Famiglia

I calciatori senza portafoglio

Campionato 2001/ Viaggio tra i disoccupati del pallone

di Redazione

Arriviamo a Coverciano alle undici e trenta. Ci saranno 40 gradi all’ombra, peccato che nel parcheggio del centro tecnico di ombra manco a parlarne. Entriamo nell’atrio: lo sguardo ed il cuore sono attratti da una gigantografia della nazionale italiana. è la formazione che ha espugnato Wembley nel 1973, con Causio e Benetti senza baffi. Nell’Aula Magna, intanto, i “disoccupati” stanno seguendo la lezione mattutina per conseguire il patentino di allenatore di base. La stanza adiacente al bar è tappezzata dalle foto dei campioni del mondo di Spagna; sopra un tavolino c’è una Gazzetta lasciata aperta alla pagina del mercato… E’ stridente il continuo accostamento tra i momenti più gloriosi del nostro calcio e la realtà di decine di calciatori senza contratto. Che sono sempre di più e sempre più giovani, con al massimo due o tre campionati di serie C alle spalle: soldi da parte per smettere non ne hanno; così come non possono inventarsi una professione in un giorno. Sveglia alle 7 L’Associazione italiana calciatori ha organizzato, per la sedicesima volta, un ritiro di preparazione riservato ai calciatori senza contratto. Interessante è la doppia proposta che viene fatta: sedute tecnico-atletiche da un lato e corso per allenatori di base, dall’altro. «In questo modo», afferma Nicola Bosio, addetto stampa dell’Aic, «i ragazzi oltre al mantenimento della miglior forma fisica, possono acquisire il patentino di allenatore di terza categoria». Lo staff tecnico che guida il Centro è guidato da Roberto Clagluna che si avvale della collaborazione di cinque allenatori, due preparatori atletici, oltre a medici, massaggiatori e magazzinieri. La giornata è intensa: dalla sveglia alle 7 alla “ritirata” delle 22.30 ci sono due sedute atletiche e tre lezioni in Aula Magna. «Quest’anno gli iscritti sono saliti a 60», ci informa Bosio, «e altri trenta sono in lista di attesa. Ci sono Annoni, Di Carlo, Allegri. Ma il grosso viene dalla C». «Qest’anno tanti giocatori come me sono rimasti fregati dalla regola degli under»: così apre il dibattito Davide Vagnati, 23 anni, l’anno scorso alla Biellese in C2. «è stato deciso che tutte le squadre di C devono schierare fin dall’inizio un giocatore nato nel 1981 e un altro del 1983. Risultato: non c’è più spazio per quelli della mia età. Penso che tutto questo sia profondamente ingiusto». è sinceramente amareggiato (eufemismo) Vagnati e trova piena solidarietà in Gianpaolo Di Magno, 27 anni, già portiere della Roma, ultimo anno a Macerata e Nicola Bambini, difensore, classe 73, ex Triestina: anche per loro il mancato rinnovo del contratto ha le stesse radici. «è giusto che la gente sappia che non esistono solo i miliardi della Serie A», afferma Bambini, «ma anche situazioni come le nostre. Che non sono paragonabili a quelle di altre categorie di lavoratori, ma che comunque, ci pesano. Certo è che questa realtà non deve essere vissuta come un dramma: dobbiamo rimanere sereni e avere la convinzione che, prima o poi, una squadra ci chiamerà. Il fatto che adesso mi fa un po’ sorridere è che, negli anni scorsi, vedendo alcuni dei miei compagni senza contratto, mi veniva da scherzarci su. Purtroppo un giovane non lo mette in preventivo di potersi trovare a spasso, senza squadra». «Ed è proprio così», sembrano dire in coro Vagnati e Di Magno, «non si mette assolutamente nel conto che un giorno potrai essere disoccupato». «Ed è comunque pesante», continua Vagnati, «per un giovane come me che ha pochi campionati alle spalle, accettare questa realtà». La parola al veterano Partecipa alla discussione anche Enrico Annoni, sicuramente il disoccupato più famoso, con i suoi trascorsi in serie A nel Como, nel Torino e nella Roma e di ritorno dall’esperienza (tre anni) in Scozia con il Celtic Glasgow con cui ha vinto anche uno scudetto. «Ho scoperto le problematiche dei miei colleghi di serie C proprio in questo ritiro. