Politica

Governo al “rendiconto”

Maggioranza nel caos, Berlusconi punta al voto di fiducia

di Franco Bomprezzi

Un incidente parlamentare senza precedenti, il governo bocciato alla Camera sul primo articolo della legge obbligatoria di approvazione del rendiconto del bilancio dello Stato. Per un solo voto la maggioranza va sotto, e Berlusconi si infuria. Si tratta anche di un pasticcio istituzionale, non facilmente rimediabile. Il Quirinale è preoccupato. Si va verso un voto di fiducia, ma forse non basta. Ecco come i giornali raccontano questa convulsa giornata politica.

Titolo a tutta pagina, sulla prima del CORRIERE DELLA SERA: “Il governo battuto chiederà la fiducia”. I servizi nelle prime dieci pagine del quotidiano di via Solferino. Ma già in prima è molto duro l’editoriale di Massimo Franco: “L’implosione”. Scrive il notista del CORRIERE: “È questo contesto sfilacciato a conferire all’incidente dimensioni destabilizzanti. La Lega che annuncia il «no» alla legge sulle intercettazioni e boccia il condono, smonta l’ottimismo d’ufficio del premier. Se anche si riuscirà a venire a capo del pasticcio creatosi col capitombolo parlamentare di ieri, cosa tutt’altro che sicura, rimane intatta la questione politica: una maggioranza inutilmente straripante di numeri. Il suo guaio continua ad essere quello di credere ad una realtà virtuale scissa dal logoramento, quasi dalla macerazione che la coalizione berlusconiana sta soffrendo. Ormai è evidente che la sua implosione è più rapida e devastante di qualunque complotto. Eppure, il premier si ostina pericolosamente a ignorarla”. Fra i tanti servizi scegliamo alcune perle. A pagina 3: “Giovanardi incolpa le toghe: Papa sarebbe stato decisivo” (no comment). Monica Guerzoni si lancia in un pezzo di colore a pagina 5: “Missioni, imprevisti e funerali. Accuse a ribelli e responsabili”. Scrive ad esempio: “La sequenza è da brivido e comincia quando il governo, alle 16 e 40, schiva il patatrac per due soli voti. Nel centrosinistra monta la rabbia, parte la caccia agli assenti. Bersani, nervoso, si accende un sigaro in cortile. In Aula intanto troppi pidiellini latitano, Gioacchino Alfano e Massimo Polledri prendono la parola per perdere tempo e Cicchitto fa partire gli sms di richiamo. Arriva il premier, giusto in tempo. Ma Tremonti, dov’è? E Scajola? E perché mai Bossi è ancora fuori che parla coi cronisti? Ecco, si vota. Al segnale di Giachetti i democratici «imboscati» — Rosato, Boccia e Tocci — sbucano dai rispettivi nascondigli, si fiondano in Aula e premono il pulsante del no. «La Camera respinge», comunica Rosy Bindi che in quel momento presiede la seduta. «Il governo ha avuto la sfiducia del Parlamento», sentenzia il repubblicano Giorgio La Malfa. Il leghista Giancarlo Giorgetti ha ben chiara la gravità dell’accaduto e chiede di sospendere i lavori. E Fini, con tono che vorrebbe essere neutro: «Credo che la sua richiesta debba essere accolta, viste le evidenti implicazioni, anche di carattere politico, che il voto ha testé manifestato…»”. Ineffabile Scilipoti, che non ha votato, era a Messina: “C’erano rischi? Potevano farmi una telefonatina”. Gustosa la postilla di Fabrizio Roncone all’imbarazzante intervista: “Domenico Scilipoti, di anni 54, da Barcellona Pozzo di Gotto — ginecologo e agopuntore con la passione per l’Oriente, «ma siccome in Transatlantico c’è qualche ignorantone, mi scambiano per stregone» — il 14 dicembre scorso tradì Antonio Di Pietro per sostenere il Cavaliere. Un’ora dopo il voto, in una piazza vicina a Montecitorio, venti immigrati furono fermati mentre manifestavano in suo sostegno. Identificati dalla polizia, dichiararono di essere stati assoldati proprio da lui, da Scilipoti”. Francesco Verderami cerca di far luce sui retroscena, a pagina 6: “È una corsa contro il tempo con il tempo che per il governo è già scaduto. L’orizzonte del 2013 era svanito già prima del voto di ieri, il Cavaliere se n’era reso conto, e poco importa se le sue recriminazioni ora si concentrano anche su Bossi. Resta da capire quali saranno le ripercussioni in un Pdl che ora sarà chiamato a scelte difficilissime: lo scontro è iniziato e passerà dalle primarie. D’altronde nessuno tra i maggiorenti del partito ha più intenzione di attendere che il premier ufficializzi il passo indietro. Il dopo-Berlusconi è praticamente iniziato”. Mentre il presidente Napolitano segue con vigile preoccupazione, l’ultima perla è l’intervista a Paolo Russo, “scajoliano di ferro”. Alla domanda se vedrebbe con favore un governo aperto anche al Pd, infatti risponde così: «Ma certo. Siamo di fronte a una partita mondiale e vogliamo fare giocare il Milan invece della Nazionale? Magari il presidente di quel prestigioso club potrebbe indicare la strada, ma poi si dovrebbe fare tutto insieme agli altri che tengono al bene del Paese».

