Politica

Più “Poors” che Standard

L'agenzia declassa l'Italia: debito e debolezza politica

di Franco Bomprezzi

La notizia più brutta è arrivata nel cuore della notte. L’agenzia “Standard & Poor’s” ha tagliato di un punto il rating sulla capacità dell’Italia di ripagare il debito pubblico, addebitando questa scelta non solo alla situazione economica del Paese ma anche alla fragilità della coalizione politica di governo. Berlusconi ha dato subito la colpa alla stampa internazionale. Alcuni quotidiani italiani hanno fatto a tempo a ribattere l’edizione in edicola.

“Debito l’Italia declassata” è il titolo che apre il CORRIERE DELLA SERA, che in un primo momento aveva scelto come tema di apertura le parole della Merkel sul rischio enorme che corre l’Europa nel caso di abbandono della moneta unica: “crescita più debole e coalizione di governo fragile” è il sommario che riporta tra virgolette il secco giudizio dell’agenzia americana. Il commento è di Federico Fubini: “Verdetto su una politica incapace di scelte forti”. Così conclude Fubini a pagina 3: “La radice della bocciatura è nella politica e nelle resistenze al cambiamento diffuse nella società. «La fragile coalizione di governo e le divisioni nel parlamento continueranno a limitare la capacità di rispondere con efficacia alle sfide», scrive S&P’s. Anche perché una spinta in più al declassamento, aggiunge l’agenzia, è venuta dagli sbandamenti del governo nel disegnare la manovra: «La risposta esitante alle pressioni di mercato suggerisce continua incertezza politica in futuro sui mezzi per rispondere alle difficoltà». Il governo resta «riluttante a affrontare i problemi» più importanti: mercato del lavoro rigido e tale da escludere troppe persone, settore pubblico inefficiente, protezionismo di fatto nei confronti degli investimenti esteri. Ma, appunto, il problema non sono solo il governo o la maggioranza. Quasi con incredulità, S&P’s registra il sabotaggio al cambiamento da parte di quasi tutti, che per gli analisti resta «la principale ragione di debolezza»: «Anche sotto pressione di mercato, le istituzioni politiche, le aziende in posizione dominante, gli statali, i sindacati del settore pubblico e privato bloccano la capacità del governo di agire». L’agenzia registra l’opera d’interdizione in parlamento, in luglio, delle misure di liberalizzazione degli ordini professionali; quindi ricorda la fallita cessione di Alitalia a Air France a causa del veto dei sindacati. La conclusione di S&P’s non lascia ben sperare, al contrario: «Non è chiaro cosa si possa fare per rompere il blocco fra queste istituzioni politiche e il governo». Nel frattempo, «i tassi d’interesse di mercato sono previsti in aumento». Detto in un linguaggio più chiaro: se l’Italia non cambia, e in fretta, i debiti pubblici e privati costeranno (e peseranno) sempre di più”. La situazione è raccontata a pagina 2 da Massimo Gaggi: “Mentre le voci davano per imminente un “downgrading” dell’Italia da parte di “Moody’s”, il declassamento è arrivato improvvisamente dall’altra grande agenzia internazionale, Standard & Poor’s. La società americana, il cui centro di analisi sul debito sovrano è basato a Londra, ha ridotto il “rating” sul debito pubblico dell’Italia di un gradino, da A+ ad A, e, cosa ancor più grave, ha mantenuto la sua previsione, l'”outlook” sul Paese, ad un livello nettamente negativo. Praticamente il preannuncio di probabili, nuovi futuri interventi: quasi un doppio declassamento arrivato a mercati ormai chiusi, ma che ha ugualmente sorpreso analisti e operatori aggiungendo altre preoccupazioni di contagio in Europa, dopo che ieri i mercati hanno vissuto un’altra giornata da incubo per i nuovi timori di un fallimento della Grecia. Atene sembra, infatti, sempre meno in grado di percorrere quel sentiero di “default pilotato” che era stato faticosamente individuato dai partner Ue e dalle banche all’inizio dell’estate”. La notizia nottuna ha fatto spostare a piede di pagina 3 il caso legato alle parole della Merkel: “L’avvertimento della Merkel ai tedeschi: se crolla la moneta unica, Europa a rischio”.

