Welfare

Meno aiuti, più privato

La nuova agenda per lo sviluppo presentata a Bruxelles

di Joshua Massarenti

Bruxelles – Oggi la Commissione europea ha presentato la sua nuova agenda politica sulla cooperazione allo sviluppo. “Accrescere l’impatto delle politiche di sviluppo dell’Unione Europea: un programma per il cambiamento” è il titolo della communicazione con la quale il commissario europeo per lo sviluppo, Andris Piebalgs intende dare una svolta alle politiche di aiuti nei paesi poveri. Due la parole chiavi: “impatto” e “cambiamento”. Entrambi rimandano a sfide cruciali che la Commissione europea si pone riguarda la necessità di razionalizzare (rendendola più efficiente) la macchina degli aiuti Ue, accrescendo per l’appunto il suo impatto nei paesi in via di sviluppo. Di fronte “alle nuove sfide globali, in particolare quelle che riguardano il raggiungimento degli obiettivi del Millennio, e nel mezzo della preparazione del nuovo budget finanziario europeo” per il periodo 2014-2020, “l’Unione Europea deve rendere le sue politiche, i suoi mezzi e le sue risorse efficienti nella lotta contro la povertà”.

Con questa comunicazione, “la Commissione propone un Agenda del cambiamento per rafforzare in questa lotta la solidarietà dell’Europa con le nazioni in via di sviluppo”. Rimane da capire se nella sua comunicazione il braccio esecutivo di Bruxelles rispetta lo spirito del Trattato di Lisbona che pone come priorità assoluta delle politiche europee di sviluppo l’eradicazione della povertà. Per la Confederazione europea delle Ong di sviluppo la risposta è no.

Da un lato Concord accoglie positivamente la scelta della Commissione europea di “riconoscere la necessità di rafforzare la good governance e i diritti umani. Ma le ong europee rimangono scettiche sugli orientamenti politici” della nuova agenda “la mancanza di impegni concreti per sradicare la povertà” nei paesi poveri.

“Purtroppo il cambiamento più significativo che Piebalgs propone nella sua nuova agenda è il taglio degli aiuti destinati ai paesi più poveri per dirottarli sotto forma di investimenti nel settore privato e in quello energetico” sostiene il direttore di Concord, Olivier Consolo. Insomma, il nuovo programma del cambiamento cura “soltanto gli interessi dell’Ue, sacrificando quelli dei paesi in via di sviluppo”.

L’altra questione spinosa riguarda gli aiuti da destinare ai cosiddetti paesi con un livello medio di redditi. Il commissario Piebalgs intende suddividere la torta degli aiuti Ue in base alla crescita economica dei paesi destinatari dei finanziamenti Ue. Da ora in poi i paesi privilegiati saranno quelli più poveri, ma come ricorda Concord “il problema è che il 75% della popolazione più povera nel mondo vive proprio in quei paesi con un livello medio di redditi che hanno registrato progressi significativi in termini di crescita economica, ma dove una parte consistente della popolazione continuano a vivere in uno stato di povertà”.

Il caso dello Zambia è significativo. classificato dalla Banca Mondiale nella fascia delle nazioni intermedie, oltre il 64% della popolazione nazionale vive al di sotto della soglia di povertà. “Che cosa intende fare Piebalgs con i zambiani poveri?” si chiede l’ong internazionale ActionAid.

Durante la sua conferenza stampa, Piebalgs ha dichiarato che “la commissione valuterà la situazione paese per paese, ed entro fine anno annunceremo la lista dei paesi intermedi nei quali gli aiuti europei tenderanno a calare”. Fonti interne della Commissione fanno sapere che nei BRICS (Brasile-Russia-India-Cina e Sudafrica), “gli aiuti allo sviluppo verranno sostituiti con programmi di scambio nel settore educativo”. Quello che è certo, “è che i fondi destinati a quei paesi non sono giustificabili agli occhi dei cittadini europei”.

Altra fonte di discordia con le organizzazioni non governative è il sostegno che la Commissione europea conta dare al settore privato. “Se è vero che i privati possono offrire un valido contributo allo sviluppo” riconosce Concord, “gli aiuti pubblici allo sviluppo non dovrebbero essere utilizzati per garantire i rischi che incorre il privato” quando investe nel Sud del mondo, e tantomeno “di sostituirli ai servizi pubblici”.

 


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