“Battuto sul bilancio, governo nel caos”: LA REPUBBLICA ovviamente apre con quello che il premier definisce «incidente tecnico», cui dedica ampio spazio. Oltre alla cronaca della giornata (con tanto di sottolineature sugli assenti eccellenti, Scajola, Tremonti e Bossi, e sull’aula trasformata in stadio), numerosi i commenti e i retroscena. Cominciando da quello di Francesco Bei: «Si può rimediare», ha detto a caldo Berlusconi, «dobbiamo andare avanti e votare di nuovo. Votare la fiducia per dimostrare che è stato solo un incidente». La linea uscita dalla riunione serale dei vertici del partito. Il Cavaliere è convinto di avere dalla sua anche Napolitano: «Anche il capo dello Stato è preoccupato per i contraccolpi di una crisi sui mercati internazionali». Oggi riunione della Giunta (dove il governo è in minoranza) e la decisione su come uscire da questo impasse dal punto di vista tecnico (l’approvazione del bilancio consuntivo). Se la giunta desse parere negativo offrirebbe un «pretesto» al Presidente della Repubblica per intervenire direttamente nella vicenda, dicono i vertici Pdl (che non tengono conto degli applausi rivolti proprio ieri pomeriggio e proprio davanti a Montecitorio dalla folla: «Presidente, ci salvi lei»). I precedenti, sottolinea Silvio Buzzanca, non sono favorevoli a Berlusconi: sia Goria che Andreotti si dimisero e persino un esperto consulente di Schifani afferma che il ko sul rendiconto richiederebbe l’apertura di una crisi. Bossi dice che si andrà avanti ma aggiunge un «per ora» che certo rassicurante non è. Minimizza Mara Carfagna che parla di una «superficialità» che «a volte fa gli stessi danni di un complotto, che in questo caso non c’è stato». Dice anche che Scajola è troppo intelligente per chiedere solo poltrone e che Tremonti non deve dimettersi, ma solo condividere di più. L’ex ministro dello Sviluppo economico ieri ha visto Berlusconi in un colloquio nel quale gli ha chiesto un governo bis o un passo indietro («noi non ti voteremo la sfiducia», ha detto prima del ko in aula, «ma in queste condizioni non puoi andare avanti, occorre allargare la maggioranza, dialogare con Casini e rilanciare un nuovo governo. Se sarà necessario anche senza di te»). Per le opposizioni unite ovviamente le dimissioni sarebbero d’obbligo, come conferma Franceschini («è stata una vittoria preparata… e li abbiamo costretti a rinunciare alle intercettazioni»). Il commento di Massimo Giannini è del resto sulla medesima linea: “Il dovere di dimettersi” è il titolo. Giannini interpreta il ko come il punto d’arrivo di un percorso di consunzione della maggioranza e conclude: quello che è accaduto è un vulnus politico, Berlusconi dovrebbe rassegnare le dimissioni. Una tesi rafforzata da Alessandro Pace che spiega in termini tecnici l’importanza del documento di bilancio su cui il governo è andato in minoranza.