“Standard and Poor’s declassa l’Italia”: anche LA REPUBBLICA titola sulla decisione dell’agenzia di rating e ricorda nel sommario: “La Grecia affonda, paura in Borsa. Marcegaglia: governo non più credibile”. I servizi all’interno. Due le ragioni del declassamento, spiega Andrea Bonanni da Bruxelles: crescita troppo debole, governo in difficoltà e quindi con capacità limitate di far fronte all’emergenza. «La fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare l’abilità dell’esecutivo a rispondere con decisione a un contesto macro-economico interno ed esterno difficile», si legge nella nota dell’agenzia. Il declassamento del resto si colloca in un momento complesso: le trattative per la Grecia sono problematiche, ormai non si esclude più il default e ieri le borse hanno bruciato 137 miliardi in capitalizzazione. Ieri anche un appello drammatico di Angela Merkel: «Se salta l’euro, salta l’Europa ha detto chiedendo maggior silenzio ai suoi ministri. Una situazione che anche dall’altra parte dell’Oceano fa paura: “Usa terrorizzati dall’effetto domino «L’Europa eviti la catastrofe globale»”. Federico Rampini riferisce che ieri Obama (che ha annunciato un taglio di 4mila miliardi e pensa a un aumento delle tasse per i ricchi) e la Merkel si sono sentiti, consapevoli che i rischi sono di tutti. «Siamo giunti a una svolta drammatica. Se la Grecia non mantiene le promesse di risanamento, si apre un periodo ancora più difficile, per tutta l’eurozona» ha detto un alto dirigente del Fmi da Washington. Dunque rispetto a questo passaggio, le divisioni sono pericolose. Occorre piuttosto un fronte comune. Difficile però perché servirebbero governi più forti capaci di riforme. Chiaro l’avvertimento anche di Geithner, segretario Usa al Tesoro: «Non trasformate la Grecia nella vostra Lehman, fermate il contagio prima che sia troppo tardi, trovate l’unità politica nell’emergenza. I 440 miliardi di euro per il fondo anti-default possono bastare a salvare la Grecia, ma se saltano paesi più grossi come Spagna e Italia, o le banche francesi, quei fondi non sono la metà della metà di quel che serve». Tornando all’Italia, ieri un altro attacco da Moody’s che nel suo Outlook ha spiegato la difficile situazione degli enti locali, strangolati dalla manovra: regioni e comuni dovranno aspettarsi un declassamento del rating delle loro emissioni obbligazionarie e dunque un incremento della spesa per gli interessi. Rischiano di più quegli enti locali che fin qui hanno avuto i rating migliori. “Quanto ci costa il cavaliere” è il titolo di un commento di Tito Boeri: è la «Papi’s tax, quella che paghiamo per ogni giorno in più in cui Silvio Berlusconi rimane a Palazzo Chigi». «Il mercato ci fa pagare un prezzo per la sua scarsa credibilità personale». «Ma il costo più elevato della presenza di Berlusconi a Palazzo Chigi è legato alla paralisi decisionale».

“Se Emma e Susanna bloccano l’Italia – nuova tegola nella notte declamato il rating dell’Italia” questo è il titolo di prima pagina de IL GIORNALE sul nuovo capitolo della crisi finanziaria con il declassamento del debito sovrano dell’Italia da parte di Standard and Poor’s. Ma per ritrovare il commento di Nicola Porro bisogna andare fino alla “pancia” del giornale, a pag. 9. Quattro colonne in cui il vice direttore attacca duramente l’eccessiva concertazione tipica dell’Italia («ci rifiutiamo di credere che la liturgia degli incontri ministeriali serva a qualcosa») e invita Silvio Berlusconi a «smettere di convocare e riconvocare un vertice dietro l’altro». La ricetta vincente per chi scrive si chiama liberalizzazioni «bisogna scioccare per pensare al rilancio» e cita l’esempio di Sergio Marchionne che «non ha mediato, non ha cercato intese sottobanco e ha posto la questione sul piatto con ruvida aderenza alla realtà». A lato riportato un trafiletto sulle parole di Barack Obama che ieri ha illustrato la sua soluzione per la crisi («Giusto che i ricchi paghino di più contro il deficit»). Sul declassamento italiano invece sono il taglio alto di pag.8 (“Nella notte declassato il rating dell’Italia”) dove vengono riportate le parole di Angela Merkel sulla caduta dell’Euro che secondo la cancelliere significherebbe il crollo dell’Europa. Si segnala come «il nodo cruciale sia la Grecia, ormai a un passo dalla bancarotta» con i creditori che stanno aumentando la pressione sul governo greco ma dove per chi scrive «ulteriori misure correttive rischiano di esacerbare le tensioni sociali e compromettere una situazione economica già fortemente deteriorata». E sempre sul tema liberalizzazioni taglio basso sui risultati di un’indagine dell’Istituto Bruno Leoni sullo stato delle liberalizzazioni nel nostro paese. Un paese bloccato che va avanti per «inerzia» in cui gli unici settori che sono «più liberi» rispetto al passato sono quello elettrico e le poste, mentre il peggiore è quello delle ferrovie.

