Mondo

Si combatte in Egitto per conquistare tutta l’Africa

Elia Valori: «Ecco cosa c'è dietro le rivolte del maghreb»

di Marco Dotti

In un’Europa giustamente concentrata, ma per lunghi tratti anche incautamente distratta dalla crisi economica e finanziaria, il Mediterraneo è tornato prepotentemente alla ribalta. Lunedì 21 novembre, migliaia di persone sono nuovamente scese in Piazza Tahrir. Non sono i venti milioni che, nella scorsa primavera, portarono alla caduta del regime di Mubarak, ma qualcosa si è incrinato in questo dopo-rivoluzione.

Docente di relazioni internazionali all’Università di Pechino e Gerusalemme, Presidente de La Centrale Finanziaria SPA, Giancarlo Elia Valori è tra i più attenti osservatori delle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche dell’area mediterranea. Ne è prova il suo ultimo libro, Il nuovo Mediterraneo. Confine o rinascenza d’Europa? (Excelsior 1881,  240 pagine, 24,50 euro), da oggi in libreria. Un libro, nota Tarak Ben Ammar nella premessa al volume,  che nella lucidità dell’analisi, offre al tempo stesso una visione di dialogo, facendo «scorgere la possibilità di una identità non alternativa delle masse arabe dai loro vicini cristiani e ebrei»

A Giancarlo Elia Valori abbiamo chiesto di offrirci una lettura di più ampio respiro che, pur tenendo conto del caso-Egitto, lo inquadri nello scacchiere mediterraneo che si sta lentamente ridisegnando sotto i nostri occhi.

L’Egitto è solo un tassello di un “grande gioco” mediterraneo i cui contorni, non meno delle forze che lo agitano, continuano a sfuggirci. Può aiutarci a fare chiarezza su questo punto?

Giancarlo Elia Valori:  Inizierei osservando che, di contro alla nostra tendenza a uniformare tutto dietro slogan, bandiere e buone intenzioni, le “primavere” del mondo arabo sono molto diverse, anche se sovrapposte tra di loro.Dalla prima rivolta tunisina (che ha avuto inizio nel dicembre 2010 fino alla fuga di Zine el Abidine Ben Alì, nel gennaio successivo) e dopo la rivolta egiziana di Piazza Tahrir al Cairo (che ha avuto inizio il 25 Gennaio 2011), è cambiata non solo la conformazione politica dell’intero Maghreb e del Medio Oriente, ma lo stesso ruolo geopolitico del mondo arabo nel Mediterraneo e nell’asse che va dal Golfo Persico all’Asia Centrale. Nell’ordine: è quindi diminuito il leverage strategico della Unione Europea nel Mediterraneo meridionale. Gli USA si sono ripresentati nel quadrante arabo. La Federazione Russa ha perso alcuni alleati regionali importanti, e questo vale soprattutto per la rivolta libica contro il colonnello Gheddafi… La Cina ha invece dovuto ricostruire la sua rete geoeconomica sia in Libia che in Egitto, che è un quadrante strategico che, per Pechino, riguarda anche il Corno d’Africa e il Sudan e quindi il legame tra Maghreb e Africa sub sahariana, mentre la NATO… La NATO ha solo seguito l’iniziativa di Francia e Gran Bretagna, che miravano a scalzare il legame speciale tra Italia e Libia. Israele si trova invece con frontiere ben più insicure nel Sinai e nella stessa area libanese del Litani. Ma, soprattutto, il messaggio è stato lanciato.

Quale messaggio? Soprattutto, a chi era rivolto?

Giancarlo Elia Valori: Un messaggio chiaro e forte a due Paesi che stano lottando per l’egemonia nel cosiddetto Grande Medio Oriente, l’Arabia Saudita e l’Iran, e de relato alla Siria e allo Yemen, che la destabilizzazione dei vecchi regimi arabi è ormai un dato acquisito. Per quanto concerne gli attori in campo, osserverei bene quanto successo in Libia, la cui vicenda è esemplificativa. Il caso della rivolta libica è sostanzialmente diverso da quello della Rivoluzione “dei gelsomini” in Tunisia e della lunga fase di rivolte che ha inizio da Piazza Tahrir in Egitto. All’inizio, la rivolta di Bengasi riguarda la annosa questione delle vittime del massacro della prigione di Abu Salim nel 1996, quattro anni dopo l’attentato di Lockerbie organizzato dal Raìs di Tripoli, poi si forma il Consiglio Nazionale Transitorio nella capitale della Cirenaica, con elementi dirigenti in gran parte diversi da coloro che danno inizio alle proteste contro il regime gheddafiano, e si innesca in questo sistema una serie di variabili di cui non si può non tener conto: dalla presenza di “operatori” dei Servizi francesi e, con ogni probabilità, britannici, allla sovrapposizione tra i vari gruppi di opposizione al regime del colonnello, dai tecnocrati filoccidentali ai jihadisti di Derna e agli ex “uomini forti” del sistema gheddafiano. Poi l’operazione si estende alla NATO e al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che accettano, detto in termini squisitamente strategici, la leadership della Union pour la Méditerranée franco-tedesca che, di fatto, impone la sua roadmap agli altri alleati atlantici, USA compresi, mentre sconta il sostegno operativo di una Germania che, ormai, gioca tutta la sua partita strategica verso il suo Oriente terrestre, marginalizzando il Mediterraneo ed anzi “prendendo” ill mondo arabo dal lato iraqeno, saudita e siriano.

