Salute

Addio a Steccato, l’amico senza parole di Bergonzoni

Era affetto dalla Locked-in Syndrom

di Sara De Carli

Per dodici anni è stato, per dirla con Julian Schnabel, una farfalla con lo scafandro.  Giampiero Steccato non parlava, non mangiava, non si muoveva, non vedeva. Per due anni consecuti ha avuto anche il singhiozzo. Ma era perfettamente lucido. Locked-in Syndrom, «sindrome del lucchetto», l’ha chiamata Alessando Bergonzoni: così grave ce l’hanno in cinque in tutta Italia. Steccato è morto ieri, nella sua casa di Piacenza. Per due anni lui e Bergonzoni hanno girato molte università italiane a dare un testimonianza della caparbietà della vita. Li avevamo intercettati a primavera alla Bicocca di Milano, ed era nata una copertina di Vita. Con un articolo di Steccato aveva scritto per noi. Eccolo.

di Giampiero Steccato

Ad entrare nell’ottica di essere a tutti gli effetti nel gruppo dei malati rari ci ho messo un po’. È stato difficile riuscire a pensare che era ora di rendersi conto che ero proprio come loro, uno di loro. Ho avuto una grossa fortuna: la mia famiglia mi è sempre stata vicina, ho guadagnato un bel po’ di amici che danno qualità alle mie giornate, mi sono trovato a sentirmi mentalmente e moralmente uguale a quando stavo bene.

Comunque la Locked-in ce l’ho, quando mi stringe la mano qualcuno affetto da SLA o da patologie simili sento che quel qualcuno mi capisce, mi capisce fisicamente, che siamo sulla stessa barca; o, meglio, nello stesso mare, ma poi ognuno muove la sua barca come vuole, va dove si sente, dove trova il meglio per sé. È per questo che mi sono esposto in prima persona, che ho scelto grazie a chi mi ha dato l’opportunità di farlo, di andare io a farmi sentire, a farmi vedere senza portavoce, nelle Università. E il farlo con Alessandro Bergonzoni mi fa sentire al posto giusto: lui ha un approccio alla mia condizione che mi va a pennello, rispecchia il mio sentirmi, mi “presenta” alla gente e non “mi rappresenta” lui.

Onestamente non credo che le mie parole siano più convincenti di quelle di coloro che ci rappresentano attraverso le associazioni; sono persone preparate, con una grande umanità e uno spirito di solidarietà forte, caparbio e instancabile. Sono certo però di poter portare ai ragazzi la mia concretezza, la mia sensazione di stare bene al mondo, la prova che sono veramente contento di essere vivo. Dico questo perché anche per me era difficile immaginare di poter stare così da malato quando ero forte e sano (e anche belloccio). È importante poi che le persone,

i giovani soprattutto, capiscano quanto io devo a coloro che mi regalano il loro tempo, la loro compagnia, il loro aiuto. Ci sono anche le difficoltà, le paure, la consapevolezza di dipendere da altri. Ho ricevuto tante mail dai ragazzi della Bicocca, e risponderò a ciascuno di loro perché hanno compreso che per capire bisogna proprio addentrarsi nel nocciolo della questione; e il nocciolo della mia questione sono io, è la mia vita, per molti incredibilmente normale.


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