IL MANIFESTO scrive: “La paura di un default della Grecia affonda le borse e rischia di far precipitare il vecchio continente. La prima vittima è Angela Merkel, che perde le elezioni a Berlino e risponde alle contestazioni: «Se crolla l’euro crolla l’Europa». Ma la ricetta non cambia: Atene costretta a nuove immediate misure di austerity per ottenere gli aiuti” così sintetizza in prima pagina il sommario che rimanda agli articoli dedicati al tema di apertura che è “Fuoco greco”. Allo stesso tema, ovvero la crisi è dedicato anche l’editoriale a firma Galapagos “Il pianto del coccodrillo”. Si legge: «(…) Fin dall’inizio del 2010 era evidente che la Grecia aveva bisogno di aiuto internazionale. Se fosse arrivato tempestivamente non staremmo ora a parlare di questione greca. Ma Atene non aveva fatto i conti con l’avidità e la stupidità dei parenti della famiglia euro (…) i prestiti sono stati concessi non per salvare il livello di vita della popolazione, ma per impedire alle banche estere che avevano acquistato bond greci, che pagavano alti rendimenti, di fare bancarotta se Atene non avesse più onorato il debito (…)» E dopo un parallelo con la crisi del 1929 che «sembra non aver insegnato nulla alla politica e ai politici: le azioni per fuoriuscire dalla crisi del 2008 sono state tutte concentrate sulla finanza, abbandonando a se stessa l’economia reale che non a caso è entrata in crisi un po’ dappertutto (…)» e conclude «Oggi,  invece, le ricette che vengono suggerite assomigliano non a quelle di Roosevelt, ma a quelle di Hoover che credeva solo nella carità e non nel ruolo sociale dello stato. Ma si sa: l’Europa sociale è una chimera». Alle pagine 6 e 7 si concentrano gli articoli su Germania e Grecia, mentre a pagina 2 che con la 3 è dedicata a: “Il conto alla rovescia alla fine del Cavaliere”, in un box si parla di “Moody’s boccia  la manovra: «Affossa gli enti locali»”. “La paura si mangia le azioni” titola quindi a pagina 7 l’articolo che affronta il tema dei mercati “I timori di default della Grecia e l’ansia da recessione provocano nuovi crolli in borsa” perché “Fmi e Ocse prevedono un forte rallentamento della crescita provocato anche dalle manovre restrittive. In Italia torna alto lo spread Btp/Bund”. 