La Germania, che appare protagonista in Europa, ha dunque un ruolo meno definito nelle vicende del nuovo Mediterraneo?

Giancarlo Elia Valori: Berlino ripete, naturalmente in modo pacifico, la sua direzione Nach Osten, verso Est, che era stata la geopolitica della “pacificazione” di Willy Brandt, l’Ostpolitik, e che era sottesa ad una riunificazione tedesca in funzione di una nuova unione europea nella quale Berlino fosse il leader, garantendo gli USA in un rafforzato asse transatlantico per “coprire” la pressione dall’Est del Patto di Varsavia. Dopo la conclusione della vicenda libica, possiamo dire che il futuro sostegno al Mediterraneo arabo si è multilateralizzato. Anche se l’Europa rischia di cadere in una fase di geopolitica ingenua.

Che cosa intende con “geopolitica ingenua”?

Giancarlo Elia Valori: Intendo una geopoliticaesclusivamentefondata sull’ “aiuto economico”. Un aiuto che si basa ancora sulla vecchia distinzione operata e praticata da Willy Brandt tra Nord e Sud del mondo, ovvero una linea che, senza armi o con le «armate altrui», come le chiamava Machiavelli, sarà di scarso effetto. E quel che è peggio, non avremo più nemmeno i soldi per farla, la politica degli aiuti, ma la gestiranno i paesi orientali in crescita: i sauditi, il Qatar, il Kuwait, la Turchia e, naturalmente, la Cina.

Il convitato di pietra, di questa nuova geopolitica, è spesso indicato nell’Iran, la cui ombra lunga si proietta sul nuovo scacchiere mediterraneo, anche attraverso la Siria. Come leggono a Teheran le occasioni e le sfide della “primavera araba” nata nel Mediterraneo meridionale?

Giancarlo Elia Valori: Teheran, che ha un frazionismo politico interno all’universo sciita post-khomeinista sempre più marcato, ha certamente paura che l’esempio delle “primavere” sunnite faccia da nuovo modello per la vecchia “onda verde” che aveva messo a dura prova il regime nelle ultime elezioni politiche e presidenziali. Il primo Baath di Hafez el Assad rappresenta lo scoppio della spesa pubblica, che la Siria paga ancor oggi, mentre Teheran ha forti difficoltà nell’aggiornamento delle sue strutture estrattive, paga a caro prezzo l’isolamento economico internazionale e, soprattutto paga ad un prezzo ancor più caro il costo, elevatissimo, del suo programma nucleare civile e militare. Crisi economica da cause geopolitiche, diremmo. La Siria rimarrà quella che nel testo ho definito uno “stato di passaggio” tra la Turchia, che mira anche al suo asse  verso tutti i popoli di etnia turca fino allo Xingkiang cinese a maggioranza uigura, vorrà utilizzare Damasco per controllare le linee della sua specifica “via della Seta”, l’Iran non può permettersi il lusso di non avere un amico fidato, la Siria appunto, che si apre sul Mediterraneo e penetra il Libano, in funzione naturalmente antisraeliana, Israele non può permettersi di avere nuovi stati islamisti radicali ai suoi confini, il che non vuol dire naturalmente che Gerusalemme sosterrà di fatto la repressione attuale organizzata da Bashar el Assad, i sauditi sostengono la rivolta siriana, in funzione di chiusura dell’Iran nel suo ruolo regionale di potenza sciita spinta ad Est, verso l’Afghanistan e al “paese dei puri”, il Pakistan, terra radicalmente sunnita e che sarà l”utilizzatore finale” di un Afghanistan pacificato, anche in funzione di compressione delle mire strategiche di Teheran nell’area centrale asiatica attraverso la Shangai Cooperation Organization. Ma nessuno di questi paesi può permettersi una guerra civile lunga o una operazione militare di grande rilievo contro Riyadh o, naturalmente, contro Israele. Una particolare attenzione va, ovviamente, rivolta alla Russia. La Russia gioca su tre fronti: ha tutto da guadagnare dal suo rapporto con l’Iran, che infatti Mosca sostiene fortemente per quanto riguarda il programma nucleare, accetta la Grande Siria che le permette una uscita autonoma verso il Mediterraneo, arriva al Golfo Persico tramite, ancora, Teheran, e sostiene nella Siria o il vecchio regime baathista degli Assad o, in futuro, un punto di accordo tra il Baath e la rivolta attualmente in corso. C’è poi la Cina… Per la Cina, l’Iran è un grande fornitore di petrolio e Pechino ragiona sempre in termini strettamente economici, fino alla chiusura del “periodo di opportunità” che Deng Xiaoping predisse entro il 2020.  Gerusalemme potrebbe chiudere Iran e Siria gestendo un nuovo approccio strategico con Mosca e con Pechino, mentre cresce la probabilità di una sostanziale autonomia energetica dello Stato d’Israele e il suo rilievo nel futuro mercato del gas naturale verso la UE. Ogni crisi ha il suo rovescio, in geopolitica. E a noi europei rimarrà null’altro che una geopolitica ingenua.

