Politica

Manovra, Casta viva

Scompaiono i tagli per la politica. Le province? "Regionali"

di Franco Bomprezzi

La manovra è all’esame della Camera, ma intanto scoppia la polemica sui mancati tagli ai costi della politica, e il rinvio della decisione sulle Province. I giornali analizzano le misure contenute nel maxiemendamento, e si scopre che sono scomparsi, nell’ultima stesura, molti dei provvedimenti annunciati con grande enfasi dal Governo.

“Tutte le promesse non mantenute sulla riduzione dei costi della politica” titola in un palco alto della prima il CORRIERE DELLA SERA, anche se l’enfasi cade sul titolo a centro pagina: “Premier al telefono, un caso”, quasi a testimoniare la difficoltà di tenere separate le informazioni sulla manovra da quelle relative alle nuove rivelazioni sugli affari privati di Berlusconi. Il quotidiano di via Solferino sceglie però, nelle prime pagine, di puntare il dito sulle mancate riforme della politica. La 2 e la 3 sono affidate a quattro mani a Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Un pezzo lunghissimo e impietoso che mette a confronto gli annunci di moralizzazione e le definitive decisioni contenute nella manovra approvata dal Senato: “Indennità e vitalizi d’oro, la beffa dei tagli alla politica”. Ne citiamo un passaggio particolarmente eloquente: “Ancora più divertente, si fa per dire, è l’epilogo della promessa di adeguare le regole italiane a quelle straniere, che in molti casi vietano espressamente a chi è pagato per fare il parlamentare di fare altri lavori. Facoltà che in certi casi (ad esempio quello del medico Antonio Gaglione, che ha detto di non avere nessunissima intenzione di dimettersi e rinunciare alle prebende) ha portato anche al 93% di assenze. La riforma sbandierata all’inizio prevedeva il taglio del 50% dell’indennità lorda. Poi il trauma è stato ridimensionato col raddoppio del prelievo di solidarietà, il 20% oltre i 90 mila e il 40% oltre i 150 mila. Ma siccome pochissimi hanno una indennità superiore a questa cifra (quelli che guadagnano molto lo devono proprio all’attività privata) la percentuale di riferimento reale è quella del 20%. Facciamo due conti? Dato che l’indennità lorda di un deputato semplice è di 140.443 euro e 68 centesimi lordi l’anno (poi bisogna aggiungere le diarie e rimborsi vari, al netto) un doppiolavorista avrebbe avuto con la prima versione delle nuove regole, un taglio di 70.221 euro e 84 centesimi. Con le regole nuove, 10.088 euro e 73 centesimi. Un settimo. Non bastasse, mentre il prelievo di solidarietà «doppio» non aveva scadenza, l’ultima versione dice esplicitamente che dura tre anni: 2011, 2012 e 2013. Non solo: non tocca più la Corte Costituzionale e il Quirinale”. A pagina 5: “Ora spuntano le «Province regionali»”. Scrive Dino Martirano: “Il ddl costituzionale che «disciplina il procedimento della soppressione della Provincia quale ente locale statale» — firmato da Berlusconi e dai ministri Bossi e Calderoli — riguarda tutte le Regioni, comprese quelle a statuto speciale, ma non le Province di Trento e Bolzano. In sintesi, le funzioni e le competenze delle Province passeranno alle Regioni che provvederanno «a istituire forme di associazioni tra Comuni per il governo di aree vaste, nonché definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale». E queste dovrebbero essere definite «aree metropolitane» o «mini Province». Secondo il ministro Roberto Calderoli, «le future Province regionali assomiglieranno alle attuali Province delle Regioni a statuto speciale che già oggi hanno competenza esclusiva per l’ordinamento dei propri enti locali». Resta da vedere, dunque, quello che faranno le Regioni. Quanti saranno, per esempio, gli «ambiti territoriali» dell’attuale Provincia di Torino, che conta oltre 300 Comuni? La domanda se la pone l’Unione della Province italiane (Upi) che prevede una proliferazione di «mini Province»: secondo Fabio Melilli, presidente della Provincia di Rieti, «da 108 Province che ci sono adesso si arriverà a 200-250 associazioni tra Comuni. Ci avviamo verso il modello Sardegna che ormai ha otto Province». Per questo Giuseppe Castiglione parla di «caos istituzionale e di aumento della spesa pubblica»”. Mario Sensini a pagina 6 riferisce: “Sciopero dei sindaci contro i tagli”. “Governo e autonomie locali di nuovo ai ferri corti – scrive -. Di fronte ai nuovi tagli della manovra di Ferragosto, che si aggiungono a quelli dell’anno scorso, i governatori hanno deciso di consegnare all’esecutivo i contratti del trasporto pubblico locale, «a rischio di default», mentre i sindaci sciopereranno e rimetteranno ai prefetti le deleghe sull’anagrafe. Con la nuova sforbiciata di 6 miliardi di euro sul 2012 e di 3,2 miliardi nel 2013, gli amministratori locali sostengono di non essere più in grado di gestire i servizi”. Infine a pagina 9: “Draghi in visita dal premier. A colloquio su conti e Btp”. La parola d’ordine, a questo punto, è fare in fretta per placare i mercati, anche se la manovra poteva essere assai migliore di così.