IL SOLE 24 ORE prima del declassamento di Standard & Poor’s apriva sulla Merkel: “Merkel in campo a difesa dell’euro”. La ribattuta della seconda edizione ha un altro titolo in prima pagina, fatta dopo l’arrivo della notizia nella notte: “S&P taglia il rating dell’Italia”. Con un editoriale di commento (non presente sulla prima edizione) a firma di Isabella Buffacchi. “Il prezzo alto della decadenza”: «Il declassamento inferto da Standard & Poor’s sul rating italiano, abbassato a sorpresa di un gradino ieri notte dalla “A+” alla “A” con prospettive rimaste negative, avrà ripercussioni gravi per il rischio-Italia. Innanzitutto per le motivazioni alla base di questa retrocessione, che esprime un giudizio severissimo sul degrado e sul declino della vita politica ed economica del paese, i due cardini che dovrebbero sorreggere l’affidabilità creditizia sovrana, la capacità di uno Stato di ripagare i propri debiti. E che in Italia sono venuti a mancare. S&P’s ha declassato la Republic of Italy perchè la crescita, già fiacca, si è indebolita ulteriormente e le prospettive della ripresa economica sono peggiorate anche a causa di un governo incapace di governare e di una classe politica incapace di rispondere alle sfide della globalizzazione. L’incertezza dello scenario politico è alla base di questo declassamento, perché spetta al Governo e al Parlamento iniettare nel sistema non tanto spesa pubblica ma fiducia nel futuro per far ripartire l’economia. Per far questo servono riforme strutturali che le agenzie di rating invocano, invano, da anni, di retrocessione in retrocessione. Il fatto politico ha inciso fortemente su questo giudizio negativo e il prezzo che l’Italia dovrà pagare per l’inadeguatezza del Governo sarà alto».  Sulla stessa lunghezza d’onda l’altro editoriale, a firma di Marco Fortis, scritto prima del declassamento, “La credibilità perduta”: «Non è esagerato dire che in una sola estate, come una cicala, l’Italia abbia sprecato tutta la credibilità che si era costruita come formica da quando, nell’ottobre del 2008, esplose la crisi dei mutui subprime. Con ciò non soltanto complicando il collocamento dei titoli pubblici italiani sul mercato ma rendendo anche vieppiù diffidenti i nostri partner europei nei riguardi di proposte pur innovative degli Eurobond, come quella avanzata su questo giornale da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio. (…) Per ridurre il livello assoluto del debito pubblico finito nel mirino degli attacchi speculativi, per evitare eventuali declassamenti delle agenzie di rating e per rilanciare la crescita economica che langue, serve una strategia coerente e coraggiosa, come quella proposta da questo giornale nei suoi “nove punti”. Magari con l’introduzione di alcune nuove aggiunte, come quella di una piccola tassa patrimoniale costante nel tempo, come proposto nei giorni scorsi da Guido Tabellini, utile eventualmente per finanziare la riduzione degli oneri contributivi delle imprese e rilanciare la competitività, visto che la carta dell’aumento dell’Iva è già stata giocata solo per fare cassa. Ma una strategia economica, per essere credibile, necessita anche di un Governo credibile che la ponga in essere. Ed è soprattutto questo che oggi ci manca, più che i numeri». 

ITALIA OGGI punta sul “Rilancio economico: le proposte Ue” perché il quotidiano pubblica notizie contenute nel rapporto inviato a Roma, a Berlusconi,  dal vice presidente della Commissione Industria alla Ue, Antonio Tajani. Un rapporto che il quotidiano ha  potuto leggere. «Più di 70 azioni per il miglioramento della competitività industriale in Europa, fra cui una strategia sulle materie prime,  una per lo spazio, la modernizzazione di standardizzazione con maggiore coinvolgimento  delle Pmi, e raccomandazioni  per il settore delle tecnologie chiave abilitanti, un altro capitolo riguarda il digitale e le grandi reti energetiche e di trasporto». Il quotidiano riporta le parole di Antonio Tajani relative alla semplificazione in cui si muovono le imprese «In Europa dobbiamo  poter iniziare un’attività in tre gironi e con la spesa massima di 100 euro». 

“In trincea per salvare l’euro” è il titolone di AVVENIRE in cui si spiega «corsa contro il tempo per evitare il default di Atene . Fmi: sono necessarie altre misure. Lunedì nero per le Borse, Milano -3,2. Moody’s: dalla manovra impatto negativo sugli enti locali». All’interno Giovanni Maria del Re firma “Grecia, torna l’incubo default” che prende spunto dalla parole di Angela Merkel «la disgregazione dell’Euro porterà alla disgregazione dell’Europa». «Più in basso Pietro Saccò propone “E in Borsa ripartono le vendite: Piazza Affari -3,2%”. La notizia forse più importante però è sul sito online del quotidiano dei vescovi. “Standard & Poor’s declassa l’Italia: Governo fragile”, «la scure di Standard and Poor’s si abbatte sull’Italia. Mentre tutti gli occhi erano infatti puntati su Moody’s – che giorni fa ha rinviato la sua decisione sul nostro Paese – S&P ha deciso a sorpresa di tagliare il rating sulla capacità dello Stato di far fronte all’elevatissimo debito pubblico. Motivo: una crescita economica sempre più debole e una situazione di incertezza politica che ostacola la ripresa. Incertezza che – secondo gli analisti di S&P – rende molto difficile raggiungere gli obiettivi fissati nel programma di austerity. In particolare il rating di lungo termine viene abbassato da A+ ad A, ma con outlook negativo. Ciò significa che in futuro il rating potrà ulteriormente essere tagliato. Anche perché le previsioni per il debito sono decisamente peggiorate: il picco – spiegano gli analisti dell’agenzia – è atteso più in là nel tempo e raggiungerà un livello ancor più elevato del previsto». 