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di aver sempre giocato ad alti livelli: certe situazioni le ho conosciute parlando con loro e discutendone insieme. Io ho 35 anni e sono qui principalmente per partecipare al corso di allenatore di base. Ma questi ragazzi, no. Loro stanno cercando un’occupazione. E, per quello che stanno facendo in questo ritiro, per come si allenano, per la rabbia che ci mettono dentro, dico che meritano senza dubbio di trovare al più presto una giusta sistemazione«. «Per noi è un grosso stimolo poterci allenare con personaggi come Annoni o Di Carlo», è Nicola Bambini che parla, «gente che non ha molto più da chiedere al calcio giocato, ma che qui si impegna e si sacrifica come un ragazzino. Ci danno molta carica ed il loro esempio è fondamentale«. «La cosa bella» aggiunge Annoni, « è che fin dai primi giorni si è creato un ottimo clima di squadra. C’è la consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca e, dunque, di volere tutti allo stesso modo l’identico obiettivo». Si sente che l’aria è buona: si respira a pieni polmoni, nonostante l’afa del primo pomeriggio fiorentino. C’è unione tra i ragazzi, c’è solidarietà: una solidarietà che è capace di minare tutte le gerarchie, di rovesciare i ruoli. C’è il calciatore affermato che si toglie il cappello davanti alla dedizione del compagno meno fortunato; c’è il campione che porta la borraccia per i gregari. In una parola: c’è rispetto. A riportare un po’ di turbolenze è il solito Vagnati che ad un certo punto sbotta: «Il problema non è solo ‘sta regola dell’under 20. è che c’è troppo squilibrio tra serie A e B, da un lato e serie C, dall’altro. Noi calciatori non possiamo contare su minimi sindacali dignitosi. è tutto sproporzionato». «Ci sono troppi soldi che circolano nei livelli superiori», aggiunge Bambini, «il business che c’è intorno al calcio ha qualcosa di incredibile, ma il ritorno si ferma al massimo alla serie B. Qualcuno crede che in C si guadagnino centinaia di milioni: beh non è così». Gianpaolo Di Magno ha un’idea precisa sui mali del calcio: «La televisione ha ucciso il calcio di categoria. L’anno scorso alle nostre partite venivano pochissime persone. La maggior parte era nei bar a vedersi in diretta la Roma o la Lazio». Annoni concorda con i ragazzi: «Fino ad oggi è stato fatto di tutto per complicare il calcio. L’unica innovazione che, a mio avviso, ha dato qualche risultato è quella dei tre punti a vittoria. Per il resto ci sono stati troppi cambiamenti regolamentari inutili ed una strumentalizzazione del calcio che ha raggiunto livelli insopportabili». Davide Vagnati ascolta tutti, ma non ce la fa a trattenere un pensiero che gli sta troppo a cuore: «Un ragazzo di 18 anni non è pronto per affrontare un campionato che ti guarda in faccia come quello di serie C. Passare dal campionato “primavera” ad uno di professionisti è dura. Per me è stato un bel salto. C’è da dire che appena entri nel mondo del professionismo capisci che è finita l’epoca delle figurine e dei giornali sportivi e che inizia un’altra stagione della vita». Anche per Di Magno e Bambini è stato così: il primo campionato da professionisti con l’arrivo dei primi guadagni è il segnale che ha sancito il passaggio dal gioco al lavoro, con ciò che ne consegue. «Io, invece, ho preso coscienza di essere diventato un professionista», interviene ad un certo punto Annoni, «quando non ho più portato la roba da lavare a casa!». è un personaggio curioso, Annoni. Lo è sempre stato. Non dimentichiamo che uno dei suoi soprannomi è “Tarzan” in omaggio ad uno spirito libero e anticonformista che lo ha sempre caratterizzato. Si è fatto crescere