la Tobin tax» L’anatema di Cameron” titolo che apre pagina 13. Scrive  Fabio Cavalera: “La City non si tocca e guai a chi ci prova. A David Cameron non piace l’insistenza di Sarkozy e della Merkel sulla Tobin tax (a proporla fu nel 1972 il premio Nobel per l’economia James Tobin), di conseguenza minaccia di esercitare il suo diritto di veto al prossimo Consiglio europeo del 30 gennaio, in sostanza bloccandolo, se dovesse entrare nell’agenda l’applicazione della tassa sulle transazioni finanziarie. Londra fa quadrato contro il progetto che tanto sta a cuore al presidente francese e alla cancelliera tedesca perché, a sentire il premier britannico, si tratterebbe di un balzello che colpirebbe e metterebbe a rischio il business nel Miglio Quadrato. «Nel summit di fine mese a Bruxelles si deve parlare di come rilanciare la crescita e la competitività. L’introduzione di nuove tasse non è all’ordine del giorno». Così ha tuonato Cameron alla Bbc in una vigilia di tensione nell’attesa della riapertura delle Borse”. Di taglio centrale un interessante pezzo di Giuseppe Sarcina: “La carica dei 101 negoziatori europei al tavolo delle riforme”. Ecco l’attacco: “Metti cento e uno negoziatori intorno a un lungo tavolo ovale, disposti su due file e divisi in quattro settori. Prevedi una sessione di lavoro di almeno 7 ore, meno quarantacinque minuti per la pausa pranzo. Ascolta gli interventi di un rappresentante per ciascuna delle 34 delegazioni, moderate da un presidente lussemburghese, Georges Heinrich. Esamina un centinaio di emendamenti, prendi nota delle riserve e dei «memorandum», sempre e solo in inglese (senza traduzioni). E alla fine incrocia non le dita, ma politica e arte diplomatica e spera che da qui nasca effettivamente il Trattato della nuova «Unione economica rafforzata»”. Stefania Tamburello a pagina 12 analizza invece le mosse di Francia e Germania: “Il piano crescita di Merkel e Sarkozy”. “Inizia con l’incontro tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel la settimana europea che vedrà anche il premier italiano, Mario Monti, volare a Berlino per vedere mercoledì il capo del governo tedesco – spiega la giornalista del CORRIERE –  L’incontro a tre è previsto a Roma per il 20 gennaio ma non sarà facile per Monti tenere il passo dell’accoppiata franco-tedesca. Soprattutto se, come suggerisce il «Financial Times», Sarkozy e Merkel utilizzeranno il loro faccia a faccia non solo per tirare le fila delFiscal compact, il patto sulle nuove regole di rigore sui bilanci messo in piedi a Bruxelles prima di Natale. Ma anche per confrontarsi su un piano per la crescita e per il lavoro da presentare ai partner europei nei successivi incontri bilaterali e poi nelle riunioni collegiali dell’Eurogruppo e del Consiglio di fine mese”. 

LA REPUBBLICA riferisce la posizione inglese in prima ma a taglio centrale: “Cameron non si piega: niente Tobin Tax”. Il pezzo, di Enrico Franceschini, a pagina 10: David Cameron «è sempre più il guastatore della Ue, distanziando la Gran Bretagna dall’Unione europea e ribadendo che la priorità di Londra è “difendere la City”, ovvero il suo ruolo di una delle prime, se non la principale, capitale mondiale della finanza». «Non mi pare logica», ha detto ieri, «l’idea di una nuova tassa europea sulle transazioni finanziarie quando una tassa del genere non verrebbe applicata altrove. Noi abbiamo uno dei mercati finanziari più competitivi e di maggiore successo e una tassa soltanto europea lo danneggerebbe, ci costerebbe posti di lavoro e gettito fiscale, vedremmo molte delle aziende del settore andarsene da Londra». Domani inizia una serie di incontri tra Sarkozy e Merkel a Berlino. Poi Monti andrà a Londra il 18 gennaio. Di spalla un dossier spiega che la nuova imposta porterebbe doppio beneficio: aiuterebbe i conti statali e frenerebbe la speculazione. Non facendola si incasseranno 50 miliardi in meno. La proposta prevede due aliquote davvero basse: lo 0,1% su azioni e obbligazioni e lo 0,01% sui contratti derivati.