“Ventotto pasticcioni”. E’ l’apertura della prima pagina de IL GIORNALE dedicata allo “scivolone” del Governo sul rendiconto dello Stato 2011. Cinque pagine in cui si cerca di minimizzare il peso politico di quanto accaduto ieri. Come fa il direttore Alessandro Sallusti nel suo editoriale. «Un vero pasticcio, frutto di una somma di incidenti», un «incidente che non avrà conseguenze pratiche”, queste sono le definizioni che vengono date alla votazione alla Camera. All’interno, da pagina 2 a pagina 5 spazio alla cronaca della giornata politica. “Tremonti arriva tardi. E il governo va sotto per appena un voto”. E’ il titolo del pezzo in cui, anche in maniera un po’ leggera viene raccontato il prima, il dopo della votazione alla Camera. Il deputato Roberto Giachetti che «fa tesoro di un’infanzia a soldatini e nasconde tre o quattro deputati dell’opposizione per depistare i nemici» e il governo che «casca» nella trappola. Ma niente di grave secondo chi scrive. «Non è una Caporetto, ma un’altra grana su un percorso faticoso», «Nessun complotto. Non c’è un piano non c’è un’ alternativa» questo è il leitmotiv della valutazioni di chi scrive. Che però attacca (come al solito) Tremonti, uno di quelli che non ha votato. «Il superministro è una filosofia a parte. Lui non è sciatto ma come certi pensatori di Aristofane cammina per tigna oltre le nuvole». Un non voto che ha scatenato Berlusconi che «quando lo ha visto ha allargato le braccia e se né andato scuotendo i fogli che aveva in mano». Taglio basso dedicato invece alla Lega a e alle parole di Bossi. “I dubbi di Bossi: «Duriamo ma non so quanto»”, articolo in cui viene riportato anche il parere del Senatur su ddl intercettazioni «anziché le intercettazioni, riforma che interessano la gente». Al premier è dedicata tutta pag. 3. Un Silvio Berlusconi prima stupito che si «arrabbia quando gli fanno notare come tra i non votanti ci sia anche il ministro Tremonti». Un primo ministro arrabbiato che viene fatto ragionare dai suoi delfini e che da la colpa del voto alla Camera al suo essere «troppo buono». Un premier confuso che fa saltare e riconvoca in poche ore i vertici di maggioranza ma che risponde a chi gli chiede le dimissioni «mi devono sfiduciare in Parlamento, se ne hanno il coraggio». Taglio basso invece dedicato all’incontro di Silvio Berlusconi con Claudio Scajola, leader dei presunti frondisti. (“Scajola convince il Cav «Claudio non mi pugnala»). Un incontro voluto dal capo del governo per «scongelare una situazione diventata pericolosa» e una «dimostrazione di attenzione molto gradita dal parlamentare di Imperia che alla fine del lungo colloquio si dichiara soddisfatto di quella che definisce un’ottima chiacchierata sincera tra amici». Anche se i nodi per chi scrive non sono stati sciolti e Scajola ha ribadito la «necessità di lavorare per un nuovo centrodestra e per un segnale di discontinuità da far percepire all’esterno». Doppia pagina invece dedicata alle reazioni al di fuori del Pdl. “Napolitano non vuole le dimissioni «ma non si può far finta di niente»” un pezzo in cui si sottolinea la decisione di prendere tempo del Presidente della Repubblica sul voto alla Camera. «Dunque niente mosse affrettate, nessuna richiesta di dimissioni del Cav come chiede l’opposizione». A pagina 5 spazio alle reazioni dell’opposizione e dei frondisti. «Da Fini a Pisanu, è l’ora degli avvoltoi». Un presidente della Camera che «ha salvato la forma ma non gli è riuscito nascondere la soddisfazione per la figuraccia della sua ex coalizione di governo» mentre il Pd con Franceschini e Pisanu chiedono le dimissioni del premier. L’altro frondista Beppe Pisanu spiega come il voto « è l’ennesima conferma che la maggioranza non tiene». In basso intervista a Michela Vittoria Brambilla, che si accoda all’analisi del Pdl “Solo pasticci, nessun agguato. Adesso maggioranza più ampia”.

