Politica
Lega, separati in casa
Bossi evoca la "secessione" per non parlare di Berlusconi
Nella lunga crisi di credibilità del presidente del Consiglio le forze che appoggiano il governo, Lega e Pdl, provano a consolidare la propria identità. E Bossi, a Venezia, non trova di meglio che rilanciare la storica parola d’ordine della secessione, e ipotizza addirittura un referendum per la Padania.
- In rassegna stampa anche:
- STRAUSS-KAHN
- LIBIA
- MOSCHEE
- COOPERATIVE SOCIALI
- DISABILI
- NAPOLI MILIONARIA
“Bossi e Alfano: avanti da soli” è il titolo in prima pagina del CORRIERE DELLA SERA. Le pagine 2 e 3 sono collegate, al centro, da una grande foto del settantenne leader della Lega, e ministro del Governo, con il pugno chiuso, sul palco della manifestazione di Venezia. A sinistra appena sotto al palco un plaudente e sorridente Calderoli, ministro per la semplificazione. «“Non è più democrazia” Bossi invoca la secessione” scrive da Venezia Marco Cremonese, inviato in “Padania”: “Il grido della Riva dei martiri risuona per undici volte: «Se-ces-sio-ne, se-ces-sio-ne». Umberto Bossi non lo lascia cadere. Non lo interrompe come tante volte è accaduto in passato, anche prossimo. Anzi: «Fratelli, lo so. Tutti noi lo sappiamo che alla fine ci sarà la battaglia, la lotta per la liberazione. E noi, la vinceremo». La cerimonia dell’ampolla è alla sua quindicesima edizione, ma a giudicare dai temi il tempo non sembra essere passato: è tornato il 1996. Dal capo padano neppure una parola sui tormenti del governo, Berlusconi nemmeno è menzionato. Bossi offre ai suoi militanti ciò che loro chiedono a gran voce: «La secessione è l’unica strada. Fate bene i vostri conti — dice Bossi — qui ci sono milioni di persone disposte a combattere per la Padania». Eppure, se indipendenza deve essere, Bossi spiega che ci può essere ancora un tentativo «per via democratica, forse quella referendaria. Perché un popolo importante e lavoratore come il nostro non può continuare a mantenere l’Italia. E d’altra parte, se l’Italia va giù la Padania va su»”. E nel pezzo di “colore politico” Cremonese aggiunge: “Eppure, la verità è che ormai non c’è cerchio magico, non ci sono maroniani, non ci sono venetisti contro lombardi. Il fatto è che ora la Lega ha paura. Paura che le divisioni interne possano lacerare il movimento come mai è accaduto in passato. Paura che l’abbraccio con il premier, l’innominato, si riveli mortale. Paura che dopo un decennio segnato dall’asse Bossi-Berlusconi, gli elettori comincino a «tirare qualche riga per fare il conto». Paura, soprattutto, di perdere l’antica presa sui militanti: all’inizio dei comizi, la Riva dei martiri è veramente poco affollata. Più tardi si popolerà, sia pure restando ben al di sotto delle passate edizioni. Ma nell’euforia dello scampato pericolo, i leghisti la sparano grossa: «Siamo in 50 mila». Il poliziotto a cui si chiede conferma scoppia a ridere: «E dove ci stanno qui cinquantamila persone?». La questura non fornisce dati. Anzi, non conferma una prima stima di 10 mila presenze”. Di spalla il pezzo di Marzio Breda, osservatore di Napolitano: “La freddezza del Quirinale, garante dell’unità d’Italia”. Scrive Breda: “Il freddo silenzio di chi non sottovaluta la provocazione, tanto più che a lanciarla è un ministro della Repubblica, ma neppure intende esasperarla. Forse anche perché quella sortita è stata un po’ mitigata dai più potabili proclami di alcuni colonnelli leghisti, come l’incitazione a «combattere per il federalismo dentro le istituzioni» espressa da uno striscione dei fedeli a Maroni. Certo, per il capo dello Stato dev’essere deprimente constatare quanto poco abbiano pesato le sue aperture di credito alla Lega degli anni scorsi, incitando la politica a «dare compimento all’evoluzione del federalismo» e delle autonomie previste dalla nostra Magna Charta. Un sostegno che gli è valso una lunga tregua dal partito del Nord. In qualche caso erano scattate addirittura manifestazioni di esplicito feeling, come con il sindaco di Verona, Flavio Tosi, o con il ministro Roberto Calderoli”.
