Famiglia

800 grammi di vita a Phnom penh

Diario di una notte speciale di un pediatra volontario

di Redazione

Il nonno di una neonatina di 13 giorni mi ha chiesto di visitarla. Abbiamo passato la serata attorno a lei. È nata di sei mesi e mezzo, per abruptio placentae, e pesa 800 grammi. È un miracolo che sopravviva ancora, in una stanza singola con la madre e almeno cento cavallette. Ma qui sono animali sacri, di buon auspicio, e nessuno si cura di eliminarle, anzi, sono benvenute. Il nonno mi chiede di trasferirla a Phnom Penh. Impossibile, non reggerebbe il viaggio su quella strada. Poi mi dice se è possibile che in Europa qualcuno la adotti. Chissà cosa si immaginano del nostro mondo: pensano che oltre ad essere ricchi siamo anche buoni? Il miracolo della vita Quella neonatina è il miracolo della vita: senza un’incubatrice, monitor, senza un’emogasanalisi, senza terapia appropriate, senza il nostro costosissimo surfattante, e senza neppure indomentacina è ancora lì che respira e sfida la logica medica e i miei sentimenti più profondi. Sono bianco e mi chiedono cosa fare. Sono ignorante e non lo so. Tra i libri che mi sono portato c’è Nutricion of the very low birthweight infant. Uno dei tanti mai aperti in Italia. Perfetto, mi siedo a tavolino con il pediatra dell’ospedale, lo apro. Parla di integratori di amminoacidi, acidi grassi poliinsaturi e di outcome a distanza; insomma assolutamente nulla di praticamente utile. Esiste una specie di terapia con sondino nasogastrico che le stanno praticando, con cui le danno liquidi, il latte della madre e l’ossigeno, ma non è intubata, il tubo è infilato solamente per qualche millimetro in quel minuscolo naso perfettamente definito. Mi chiedo come possa essere ancora lì. La vita è potente. Un segno del destino? Calcolo con l’aiuto del Nelson (la bibbia dei pediatri di tutto il mondo) quanto le stanno dando in calorie, liquidi, proteine, minerali, carboidrati eccetera, poi lo confronto con il fabbisogno ideale a 13 giorni nei nati con meno di un chilo. Sono molto simili. Il ginecologo che le ha fatto la terapia la sa lunga. L’ho incontrato una volta a marzo. È anche il vice-direttore dell’ospedale e mi era parso una persona eccellente. Mi aveva detto di voler aprire un centro per la cura dei gravi prematuri, io nicchiavo pensando che ci fossero altre priorità. Lo penso ancora, ma che quello di stasera sia un segno del destino? Ci vogliono solo soldi, e neppure tantissimi. Serve almeno un’incubatrice! I maestri che non ho mai avuto Do un’occhiata alla piccola. La frequenza respiratoria è di 55, ancora nei limiti, tutto considerato. Ancora mi stupisco, l’ossigeno che le danno è adeguato! Continuo a credere che non sopravviverà, ma tanto di cappello a tutti. Potrò imparare molto da loro. Davanti a me ho un nonno innamorato della vita (cosa non comune nei paesi poveri, dove predomina un’atavica rassegnazione a perdere i bambini), una madre che ogni tre ore si toglie il latte, lo mette in una siringa e nutre sua figlia con amore e rassegnazione, un pediatra e un ginecologo cambogiani, competenti e che fanno bene il loro lavoro. Per pochi dollari al mese, senza strumenti a disposizione, con le madri che non possono pagare le medicine che loro consigliano e che vogliono sempre far dimettere i loro figli perché non possono pagare le cure o perché devono tornare a casa a badare agli altri, o al bestiame senza il quale nessuno della famiglia mangia. Questo pediatra cambogiano ha solo sentito nominare il Nelson, e l’ha visto per la prima volta oggi, a 34 anni, in lingua italiana. Fa una notte ogni tre giorni e non si lamenta. Oggi ne fa una ulteriore perché il suo amico (non ha usato la parola collega) è a uno stage a Phnom Penh. Questi sono i maestri che non ho mai avuto e cui vorrei somigliare. Che stima ho di loro! Dopamina e adrenalina Questa sera il pediatra dell’ospedale è stato a cena da me, e mi ha raccontato come tratta lo shock nei bambini. Io in Italia non l’ho mai visto, per fortuna. Nessuno glielo ha mai insegnato. Ha preso un libro, ha letto che se il polso è molto debole si può dare la dopamina, se è