Mondo
Un paese da Nobel?
Appena insignita di quello per la Pace, Ellen Johnson Sirleaf si ricandida alla guida del paese
E se il destino della Liberia fosse nelle mani di Alfred Nobel? A Monrovia, alcuni oppositori di Ellen Johnson-Sirleaf sono convinti che il Premio Nobel per la Pace attribuito la scorsa settimana alla presidente uscente liberiana e candidata alla propria successione nelle presidenziali previste domani rischia di determinare la vittoria di una donna africana celebrata all’estero, ma molto contestata in patria.
Il suo più avversario più temuto, Winston Tubman, candidato del partito del Congresso per il cambiamento democratico (Cdc), giudica l’assegnazione del Nobel una «provocazione», ma contrariamente agli oppositori più rassegnati, Tubman è convinto che «nessun premio Nobel può fare la differenza per questa presidente, ecco perché la gente andrà a votare per cacciarla dal potere. Questo premio non avrà nessuna incidenza sui cittadini liberiani».
Sarà così? Nelle sue colonne, il quotidiano nazionale “The Liberian Journal” sostiene invece che il Premio Nobel «offre alla presidente uscente un nuovo, incredibile slancio». Poche ore prima dell’annuncio, tutto lasciava pensare che la partita sarebbe stata molto dura per lei. Di recente, il settimanale “Newsweek” si interrogava a giusto titolo: “Elle Johnson Sirleaf, la prima presidente di un paese africano, ha una fama da rock star nel mondo intero. Ma allora perché la sua rielezione sembra così compromettente nel suo paese?”
La risposta è iscritta nel bilancio mediocre della Sirleaf sui temi socio-economici e nella sua incapacità a riassestare l’immagine di istituzioni liberiani corrotte e disorganizzate. Certo, il suo è un compito ingrato. Al suo arrivo al potere nel 2005, la nuova presidente della Liberia deve ricostruire un paese messo in ginocchio dalle atrocità della guerra civile (250mila morti tra il 1989 e il 2003).
Forte del suo statuto di pioniera, la Sirleaf è riuscita nel giro di sei anni a instaurare un clima di pace precario tra cittadini liberiani pieni di rancore. La sua volontà di ricostruire il paese le sono valse due altri successi: la cancellazione del debito e il ritorno degli investitori. “Gli investimenti internazionali sono letteralmente esplosi in settori come il petrolio, le mine di ferro e l’olio di palma per un totale di 19 miliardi di dollari” ricorda Newsweek. Una somma colossale “proveniente soprattutto dalle economie emergenti come l’India, il Brasile e la Cina. Le entrate pubbliche sono aumentate del 400%”.
Ma “Mummie Ellen” ha anche subito parecchi rovesci, ivi compreso sul suo terreno di predilezione: l’economia e soprattutto la ridistribuzione delle ricchezze. Le esperienze professionali accumulate nei ranghi della Banca Mondiale e di Citibank lasciavano ben sperare, ma basta un dato per riassumere il fallimento della missione che si è assegnata.
Quello dell’indice dello sviluppo umano piazza (ancora) la Liberia al quint’ultimo posto nella classifica stilata da UNDP. Oggi il 90% dei liberiani vive con meno di un dollaro al giorno e il tasso di disoccupazione colpisce l’80% della popolazione nazionale. Va un po’ meglio sul versante della corruzione, cavallo di battaglia di quello che viene soprannominata “Lady di ferro”, dove la Liberia figura 87° (su 178) nella classifica di percezione della corruzione di Transparency International. Ma la vera piaga è sociale. Le violenze sessuali inflitto alle donne e ai bambini durante la guerra rimangono di attualità, mentre la frattura tra l’élite composta da liberiani della discendenza afro-americana e i “nativi”, vittime da oltre un secolo e mezzo di un ostracismo implacabile.
La giustizia è stato un altro terreno su cui la presidente liberiana è sbandata clamorosamente. Copiando il modello sudafricano, Johnson Sirleaf aveva deciso di instaurare una Commissione Verità e Riconciliazione per fare luce sui crimini della guerra civile. Tra le raccomandazioni della Commissione è emersa una lista di 50 personalità a cui veniva richiesto di rinunciare a qualsiasi incarico ufficiale per una durata di 30 anni per essere state “associate alle figure belligeranti”. Peccato però che nella lista c’è il nome della Sirleaf, accusata di aver sostenuto l’ex presidente liberiano Charles Taylor pochi anni prima che quest’ultimo diventasse uno dei signori della guerra più sanguinari del continente africano.
Fortemente contraria all’idea di dover rassegnare le sue dimissioni, Sirleaf è addirittura passata all’offensiva decidendo di prolungare il suo mandato anziché ritirarsi nel 2011 come promesso al suo arrivo al potere. E per non smentire la sua fama di ‘dura’, pochi giorni prima dell’assegnazione del Nobel, ha fatto licenziare il direttore della radiotelevisione pubblica liberiana, Ambrose Nmah, per aver organizzato una conferenza stampa dell’ex stella del Milan e candidato dell’opposizione, George Weah. Pace.
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