LA REPUBBLICA apre sul “Braccio di ferro pm – Berlusconi” e nel sommario aggiunge: “Alfano blinda il premier. Bossi: «Referendum per la Padania». Il servizio a pagina 4: a Venezia il leader del Carroccio ha annunciato la prossima battaglia. «Sì, secessione: come si fa a stare in un Paese che sta addirittura perdendo la democrazia?» di fronte a una folla non sterminata (5mila per il cronista, 50mila per gli organizzatori) Bossi lancia il «contentino» al suo popolo: «è evidente che così non si può andare avanti, con la crisi l’Italia va giù e la Padania vien su». Occorre trovare una soluzione «democratica e forse referendaria perché un popolo lavoratore come il nostro non ne può più di mantenere l’Italia». Analisi sopraffine eguagliate solo dal ministro Calderoli: «i giornalisti ci hanno rotto i coglioni». Non tocca il Senatur la questione giudiziaria, non parla del governo. Cui invece fa esplicito riferimento Roberto Maroni: «Non è facile stare al governo: mentre noi ci danniamo l’anima per portare a casa dei risultati, la politica si occupa di fango, di personaggi indaffarati nei loro sporchi traffici, di case fantasma e quant’altro; un mondo che non ci appartiene, noi rivendichiamo l’etica nella politica». Per il resto, Maroni nel corso della manifestazione ha scelto il basso profilo: «non vuole che si ripetano i cori da stadio che durante il suo intervento l’hanno acclamato più volte “presidente”», spiega Sala riferendosi a un comizio di qualche mese fa. «il ministro degli Interni da qualche settimana ha deciso di tirare il freno a mano, immolandosi al totem di un’unità interna che anche qui a Venezia appare molto di facciata». Fra le reazioni, quella di Bersani («Bossi mette avanti il sogno per non dire ben chiaro che va avanti con il miliardario») e dell’Idv: «Chi invoca la secessione non può fare il ministro» (Di Pietro non ha commentato: nel suo partito c’è qualche mal di pancia perché ha candidato alle regionali suo figlio Cristiano e i suoi dicono: è come Bossi che ha fatto eleggere il Trota). Il commento più interessante è di Ilvo Diamanti: “Piuttosto della crisi meglio la recessione” è il titolo. Dubita Diamanti che alle parole seguiranno i fatti: la Lega rischierebbe di trovarsi da sola, toccando con mano la sua situazione di «larga minoranza». Dunque Bossi continua a rilanciare la recessione sapendo che non ce la farà. Lo fa per contrastare il malessere dei suoi elettori, per sopire le polemiche sulla successione e poi perché «la Secessione, come la Padania, è un mito fondativo, una sorte di orizzonte proiettato lontano nel tempo».
“Ci mancava soltanto la secessione”. Questo è il titolo di apertura de IL GIORNALE, con foto annessa di Umberto Bossi che fa le corna alla platea di Venezia. A pagina 2 reportage da Venezia, un resoconto dettagliato di quello che il leader della Lega ha detto («E il Carroccio sembra già in campagna elettorale: linguaggio popolaresco e pochi punti programmatici») con riferimenti alla «lotta di liberazione» e a farla finita con il «ladrocinio imperante». E una via da percorrere: quella del referendum. Di spalla il commento sulla situazione. Sulla secessione ci si domanda quanto ci si creda veramente («forse si sforzano di crederci, come quelle abitudini che ti porti nell’anima tutta una vita») e il distacco dall’Italia è dipinto da chi scrive come qualcosa che «serve a scacciare i momenti bui», un «monito per ricordare al Sud, agli alleati, ai nemici, allo Stato che la Lega ha sempre una carta di riserva, dura e radicale». E sul Carroccio come partito lo si definisce «una famiglia patriarcale e fino a quando c’è il vecchio nessuno mostra i coltelli». A pagina 3 invece spazio per l’analisi politica e anche un po’ storica di Paolo Guzzanti sulla Lega e sul suo leader Umberto Bossi (“L’ultima zampata di un re stanco”). La storia del tradimento di un’idea originale, quella di una “rivoluzione” che secondo chi scrive è stata «inghiottita dalla storia». Uno spirito di ribellismo che è soprattutto «borghese», «la rivoluzione dei piccoli produttori che generano ricchezza e che si sento truffati dal big government». Un partito tatticamente pronto a «fidanzamenti prolungati» e del cui sogno iniziale resta secondo chi scrive solo «la capacità di convogliare la rabbia e la frustrazione del Nord di fronte alla crisi economica e alla devastazione alla politica verso un nuovo isolazionismo». Taglio basso invece dedicato agli altri “attori” del raduno di Venezia con un’armonia tra Roberto Maroni e Roberto Calderoli una riappacificazione che è cme si sottolinea nel titolo è solo apparente (“Roberto e Roberto di nuovo uniti. Ma solo sul palco”). Alle reazioni di Silvio Berlusconi alle parole di Bossi solo un pezzo a pag. 4 (“Silvio e le sparate di Bossi: sono state un’imprudenza”), concetto ribadito all’interno del pezzo, con una finestra sul futuro con la possibilità di un chiarimento con il Senatur a partire da giovedì.
