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Bologna: Caffarra, solo la sussidiarietà salva il bene comune

L’arcivescovo all’omelia per la festa di san Petronio: «Siamo in un degrado senza precedenti, l’unica via di uscita è cooperare per il bene comune senza contrapposizioni tra pubblico e privato»

di Gabriella Meroni

«La nostra città è ridotta a un degrado tale quale forse non ha mai conosciuto nella sua storia recente»: è partito da un’analisi durissima il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella sua omelia pronunciata il 4 ottobre in Duomo per la festa di san Petronio, patrono della città. Poi però Caffarra è andato oltre, indicando da dove ripartire: dall’amicizia civile, dal senso di appartenenza gli uni agli altri, che deve generare un profondo cambiamento di mentalità cui il prelato ha dato un nome preciso: sussidiarietà.

Partendo dall’analisi sullo “stato di salute” di Bologna, Caffarra ha spiegato come «la forza originaria che costituisce la città è la coscienza di essere ciascuno per la sua parte membra gli uni degli altri». È la coscienza di una reciproca appartenenza, insomma, «la quale genera quella profonda amicizia civile che è il legame più forte di ogni città». «Esiste ancora», si è chiesto Caffarra, «nel cuore di ogni bolognese quell’amore per la sua città che non consente che sia sfregiata e deturpata nella sua bellezza? Se così fosse, non vedremmo la nostra città ridotta ad un degrado tale, quale forse non ha mai conosciuto nella sua storia recente». Eppure, questa amicizia civile deve e può rifiorire. Come? Innanzitutto promuovendo «quelle comunità nelle quali il carattere amicale dell’esistenza è favorito. In primo luogo la famiglia». Ma anche la comunità cristiana ha un compito decisivo, per Caffarra, che è quello di «introdurre nella nostra città la realtà di una vera comunione fra le persone; far accadere dentro alla nostra vita cittadina l’evento di una vera fraternità».

L’arcivescovo ha poi svolto un secondo passaggio, quando ha invocato per Bologna «un vero e profondo cambiamento culturale, una vera e profonda trasformazione di mentalità», cui ha dato un nome preciso: sussidiarietà. «Non abbiamo forse il diritto di sperare», ha aggiunto, «che Bologna possa diventare un vero laboratorio sociale della sussidiarietà?». La domanda non era retorica, tanto che Caffarra si è spinto a dettagliare il concetto svolgendo gli ultimi due punti dell’omelia. Il primo ha riguardato il significato della parola sussidiarietà, il cui primo postulato recita che «il bene comune della nostra città è raggiunto solo mettendo assieme sui contenuti essenziali del medesimo bene municipalità, imprese, e la società civile organizzata nel cosiddetto terzo settore».

Per raggiungere l’obiettivo, ha notato l’arcivescovo, sarebbe utile che si istituisse un «Consiglio permanente per la sussidiarietà che aiuti a progettare questa nuova architettura sociale». Il secondo passaggio ha riguardato la necessità per Bologna di «abbandonare definitivamente due pregiudizi»: la «contrapposizione tra pubblico e privato», riconoscendo «la funzione sociale del privato», e la «concezione ancillare del rapporto della società civile con le istituzioni pubbliche».


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