Foto di apertura dedicata al tabellone elettronico di Montecitorio che sentenzia il respingimento del primo articolo del rendiconto di bilancio e un titolo molto eloquente è la scelta fatta dal MANIFESTO per raccontare quanto successo ieri pomeriggio alla Camera. “Falliti” è il titolo che va a sfondare l’immagine, mentre il sommario: “Testacoda del governo in aula: per un voto affonda il rendiconto di bilancio, assenti Tremonti, Bossi e Scajola. È successo una sola volta nella storia. Maggioranza nel caos, il Pdl inventa un nuovo voto di fiducia. Le opposizioni chiedono le dimissioni ma si dividono sul governo tecnico. Quirinale in «vigile attesa». La Corte dei conti: «Riforma fiscale senza copertura»” rimanda alle pagine 2 e 3 che si aprono con il titolo “Dissesto di governo” e nell’articolo si racconta il convulso pomeriggio di ieri, delle assenze “pesanti”. Ci sono le  posizioni delle opposizioni in un articolo di taglio centrale che titola “«Dimissioni», enciclopedia alla mano. Ma per il dopo accordo in alto mare” e riporta le diverse opinioni da Dario Franceschini a Casini, da Di Pietro ai leader della sinistra fuori dal parlamento Vendola e Ferrero. Di spalla a pagina 3 l’analisi nell’articolo “La toppa alla prova del Colle” in sui si sottolinea che “(…) La fiducia può al limite servire per mettere una pezza politica e consentire alla maggioranza qualche altro giorno di navigazione a vista. Ma resta da risolvere il problema tecnico: al momento non c’è bilancio dunque non può logicamente esserci una legge di stabilità né un documento economico e di finanza. In pratica l’esecutivo è condannato alla paralisi (…)» e ancora «(…) Per quanto complicati, per Berlusconi gli aspetti tecnici della vicenda sono meno insidiosi di quelli politici. In realtà il voto di Montecitorio ieri pomeriggio non ha fatto che confermare al cavaliere quello che Claudio Scajola gli aveva spiegato faccia a faccia ieri mattina. Questa maggioranza non può andare avanti (…)».

“Bocciato il rendiconto dello Stato”. È il titolo  de IL SOLE 24 ORE che apre il giornale sulla debacle parlamentare del Governo. “Un cerotto adesso non basta”, è il titolo del commento di Stefano Folli: «Da tempo ci si chiedeva quando e come sarebbe risuonato il colpo di pistola di Sarajevo; ossia quando si sarebbe verificato l’episodio in grado di far saltare i consunti equilibri della legislatura. Ora la domanda è: il voto mancato di ieri sera è la pistola di Sarajevo per il governo Berlusconi? Forse non lo è, se dallo smacco ci si aspetta che derivino le dimissioni automatiche e immediate di Berlusconi, come ovviamente reclama l’opposizione e come sostengono alcuni costituzionalisti (e così senza dubbio sarebbe avvenuto ai tempi della Prima Repubblica). Ma quel segnale può essere qualcosa di altrettanto grave: la prova dirompente che la maggioranza è a pezzi, priva di nerbo e incapace di tenere la rotta. In altre parole, si è aperta una seria e profonda questione politica nella coalizione Pdl-Lega. (…) La frattura è evidente. Ha molto a che vedere con la leadership sempre più debole e confusa di Berlusconi, con il crescente malessere della coalizione, con la paura di una prossima disfatta elettorale. Ma c’entrano soprattutto i nodi irrisolti: dalla Banca d’Italia alla politica economica, sullo sfondo dell’ossessione giudiziaria che assorbe più che mai le residue energie del presidente del Consiglio. Ci sono tutte, ma proprio tutte le premesse per una crisi di governo e per un successivo processo di chiarimento. A costo di passare per un altro esecutivo di fine legislatura ovvero per lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni come succede in tutte le democrazie. In questo senso, è vero: il voto di Montecitorio può essere paragonato al colpo di Sarajevo. E in ogni caso nessuno può sottovalutarne la drammaticità e le conseguenze politiche a breve termine. Dire che si tratta solo di «un problema di numeri», come sostengono alcuni esponenti del centrodestra, vuol dire non voler  comprendere la portata politica dell’episodio e chiudere gli occhi davanti alla realtà avversa». 