“Bossi rilancia la secessione” titola in prima pagina LA STAMPA, ma all’interno, per il reportage dell’inviato a Venezia, il quotidiano sceglie come titolo “Il crepuscolo leghista fra bugie, liti intestine e attacchi ai giornali” e l’occhiello di tutto il servizio è “Governo: nervosismo nella Lega”. Sotto le sparate per alzare il tiro, c’è un gioco più sottile che riguarda anche la Lega segnala il “Retroscena” di Magri a pagina 3 che rivela che nel Pdl si starebbe studiando una riforma elettorale che sia gradita anche al partito di Bossi e all’Udc. La Lega vede come il demonio il referendum lanciato da Parisi, quello per tornare al Mattarellum, pur di evitarlo il partito di Bossi potrebbe giocare d’anticipo e mandare tutti alle urne, non sul sistema elettorale ma per le Politiche. Per questo nel partito del premier c’è chi starebbe studiando una via per evitare la catastrofe: buttare a mare il sistema elettorale vigente (il cosiddetto “Porcellum”) per tornare a un proporzionale da Prima Repubblica con certi correttivi tipo lo sbarramento o un meccanismo di assegnazione dei seggi che impediscano la frammentazione in mille partitini. Il bipolarismo andrebbe in soffitta, rimpiazzato da un sistema di coalizioni, dove non servirebbe più il leader “forte”, o, ironizza LA STAMPA, un “uomo della provvidenza”.
E inoltre sui giornali di oggi:
STRAUSS-KAHN
LA REPUBBLICA – “Con la cameriera un rapporto immorale ma al Sofitel non ho commesso reati”. Intervista rilasciata a una tv francese e ripresa dal quotidiano italiano. L’ex direttore del Fmi rivendica la sua innocenza, puntualizza alcune cose rispetto all’indagine ma soprattutto chiarisce che non si candiderà alla corsa per l’Eliseo.
LIBIA
LA STAMPA – “L’Eni non apra la Libia ai russi”. Un dossier a pagina 12-13 de LA STAMPA sulla partita del gas in Libia. Il quotidiano è entrato in possesso di uno spaccio confidenziale che rivela le preoccupazioni degli Usa circa la nuova politica energetica dell’Eni. Il colosso italiano ha annunciato un accordo con la Gazprom, in base al quale darà ai russi l’accesso ai campi di gas naturale in Africa del Nord, in cambio di un aumento dell’accesso dell’Eni ai giacimenti di gas in Russia. Secondo gli Usa è una politica sbagliata: finora il gas del Nord Africa ha garantito all’Europa un accesso alternativo a questa importante fonte energetica rispetto al monopolio russo: «Dare alla Gazprom il controllo dei campi in Africa del nord danneggia chiaramente gli sforzi di diversificazione energetica dell’UE» si legge nel dispaccio americano.
MOSCHEE
IL GIORNALE – Pezzo a pag.4 della Cronaca di Milano sull’immigrazione e sui centri che dovrebbero nascere secondo il progetto del sindaco Giuliano Pisapia delle “moschee di quartiere”. In “Centri arabi, turchi e bengalesi il nuovo risiko delle moschee” si fa un quadro di quali sono le strutture a disposizione delle associazioni islamiche e le varie situazioni.