IL GIORNALE dedica alla tassazione finanziaria europea un articolo di Claudio Borghi che titola “Tobin Tax, quel pasticciaccio per Mr Monti”. Nel sommario si legge «la tassa sulle transazioni finanziarie: Sarkozy la vuole, la Merkel anche, gli inglesi no. E hanno ragione loro». Scrive il giornalista «Era destino: il primo serio grattacapo internazionale del Governo Monti doveva venire proprio dal terreno a lui più congeniale, vale a dire quello delle tasse. In Europa infatti sta salendo il livello dello scontro attorno all’introduzione della cosiddetta “Tobin tax”, un’imposta sulle transazioni finanziarie che deve il suo nome dall’economista premio Nobel James Tobin, che la teorizzò all’inizio degli anni ’70». La situazione per Borghi è chiara e semplice «Il più deciso a volere l’imposta è il presidente francese Sarkozy, che ha annunciato l’intenzione di procedere unilateralmente alla sua introduzione anche in caso di disaccordo dei partner europei. La Germania esita e il premier inglese Cameron ha detto chiaro e tondo che non si sogna neppure di imporre la tassa. E qui nasce il dilemma di Monti, finora tutto teso a cercare accordi globali caratterizzati da quell’unanimità ideale, presupposto per formule vuote e di efficacia nulla, che era alla base della formulazione idealista (e fallimentare) dell’Europa Unita. Niente meglio della Tobin Tax può infatti far cadere i paraventi di buone intenzioni con cui si intessono gli inconcludenti summit europei per rivelare quello che di inconfessabile c’è dietro ad ognuno di essi, vale a dire il solito vecchio interesse nazionale, sempre dimenticato dall’Italia, abituata a subire ogni decisione confidando in qualche scappatoia in extremis ed invece sempre perseguito con spietata ferocia dai finti amici dell’Europa».

 Piccolo richiamo in prima pagina de LA STAMPA su “Tobin tax, Europa divisa Londra sfida Parigi e Roma”, il rinvio è a pagina 8 interamente dedicata al tema. Apertura dedicata a ricostruire il panorama europeo “Monti apre all’introduzione. Cameron: pronto a bloccarla Parigi: in vigore dal 2012. Oggi l’incontro Merkel – Sarkozy”. Quattro riquadri danno i numeri: 57 (i miliardi di euro che renderebbe la Tobin tax) – 40 (i miliardi di euro in cui viene calcolato l’importo che arriverebbe dalla sola City londinese) – 10% il peso della City sul Pil britannico e 2014 (la data di introduzione ventilata dalla Commissione Europea). A piè di pagina si dà invece voce alla City milanese che boccia la Tobin Tax “Se non la adottano tutti rischia di fare solo danni”. Nell’occhiello vengono riportati i pareri di Andrea Beltratti (presidente del consiglio di Gestione di Intesa Sp) e Marco Onado (presidente Pioneer Global Am – gruppo Unicredit) che rispettivamente osservano: «difficile applicarla a Milano e non a Londra) e «misura utile». Si legge nell’articolo a quattro mani di Mastrobuoni e Paolucci «(…) da Londra a Milano il clima non è molto favorevole alla Tobin Tax. Primo, perché la London Stock Exchange controlla Borsa Italiana (…)» Si presentano poi i pareri di Beltratti e Lucrezia Reichlin (docente alla London Business School e consigliere indipendente Unicredit) che sono contrari e di Onado favorevole anche se osserva che è «indispensabile che venga adottata globalmente, non può rimanere circoscritta all’Europa». Un ultimo parere è quello di Filippo Altissimo cui è affidata l’ultima parola dell’articolo: «è evidente che bisogna cogliere il momento giusto. E questo non lo è». 

E inoltre sui giornali di oggi:

AGRICOLTURA
LA REPUBBLICA – “Ue: soldi ai contadini che salvano il paesaggio”. La bozza della nuova Pac, la Politica agricola comunitaria, inizia il suo iter. In sette anni saranno destinati 400 miliardi di euro (1,2 dei quali per sostenere il greening, ovvero gli interventi agro-ambientali). Saranno premiati quanti differenzieranno le colture e salvaguarderanno terrazzamenti, paesaggio e ambiente. In appoggio intervista al ministro italiano delle politiche agricole, Mario Catania: lo sforzo chiesto agli agricoltori è troppo pesante, loro non vanno a Cortina con il Suv, chi li sfrutta sì; bisogna far funzionare meglio la filiera e proseguire sulla tracciabilità degli alimenti.