ITALIA OGGI apre sulla debacle occasionale, la definizione coniata da Fabrizio Cicchetto sulla bocciatura avvenuta in un contesto «formidabile», scrive Franco Adriano. Ma il punto lo fa Sergio Soave che nota: «Bersani e Berlusconi  vorrebbero stabilire un’intesa con Casini, ma le condizioni che Casini pone a Berlusconi – lasciare palazzo Chigi- e a Bersani – sciogliere l’alleanza con l’estrema sinistra – non consentono di realizzare  l’accordo.  È già capitato che Berlusconi abbia perso quando si era separato dalla Lega, e Romano Prodi non aveva retto per ben due volte  alle rotture con l’estrema sinistra. Che sia auspicabile un cambiamento non si può negare, che per ottenerlo convenga alimentare il catastrofismo e puntare alla destrutturazione delle formazioni politiche esistenti e del sistema basato sull’alternanza lo è assai meno». 

“Governo sbilanciato” è questo il titolo di AVVENIRE al patatrac della Camera: Berlusconi battuto di un voto sul bilancio e quel che e’ peggio avversato da Tremonti, Scajola e Responsabili. Il quotidiano della Cei parla di sbandata, e dedica i servizi interni relegandoli (giustamente) a pagina 6 e 7. Cronaca delle giornata, commenti di politici, opposizioni esterrefatte («Ma come fa a stare ancora lì?») e maggioranza imbufalita contro Tremonti. Ma nulla di interessante, tutto piuttosto noioso. Nessun commento (e chi ne ha la voglia o il coraggio ormai?). 

«Governo ko, Tremonti non vota» è il titolo in prima pagina della STAMPA, che dedica le pagine 2-7 alla politica. Ugo Magri in particolare in un pezzo di retroscena racconta «la furia del premier contro Giulio», che però Berlusconi ha represso davanti al ministro: «Quando si sono trovati l’uno di fronte all’altro», scrive La Stampa, «Berlusconi si è ben guardato dall’aggredire il ministro» sfogandosi invece con un «incolpevole Verdini». E ora che succede? «Berlusconi non si dimetterà né ora né mai», è sicuro Magri, altrimenti, con la crisi dei mercati che non si sa come potrebbero reagire, «facciamo la fine della Grecia». La via obbligata è dunque quella della fiducia, anche se Berlusconi è messo male e «gli sono arrivati tra le mani dei sondaggi devastanti», secondo i quali «il suo appeal è scaduto». Carino il pezzo a pagina 7 in cui Mattia Feltri analizza look, letture e pietanze preferite dei deputati ex Dc (cioè centristi, di entrambi gli schieramenti) che ora sembrano tornare alla ribalta: vestiti blu Prussia, scarpe nere, camicie color crema e cravatte marroni, libri di teologia, trattorie cacio e pepe al posto di ristoranti stellati; prima non li si notava, oggi i vari Carra, Castagnetti, Cesa, De Poli, Gava jr camminano in Transatlantico con orgoglio e «sembrano di nuovo l’ombelico del mondo» e «soprattutto, sorridono; si sentono vivi, cruciali, influenti».
 
E inoltre sui giornali di oggi:

GENITORI
LA REPUBBLICA – Mentre su R2 c’è un’inchiesta sui genitori detective (un fenomeno in crescita anche in Italia), ovvero che spiano i figli anche assoldando detective e intercettando telefonate, nelle pagine culturali un anticipo dell’ultimo saggio di Julia Kristeva, “Il loro sguardo buca le nostre ombre” dedicato ai figli diversamente abili. Una analisi di cosa significhi per la donna avere un figlio con handicap. «Madre di un disabile, cerco di non voltare le spalle alla mortalità; la condivido ne faccio parte ed è soltanto a questa condizione che posso accompagnare la vulnerabilità».

FAMIGLIA
LA STAMPA – Oggi l’associazione famiglie numerose protesta davanti a Montecitorio e La Stampa copre l’evento intervistando la famiglia Alessandrini, di Teramo, nove figli e due stipendi: uno da commesso e l’altro da insegnante. Salti mortali per vivere, niente telefonini né sport per i figli, ma soprattutto indignazione per i mancati aiuti e le sperequazioni fiscali  che penalizzano chi ha tanti bambini. Esempio? I ticket: i coniugi Alesandrini in due hanno un reddito di 44mila euro quindi lo pagano, mentre una coppia di conviventi (ufficialmente single) ciascuno con meno di 35mila euro non paga nulla.