Paese troppo fragile, S&P declassa l’Italia”. Questa è l’apertura de LA STAMPA sul declassamento del debito italiano e sulle sue conseguenze. Sei pagine in cui si cerca di  fare un quadro generale della situazione. A partire dalla cronaca della giornata di ieri che occupa l’intera pag.2 con un taglio alto dedicato proprio alla decisione dell’agenzia di rating (“Standard’s&Poor’s: giù il rating dell’Italia”) e un taglio basso dedicato alle parole eloquenti di Angela Merkel sul futuro dell’euro (“Se crolla l’euro, cade anche l’Europa”), pezzo in cui sono racchiuse anche le reazioni degli altri partner europei come quello della Francia che indicato l’uscita della Grecia dall’Eurozona, «non un’ipotesi di lavoro»). Nella pagina seguente nel taglio alto spazio al presidente americano Barack Obama che ha chiesto uno sforzo di tutti, anche dei ricchi, per ridurre il deficit Usa (”Tagli e più tasse ai ricchi”) mentre in basso pezzo di “retroscena” sul presidente uscente della Banca Centrale europea Jean Claude Trichet (“Trichet, Atene va sostenuta ma Spagna e Italia sono cruciali”). Pagina 4 e 5: spazio alle reazioni italiane alla situazione di stallo dell’economia. In primis le parole del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (“Ora basta, il tempo del governo è scaduto”) che chiede «discontinuità» e un «recupero di credibilità», visto che gli industriali non «tollerano più una situazione di stallo, dove non si fanno le riforme necessarie e si aspetta per non andare incontro a crisi di governo». A fianco invece parte più politica  con il cronista Ugo Magri che parla delle contromosse del governo sulla situazione economica dopo la stangata della manovra (“Il premier spinge sulle nuove misure per lo sviluppo”) con l’ipotesi di una «grande manifestazione per la libertà» per sostenere il premier. Taglio basso invece intervista a Massimo Calearo che si dice perplesso sulle parole della Marcegaglia «Dico solo che è più facile criticare che proporre». Interessante per chiudere a pag.7 il reportage sugli imprenditori che si sono detti «delusi» dell’operato del governo di Silvio Berlusconi perché «non ci dà ricette per uscire dalla crisi»

E inoltre sui giornali di oggi:

FONDAZIONI
LA REPUBBLICA – “Cassamarche e Bds gelano Unicredit «Non vogliamo il terzo aumento»”. Dopo la fondazione Cassamarche (che non intende aderire al terzo aumento di capitale della banca) anche Cariverona (che ha il 4,21%) potrebbe non aderire come pure la fondazione Banco di Sicilia. Unicredit è l’unica tra le grandi banche a non aver programmato finora un’operazione sul capitale. Se la lanciasse potrebbe aggirarsi sui 5 miliardi, un impegno che non dovrebbe essere un problema per la Fondazione torinese.

PALESTINA
IL MANIFESTO – Un piccolo richiamo in prima con l’inizio dell’articolo di Uri Avnery “Il giorno più felice?” rimanda alle due pagine interne che sono state dedicate al voto all’Onu sul riconoscimento dello Stato di Palestina. “Al Palazzo di vetro un blocco di 7 paesi pronto a fermare la richiesta di adesione presentata da Abu Mazen”, nel sommario di pagina 8 si legge anche “Soffocare sul nascere l’idea dello stato palestinese evitando il veto. Questo l’impegno di Barack Obama verso Tel Aviv”.

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