Non profit

La filantropia modello impresa

Si alza il sipario sulla conferenza dell’European Venture Philanthropy Association

di Stefano Arduini

Investimenti, piani di sviluppo pluriennali e misurazione delle performance. Sono questi gli ingredienti fondamentali della venture philanthropy. Un modello di fare filantropia innovativo che sempre di più sta prendendo piede anche in Italia. Che non a caso a Torino ospiterà la prossima conferenza dell’European Venture Philanthropy Association (i lavori al via domani). E che obbligherà le non profit a cambiare pelle. Come spiega in questa intervista Angelo Miglietta, segretario generale della fondazione Crt (in foto lo stabile del primo housing sociale temporaneo promosso in via Ivrea a Torino dalla stessa Fondazione).

 

Lo dicono le cifre. Per la Fondazione Crt la venture philanthropy più che una scommessa è la realtà di oggi e di domani. Basta scorrere il bilancio previsionale per il 2012: su un totale di 140 milioni di erogazione, il documento ne stanzia 50 “all’attività ordinaria maggiormente consolidata” e 90 “alle attività innovative di intervento” veicolate attraverso la Fondazione Sviluppo e Crescita Crt. «Il rapporto fra questi due numeri parla da sé, ma la nostra “conversione” al venture philanthropy non è stata certamente una svolta improvvisa», commenta il segretario generale della Fondazione Crt, Angelo Miglietta. Nell’ultimo quinquennio il suo ente ha infatti «investito in solidarietà circa 260 milioni di euro». Ben inteso, in questo caso Miglietta parla di “investimenti” e non di “erogazioni”. Il cambiamento del vocabolario è a tutti gli effetti una delle conseguenze del nuovo paradigma.


Mi dà la sua definizione di venture philanthropy?
È un modo di fare filantropia con le stesse regole di efficienza ed efficacia proprie di quei soggetti che operano in contesti competitivi. E questo avviene solo partendo da un’analisi non emotiva dei bisogni da soddisfare.


Può fare un esempio concreto?

Sul piano emotivo verrebbe da portare da mangiare ai bambini del Corno d’Africa. Una cosa giusta, ci mancherebbe. Ma inefficiente. Più razionalmente bisognerebbe studiare il modo di intervenire affinché questo tipo di fenomeno abbia meno possibilità di verificarsi in futuro. Per dirla con uno slogan: dobbiamo aumentare l’attenzione alla solidarietà, lasciando da parte l’assistenzialismo.

 

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