VOLONTARIATO
IL SOLE 24 ORE – “Il volontariato si fa impresa”. Articolo di Elio Silva sui dati Istat: «La crisi mette in discussione i modelli di sviluppo, ma non intacca, anzi sembra rafforzare il patrimonio del volontariato, che nel nostro Paese ha chiuso il 2011 con una dote di 40mila organizzazioni e 3,5 milioni di aderenti, tra i quali i giovani (under 25) hanno superato la soglia del 10%, rispetto al 9,2% del 2009. Le attività svolte, pur ispirate al principio di gratuità, hanno tuttavia un rilevante valore economico e, in alcuni settori (sanità e assistenza sociale, cultura, ambiente, tutela dei diritti) hanno di fatto assunto un peso decisivo ai fini della sostenibilità dei servizi. Così, un po’ a sorpresa, emerge che, se da un lato esiste il rischio che il volontariato venga utilizzato per fare “concorrenza al ribasso” al lavoro, dall’altro si moltiplicano però i casi in cui, proprio partendo da una spinta volontaria e dalla relativa assunzione di responsabilità, nascono vere e proprie forme di impresa, con la creazione di posti di lavoro. (…) Sulla base di uno studio reso pubblico nel luglio 2011 per l’Osservatorio sull’economia sociale del Cnel, dal quale è emerso che le attività di volontariato producono un valore economico di quasi 8  miliardi di euro e hanno un peso equivalente a 385 mila posti di lavoro a tempo pieno, un ulteriore approfondimento ha evidenziato che le attività prestate in base al principio di gratuità arrivano a rappresentare intorno all’80% di quelle disciplinate da contratti a tempo indeterminato. In poche parole, la “trazione” del volontariato produce, all’interno delle organizzazioni non profit, significativi effetti anche sul lavoro dipendente.

HAITI
LA STAMPA – Ampio richiamo al centro della prima pagina con un foto di bambini per “Haiti, il futuro è la generazione terremoto” come recita il titolo, mentre l’occhiello ricorda “Nell’isola ancora in ginocchio la speranza sono un milione di bambini già tornati a scuola”. Due le pagine dedicate al rapporto Unicef a due anni dal terremoto del 12 gennaio. Nell’articolo si dà conto di quanto è stato speso in questi due anni e delle attività che sono state portate avanti, ma anche del fatto che ancora 550mila persone continuano a vivere in tendopoli e strutture di primo soccorso e non più del 50% delle macerie è stato rimosso. Base di tutto l’articolo è il rapporto “Children of Haiti: two years after” di Unicef e un’intervista a Françoise Gruloos-Ackermans, rappresentante Unicef ad Haiti. 

COOPERATIVE
IL SOLE 24 ORE – “Flessibilità e innovazione aiutano le cooperative”. «La premessa è che, in tempi di crisi come l’attuale, nessuna attività d’impresa può dirsi al riparo dalle avversità. Detto questo, però, l’economia cooperativa, considerata sia in generale, sia nella variante specifica della cooperazione sociale, sta affrontando la tempesta con armi appropriate: un buon equilibrio patrimoniale ed economico, una struttura dei costi più flessibile rispetto alle altre forme giuridiche d’impresa, una forte capacità di innovazione. E se non persistessero le due grandi incognite rappresentate dall’accesso al credito e dai ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni si potrebbe anche intravvedere un orizzonte colorato di rosa. Anche perché, fin qui, la cooperazione ha saputo confermare nei fatti quello che nei manuali di economia viene descritto come un obiettivo strategico, ossia conciliare la produttività con la responsabilità sociale. A tracciare questa analisi, sorretta da un’abbondante messe di dati, è un rapporto che Euricse, fondazione di ricerca europea che fa capo all’università di Trento, ha reso pubblico per il 2012, proclamato dall’Onu anno mondiale della cooperazione. Lo studio, che raccoglie i frutti di un lavoro pluriennale e introduce indici specifici per la misurazione dell’economia cooperativa, descrive un comparto che nel nostro Paese, quanto meno sul piano numerico, continua a crescere, con 71.578 società operative (il 7,5% del totale di quelle tenute alla pubblicazione dei bilanci) e 1.155.290 lavoratori dipendenti, intorno al 5% dell’occupazione complessiva, mentre il valore della produzione tocca i 108 miliardi di euro».

ITALIA OGGI – “Dalla Solidarietà all’anti-mafia. La Cooperazione crea lavoro”. A pag 52 e 53 un viaggio nel mondo delle Coop. Numeri, prospettive, punti di forza ed anche alcuni approfondimenti con le interviste e Giuseppe Guerini ( presidente di Federsolidarietà-Confcooperative) che spiega come le coop rappresentino un opportunità per le categorie svantaggiate, e a Umberto di Maggio, coordinatore di Libera Sicilia, che piega quali sono i fondamenti di una coop nata sulle cenerei del potere mafioso.


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