il pizzetto quando ancora non era di moda e, molti anni dopo, durante una partita con il Celtic ha giocato con una scarpa di un colore diverso dall’altra lanciando una nuova moda tra i bambini scozzesi. Certamente atipico, poi, il suo approccio con il mondo del calcio. «Lo sport mi è sempre piaciuto, anche se non c’era una disciplina che mi attraeva più delle altre. Da piccolo ho fatto un po’ di tutto. A 16 anni ho scoperto il calcio con il Seregno in Interregionale. L’anno dopo ero già a Como in serie B. Qui ho incontrato la persona che più di ogni altra ho apprezzato per le sue doti umane: Tarcisio Burgnich. Ogni volta che facevo allenamento, lo osservavo e mi dicevo “voglio essere come lui”». Ho fatto da balia a Totti Dopo il Como, 4 anni a Torino e poi la Roma, a far da balia a Francesco Totti. «Sì», conferma Annoni, «siamo diventati ottimi amici e pochi giorni fa ero a cena con lui in un locale… Sembrava di stare in un acquario con tutta la gente fuori a guardare». «Dopo la Roma ho avuto la chiamata dai Celtic Glasgow. L’esperienza in Scozia», continua Annoni, «è stata fondamentale. Mi sono misurato con un altro calcio. E poi c’era l’opportunità di imparare la lingua. In quest’avventura ho voluto con me mia moglie e mia figlia, perché ero e sono convinto che la vicinanza della famiglia per un calciatore sia fondamentale» . Viene automatico chiedere ai ragazzi se sarebbero disposti ad andare a giocare all’estero. Il primo a rispondere è Di Magno: «Io ci andrei di corsa, in qualunque paese. E dire che qualche anno fa ho avuto la possibilità di andare a giocare in Spagna, ma dissi di no. La Roma mi aveva inserito nello scambio con Helguera. Avevo 24 anni, non me la sono sentita e adesso rimpiango quella decisione». «Anch’io non avrei difficoltà a trasferirmi all’estero», è la volta di Bambini, «e a dire la verità ho avuto anche qualche contatto con una squadra greca. Di certo, come ha fatto Annoni, mi porterei dietro la famiglia». «Io la penso come loro», incalza Vagnati che non ha smarrito il suo spirito battagliero. «Purtroppo non è così semplice. Sono pochi gli osservatori stranieri che vengono in Italia a vedere dei giovani». Lo squillo del telefonino di Di Magno ci sorprende. Istintivamente tutti ci giriamo verso di lui. Sono attimi di attesa in cui si cerca di captare qualcosa dalle smorfie di Gianpaolo. «A ma’ te richiamo io dopo. Era mia madre», conferma il portierone. Peccato. Poteva essere la chiamata giusta… La discussione procede. Annoni guarda l’orologio: sono le 15.30. Tra mezz’ora saranno tutti in Aula Magna per il corso di allenatore. «Non nascondo di durare molta fatica durante le lezioni», è il solito Vagnati a parlare. «Ad ogni modo l’Aic ha avuto un’ottima idea ad inserire nel programma di preparazione anche il corso di base. Purtroppo io non potrò avere il patentino perché non ho ancora compiuto 25 anni». Che misteri ci regala il calcio: il ventitreenne Vagnati troppo “vecchio” per le nuove regole della serie C, ancora giovane per il patentino di terza categoria… Il corso, le lezioni, lo studio. «Io ho il diploma di ragioneria», esordisce Di Magno. «E devo dire che mi è anche venuta voglia di iscrivermi all’università». «Sono diplomato alla scuola alberghiera», è la volta di Vagnati, «e sono riuscito a raggiungere questo risultato perché l’ho voluto io». Annoni fa una risata: «Io, dopo due anni di Itis ho chiuso con la scuola. Mi è andata bene». Il tempo sta per scadere. C’è lo spazio per uno sguardo al futuro. «A me», esordisce Annoni, «piacerebbe andare in America». «Io, invece, spero di starci il meno possibile qui», dice Vagnati, «non per l’ambiente, chiaro. Ma perché significherebbe aver trovato una squadra». Bambini e Di Magno non aggiungono altro, tanto i pensieri sono tutti lì.


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