BCE
IL MANFESTO – “Trichet, addio col botto: «L’Europa epicentro di una crisi sistemica»” è il titolo a centro pagina in prima che rinvia a pagina 4 dove si analizza il discorso del presidente della Bce. “Un Trichet così non lo aveva visto probabilmente nessuno. Ultimativo e preoccupato (…) Soprattutto, ha colpito l’enfasi sui tempi stretti per reagire, causa «la crisi dei debiti e la ricapitolazione delle banche», Dettaglio: «su cui abbiamo i minuti contati»” si legge nel richiamo che rinvia a pagina 4 che nel catenaccio spiega “Alla vigilia dell’addio, Jean-Claude Trichet usa toni drammatici: «siamo l’epicentro di una crisi sistemica» e «le istituzioni devono agire rapidamente per ricapitalizzare le banche». Abbiamo «i minuti contati» perché il contagio si va allargando”. Allo stesso tema è dedicato l’editoriale di Galapagos dal titolo “A scoppio ritardato”: «L’Italia? Un gran casino. L’Europa? Idem. E un po’ per volta il caos economico si sta estendendo all’intera economia globale. A sostenerlo non è solo il manifesto (da tempi non sospetti) ma da ieri al coro si è aggiunta una voce «autorevole»: quella di Jean-Claude Trichet (…)» Ma osserva «Il vecchio banchiere centrale ha riproposto, infatti, le solite ricette senza alcuna autocritica in particolare all’operato della Bce (…)»E dopo un’analisi delle ricette offerte: l’accetta per le spese sociali «offrendo al tempo stesso ai privati nuove occasioni di profitto. Il tutto privilegiando la spesa militare a quella per la conoscenza» si affronta il tema indignazione: «In tutta Europa, nei paesi africani (anche con altre fondamentali motivazioni) e perfino negli Stati Uniti (soprattutto a Wall Street) la gente ha cominciato a indignarsi e la protesta cresce».

EDUCAZIONE 
AVVENIRE – Niente soldi, ma il Comune di Reggio Emilia cerca una strada alternativa nell’integrazione fra privato sociale e istituzioni. E’ di questo che parla il pezzo di Paolo Viana a pagina 13 per le inchieste del quotidiano. Inviato direttamente a Reggio per capire cosa sta succedendo nella città emiliana, Viana ci racconta della forte presenza di un tessuto sociale, disponibile a collaborare con le istituzioni per far funzionare i servizi della scuola d’infanzia. E così, si scopre che, mentre in Italia le iscrizioni diminuiscono a Reggio Emilia aumentano. 
 
GLOBALIZZAZIONE
IL MANIFESTO – “Gli operai guadagno troppo e protestano, le imprese Usa scappano dalla Cina” piccolo richiamo in prima e ampio articolo a pagina 5 dal titolo “La Cina non conviene più”, si spiega “Sorpresa! Le lotte sociali favorite dalla lunghissima crescita stanno spingendo i salari locali a un livello «non più competitivo» per alcune multinazionali”, ma si avverte a fine articolo, dopo un’analisi supportata dallo studio “Made in America again” del Boston Consulting group, che la norma studiata da due senatori democratici sull’imposizioni di dazi sull’importazione di merci da paesi che tengono artificiosamente basso il valore della propria moneta: «Pechino negli ultimi giorni ha più volte e solennemente minacciato una “guerra commerciale” nel caso la proposta diventi legge. Ma ad affondarla, secondo quanto anticipato dal portavoce John Boehner, dovrebbe pensarci la più pragmatica maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti».

LEGA
CORRIERE DELLA SERA – Impietoso pezzo di Dario Di Vico sullo stato di salute della Lega Nord a Varese, a pagina 9: “la Lega che litiga furiosamente per la poltrona di segretario provinciale di Varese è un partito che si sta via via scollando dalla realtà del territorio. Ha perso confidenza con la pancia del suo elettorato, i piccoli imprenditori preoccupati da un federalismo che alla fine aumenta le tasse e mette una nuova imposta (l’Imu). Gli artigiani, che aspettano la semplificazione e non la vedono, sono sempre più tentati dall’ipotesi di chiudere il capannone in Lombardia e di aprirne uno nell’accogliente Canton Ticino. Uno smacco per il Carroccio che si batte contro le delocalizzazioni! Oggi, dunque, nessun leghista dotato di buon senso convocherebbe gli artigiani di Jerago a un’altra assemblea come quella di Vergiate con Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Massimo Ponzellini. Rischierebbe di finire come il congresso di Varese”.

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