 

Resta comunque un fatto: l’Egitto, con le sue vicende, i suoi entusiasmi, il suo sangue, le sue (o nostre) illusioni e relative disillusioni ci interroga non tanto e non solo sull’Egitto, quanto sulle  prospettive di sviluppo dello spazio Mediterraneo nel quale l’Italia è, volente o no, parte in causa. Che cosa succederà dopo il crollo – ancora parziale – degli stati-nazione improntati alle figure dei vecchi Raìs?

Giancarlo Elia Valori: Si differenzieranno ancora di più i paesi maghrebini tra di loro. L’Algeria giocherà un suo ruolo autonomo, contro il CNT, che vede come un innesco della rivolta islamica al proprio interno, il Marocco sarà isolato e quindi procederà con qualche difficoltà ma con sostanziale efficacia alle riforme promosse dal Re Mohammed VI, la Turchia, come ho detto, avrà un pivot strategico ad Occidente, il che la renderà forte ma soprattutto autonoma dalla NATO alla quale continuerà ad appartenere, Israele cercherà una sua geopolitica marittima, dopo essere stato, per tanti anni, una potenza terrestre che sfidava il jihad sul terreno, e giocherà un suo ruolo autonomo nel Mare Nostrum, il che “circonderà” le potenze islamiche più radicali. L’Iran cercherà di annettersi strategicamente l’Egitto, che ha già fatto passare il “naviglio militare” di Teheran durante la rivolta di Piazza Tahrir…  Dal canto suo, l’Unione Europea sarà marginalizzata, e questo accadrà anche ai Francesi in Libia e a Londra in tutto il Maghreb, anche se la “rivoluzione dei gelsomini” segna una riconquista di fatto della Tunisia da parte di Parigi, che l’aveva persa con il regime di Ben Alì, che era stato imposto dai Servizi italiani. La Siria aspetta un brokerage tra gli Assad e la rivolta sunnita, che probabilmente sarà svolto, date le ultime dichiarazioni di Erdogan, da Ankara. L’Iran tenterà inoltre di egemonizzare l’area in contrasto con l’Arabia Saudita, che punta anch’essa all’Egitto di Tantawi, e fino a che la questione elettorale non sarà risolta gli USA, che pure hanno agito pesantemente contro Mubarak e a favore di Omar Suleiman e del Consiglio militare del Cairo, avranno un ruolo ben più minoritario di quanto sperano oggi, mentre la Cina si occuperà della sua geoeconomia delle regioni periferiche. La Cina, intendo dire, entrerà dal Corno d’Africa, arriverà in Sudan, dove è già presente e unirà, secondo la sua “Grand Strategy”, l’Africa subsahariana con la costa meridionale del Mediterraneo.

Resta da chiedersi: quale è la posta in gioco?

Giancarlo Elia Valori: L’Africa, tutta l’Africa e quindi anche il Maghreb e il nesso strategico tra il Mediterraneo meridionale e il Vecchio Medio Oriente, sarà il terreno per la prossima “corsa all’oro” che salverà, se sarà strategicamente vinta dal sistema USA-UE versus Cina, l’intero assetto delle economie occidentali e permetterà la fuoriuscita di USA e Unione Europea dalla crisi economica e finanziaria che le attanaglia almeno dal 2008. Ecco quindi la vera posta in gioco, che è stata aperta dalle operazioni in Libia e dalla sequenza delle “primavere arabe” che permetteranno, in questo nuovo contesto, la presenza e la relativa dominance sia di Washington che di Bruxelles nel nuovo grande mercato globale africano, mercato che, fino a che non sarà saturo di beni e servizi statunitensi e europei, permetterà la ripresa produttiva di tutto l’asse euro- dollaro e lo spegnersi della concorrenza tra le due monete presenti in Occidente.


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