assente l’adrenalina, è così si è messo a farlo, visto che i bambini che arrivano in shock sono moltissimi. Ieri quattro. Ha funzionato e quindi continua a farlo. Il lusso di amare Il nonno ha insistito e io ho ceduto. Ho deciso, ci proviamo. Sabato mi porto la neonata di 800 grammi a Pnom Penh. Domani chiamo un ospedale giapponese che ha un reparto di neonatologia e chiedo se me la accettano. Per lei il viaggio sarà uno stress incredibile, ma che alternative ci sono? Proviamo. Il nonno mi rivela la sua idea: «La mandiamo in un orfanotrofio di una ong e poi ci pensano loro». Lo dice senza tradire alcuna emozione. Tutto ciò è la norma e provo ad astenermi dal giudicare. Provo a mettermi nei suoi panni, a rispettare la povertà vera, di chi non può neppure permettersi il lusso di amare, almeno nel modo che noi riteniamo giusto. Perché non la vogliono tenere? Un futuro migliore Vuole che organizzi tutto io. Pacatamente mi ribello. Momenti drammatici, situazioni mai vissute, responsabilità da prendermi o non prendermi, ma comunque da vivere in diretta, senza tempo per pensarci troppo, né per dire “fermate il treno, voglio scendere”. Saiko (una ragazza giapponese trapiantata a Milano che ora sta lavorando in Cambogia) mi aveva detto: «Non ficcarti in cose di questo tipo, ma sappi che è facile darti questo consiglio da Phnom Penh, senza guardare in faccia i piccoli pazienti». Perché non la vogliono tenere? La madre della piccola non può stare a lungo a Phnom Penh, non hanno i soldi per pagare l’ospedale, credono che se adottata avrà un futuro migliore. Faccio una proposta: io vado a Phnom Penh tutti i fine settimana, e mi porto dietro un parente che stia con la neonata almeno il sabato e la domenica. Poi però, se la piccola migliora e sopravvive loro se la riprendono. Accettano, ma i soldi per l’ospedale chi li mette? Lo svizzero e i buoni principi Esiste un ospedale gratuito e buono nella capitale, gestito da uno svizzero che riceve la beneficenza di certe multinazionali svizzere. Quest’uomo è uno che vuole curare qui con standard europei, se ne frega dei protocolli, del lavoro in équipe, e considera tutti gli organismi internazionali come criminali, perché non curano adeguatamente. È sicuramente un pazzo, con molti interessi dietro le spalle, ma i suoi tre ospedali “canta bopha” sono molto amati, noti e frequentati dai cambogiani. Io concordo sul fatto che usare il Rocefin qui quando non è assolutamente indispensabile sia uno spreco di risorse, ma non mi metto a fare discorsi di principio o di sanità pubblica sulla pelle dei singoli individui che stanno di fronte a me. Provateci voi, io non ci riesco. Questo è l’unico ospedale davvero gratuito in Cambogia, ma nessuno sa se c’è la neonatologia. Chiamo Saiko che sta a Phnom Penh: scopro che sua figlia va a scuola con il figlio del vicedirettore dell’ospedale, ma vengo avvertito che non ama le intromissioni degli occidentali, pur essendo francese. Me ne frego, lo chiamo, è gentile: c’è posto! Domani partiamo. Mi chiedo: chissà se sto facendo la cosa giusta… Ad ogni buca me la faccio addosso Per il trasporto della neonata all’ospedale non possiamo usare il pickup del Cesvi perché non ci posso caricare l’ossigeno. Prendo una ambulanza e pago la benzina (perché nessuno ha venti dollari per pagarla). Si parte, ad ogni buca che prendiamo me la faccio addosso: il fagotto è lì, in braccio alla zia e mi sembra sempre cianotico e freddo. Respira a cinquantacinque atti minuto con dei rientramenti pazzeschi, ma respira. Battito a centotrenta. Ad un certo punto c’è traffico e mettiamo la sirena, un rumore impressionante, il fagotto non si scompone. Ogni mezz’ora ci fermiamo a vedere come va. Arriviamo, lo ricoverano in questo strano ospedale, dove è vietato l’ingresso agli occidentali, anche medici. Praticamente mi hanno trattato come un tassista, ma il fagotto è arrivato a destinazione. Speriamo bene. Epilogo A proposito, la bimba cresce; ha preso centoventi grammi in due giorni. Spero di poterla vedere la prossima settimana. * medico pediatra, cooperante per il Cesvi


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