COOPERATIVE SOCIALI
IL SOLE 24 ORE – “Coop sociali a crescita zero – Dalla stretta un gettito modesto, ma forte impatto recessivo”. Approfondimento di Elio Silva sulla realtà della cooperazione sociale di fronte allo spettro della stretta fiscale della manovra: «”Siamo come gli equilibristi, camminiamo tutti i giorni sul filo. La spinta che ci hanno dato è piccola, ma rischia di farci cadere”. Ricorre alla metafora circense Roberto Bellesi, responsabile dei progetti della cooperativa sociale Arcobaleno di Breno (Brescia), per spiegare gli effetti della tassazione sugli utili destinati a riserva, introdotta dalla manovra anche per questa tipologia di imprese. L’aggravio di imposta è del 3%, a fronte dell’esenzione totale fin qui goduta. Una misura modesta, dunque, ma destinata a infrangere un principio stabilito da una legge speciale e giustificato con il fatto che le cooperative sociali reinvestono gli utili in reti, beni e servizi per la collettività: dagli asili nido all’assistenza ai minori, dai disabili agli anziani, fino alle persone affette da patologie psichiatriche. “È proprio questo che non riusciamo a comprendere – insiste Bellesi -. Come si può pensare di tassare, sia pure in piccola parte, un utile che nessuno si mette in tasca, ma che viene puntualmente reinvestito per soddisfare richieste che emergono in modo sempre più drammatico dalla nostra comunità? Se l’iniziativa pubblica riduce l’impegno diretto nel welfare e noi, che siamo in prima linea sul territorio, veniamo penalizzati, chi darà risposta ai bisogni?”. (…) Critico anche Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà – Confcooperative, che aggrega a livello nazionale 5.563 realtà, con 212.500 soci, 210mila occupati e un fatturato annuo di 5,4 miliardi. “Noi supportiamo il welfare locale e siamo impegnati a garantire la coesione sociale, per cui non riteniamo di meritare un atteggiamento punitivo. La stretta colpisce le politiche di capitalizzazione di una tipologia di imprese che, al contrario, andrebbero valorizzate per almeno tre ragioni: sono labour intensive, cioè ad alto numero di occupati; hanno margini modesti e accantonano gli eventuali utili per alimentare gli investimenti”. “Non siamo scoraggiati e continueremo a fare la nostra parte”, aggiunge. “Ma visto che lo Stato ci chiede sacrifici, cominci a sanare la piaga degli arretrati nei pagamenti della pubblica amministrazione. Vantiamo crediti per oltre 800 milioni di euro, con un ritardo medio di 270 giorni e con punte di 600. Nell’attesa, dobbiamo comunque pagare gli stipendi, versare i contributi, erogare i servizi. Senza dimenticare che il mondo della cooperazione sociale è composto per il 73% da microimprese, con una capitalizzazione spesso inferiore ai 10mila euro”. Un mondo di pesi leggeri, insomma, che proprio in virtù delle loro caratteristiche insistono nella sfida di camminare sul filo. Da oggi con qualche brivido in più».
DISABILI
ITALIA OGGI – A pag. 7 un approfondimento sulle novità della mini-riforma per l’istituto della compensazione sul collocamento obbligatorio. Ecco alcuni esempi: gli obblighi di assunzione obbligatoria (quota disabili) possono essere rispettati a livello nazionale; le imprese possono effettuare in una o più sedi un numero di assunzioni di disabili in misura superiore a quella fissata dalla legge e portare l’eccedenza a conguaglio del minor numero di assunzioni obbligatorie effettuate in altre sedi; i datori di lavoro pubblico possono essere utilizzati, ad assumere in una unità produttiva un numero di disabili superire a quello prescritto.
NAPOLI MILIONARIA
CORRIERE DELLA SERA – Scrive Marco Imarisio a pagina 29: “Alla fine del gennaio 2011 i rifiuti erano tornati ad assediare il centro della città. Sui giornali apparivano le malinconiche foto di Rosa Russo Iervolino che per dovere imprecava contro i taglia della Finanziaria agli enti locali e per necessità cominciava intanto a svuotare i cassetti del suo ufficio al primo piano di Palazzo San Giacomo. A Napoli si spegnevano le ultime luci del bassolinismo, si respirava un’aria mesta e date le circostanze anche abbastanza puzzolente. In questa atmosfera da fine corsa, il cda di NapoliServizi, azienda interamente di proprietà del Comune, addetta al mantenimento del decoro urbano, celebrava le sue gesta con aumenti da 1,7 milioni di euro a 13 dirigenti, dal direttore generale Ferdinando Balzamo e via discendendo. Non gratifiche una tantum, attenzione, ma ritocchi del superminimo, la base della retribuzione, una media di cinquemila euro mensili cadauno destinata pertanto a rimanere invariata nei secoli dei secoli”. Ora il sindaco De Magistris ha deciso: azzero tutto il cda, e ovviamente anche l’aumento dei compensi. Interessante questo altro passaggio del pezzo di Imarisio: “NapoliServizi è una società pubblica nata per occuparsi della pulizia del patrimonio cittadino che fin dalla nascita non piaceva praticamente a nessuno. Ma nel tempo si è gonfiata di assunzioni, nuove competenze e debiti. Nel 2001, quando diventa operativa, ha 400 dipendenti, tutti ex lavoratori socialmente utili con contratto a tempo determinato. L’anno seguente ne arrivano altri 44, poi la crescita diventa quasi esponenziale, 470 assunzioni nel 2003, nel 2007 altre 500. Nel 2008, l’anno della grande crisi dei rifiuti, il Comune annuncia solenne l’intenzione di dismetterla. Poi ci ripensa e stanzia 50 milioni da mettere a bilancio per ripianarne i debiti”.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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