Mondo

E tu quanti schiavi hai?

Slavery Footprint ha lanciato un questionario per scoprirlo. Un modo per sensibilizzare i consumatori

di Gabriella Meroni

Dietro ogni oggetto che compriamo, dal cibo all’abbigliamento all’elettronica, si nasconde lo sfruttamento di milioni di persone, veri e propri schiavi moderni che contribuiscono a realizzare gli oggetti che riteniamo indispensabili per il nostro stile di vita. Un cittadino medio che possiede un laptop, una bicicletta e un certo numero di scarpe può calcolare di «avere sulla coscienza» un centinaio di schiavi che hanno lavorato per lui.

È quanto emerge da una indagine condotta dall’organizzazione non profit Slavery Footprint, che ha elaborato un questionario in 11 pagine per calcolare quanti schiavi abbia ognuno di noi. Il questionario è articolato in una serie di domande che prendono in considerazione cibo, vestiti, hobby, età e casa, e analizza le modalità di produzione di circa 400 articoli di consumo che ognuno di noi utilizza ogni giorno. Il risultato è che un esercito di 27 milioni di schiavi – tanti infatti sono quelli stimati al mondo – hanno «contribuito a fabbricare quello che si trova ovunque, dall’armadietto medico in casa alla borsa di ginnastica».

Obiettivo dell’indagine, realizzata in collaborazione con l’Ufficio per Monitorare e combattere il Traffico di Persone del Dipartimento di Stato Usa diretto da Hillary Clinton, è rendere consapevoli tutti i consumatori del sistema di sfruttamento che si nasconde dietro tutti i prodotti quotidiani e contemporaneamente fare pressione sulle grandi multinazionali affinché rendano note le loro politiche di gestione del lavoro e dei fornitori. «La schiavitù è dappertutto», ha dichiarato il direttore esecutivo di Slavery Footprint, Justin Dillon. «Ogni oggetto della nostra quotidianità viene realizzato sfruttando in maniera disumana e illegale manodopera a basso costo». Prima di sviluppare Slavery Footprint, Dillon si era già occupato del tema realizzando un documentario su Call + Response (associazione non profit impegnata nella lotta alla schiavitù) e fondando la Chain Store Reaction campagna che stimola i consumatori a chiedere alle industrie trasparenza sui processi di produzione. Secondo Dillon, schiavo è «chiunque sia costretto a lavorare senza remunerazione, è sfruttato economicamente e non ha la possibilità di dire no».

Sulla carta, la schiavitù è stata dichiarata illegale nel mondo con la Dichiarazione universale di diritti dell’Uomo del 1948, ma nella realtà è tutt’altro che estinta e riguarda anche molti minori e le donne, sfruttate principalmente per la prostituzione.

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