Ancora quattro pagine sulla manovra, su LA REPUBBLICA, che apre invece su Lavitola e che, sul tema specifico, stranamente non «spara» la falsa scomparsa delle Province. Parla di «nuovo addio alle Province», al cui posto «arriveranno dei super-comuni o città-metropolitane», che «succederanno alle Province in ogni rapporto giuridico, anche di lavoro». La pagina accanto dà conto delle critiche dell’opposizione sui «tagli troppo leggeri per senatori e deputati», visto che – scrive Annalisa Cuzzocrea – «più che un taglio è un taglietto, di quelli che non serve neanche un cerotto». Le misure anticasta, in particolare il dimezzamento dell’indennità per i parlamentari professionisti che continuano a svolgere il loro lavoro durante il mandato, infatti, si sono ridotte a una diminuzione che si aggira  sugli 8.800 euro all’anno. Un bello sconto.

I costi della politica vanno nella pancia de IL GIORNALE. “Salta il taglio dei parlamentari. Il Colle: attenti a parlare di Casta”, questo il titolo di pagina 8. Un pezzo in cui su racconta quello che è successo ieri, a partire dall’eliminazione della norma della Finanziaria che avrebbe ridotto il numero di parlamentari (“tutti salvi i 945 inquilini di Montecitorio a Palazza Madama”) e spiega quale potrebbe essere lo scenario futuro, con quattro proposte all’esame della Commissione affari costituzionali del Senato. “I tempi dell’esame in Senato non saranno certamente brevi, vedremo come andrà” questa è la chiosa sul tema. Intanto si sottolinea come siano stati approvati invece due altri disegni di legge costituzionale, uno sulla soppressione delle province, l’altro che introduce il principio del pareggio obbligato di bilancio”. Spazio anche alle parole del Presidente della Repubblica Napolitano che ha chiesto di «fare attenzione all’uso dilagante di certe espressioni come Casta o si rischia di diventare come la notte in cui tutto è grigio e diventa nero”. Sotto la spiegazione viene segnalata la storia di Franco Orsi, senatore Pdl, definitivo nel titolo il «peone a caccia di sprechi». Un parlamentare che si è smesso a spulciare i conti del Senato e trovare tutte le magagne e le spese inutili. Secondo lui.  Sul provvedimento che invece è passato, quello sulle Province si titola “E’ la volta buona: abolite le province”. Un’affermazione un po’ attenuata già nell’attacco del pezzo «Abolizione a metà per le province” e spiegata meglio all’interno dell’articolo, in cui si specifica come spariscano le province ma rimangano comunque le regioni e le aree metropolitane. «Un intervento soft rispetto alle previsioni che però è sembrato troppo incisivo ai rappresentanti degli enti locali che hanno annunciato anche su questo capitolo una mobilitazione” regioni, province e comuni in subbuglio «più per i tagli che per il ddl costituzionale” secondo chi scrive.

IL MANIFESTO ha un richiamo in prima pagina: “Città metropolitane al posto delle province. Spesa pubblica, lo stop entra in Costituzione”, nella parte alta della pagina accanto a una vignetta di Vauro dedicata allo stesso tema. Vauro sotto il titolo “Manovra – misure insufficienti” disegna due personaggi , nel dialogo il primo dice: “Abolite le province” e la risposta del secondo è: “Non basta. Bisogna abolire anche il governo!”. L’articolo è a pagina 4 che ha come capopagina un eloquente “Effetti speciali. Spariscono le Province, compaiono le Città metropolitane. E il debito derivante da cattiva amministrazione si combatte riscrivendo i principi fondanti della Repubblica”. Il titolo di apertura è “Freno costituzionale alla spesa pubblica”. Nell’articolo si sottolinea: “(…) una semplice variazione di nome, come fa notare l’Unione delle province italiane che annuncia una mobilitazione di protesta degli attuali enti intermedi. Tutti, tranne le province autonome di Trento e Bolzano che non vengono toccate dalla riforma (…)” Nell’articolo si sottolineano alcune incongruenze della proposta e su fanno le pulci anche alla modifica dell’articolo 119, quello del federalismo fiscale, si sottolinea che «(…) è proprio qui che cade l’asino: sull’elasticità del vincolo, sulle deroghe e sulle eccezioni (…)».

Già, c’erano una volta le province. E in realtà ancora ci sono: diverse, “regionalizzate”, ma province. Mentre le prima pagina de IL SOLE 24 ORE è dedicata alle reazioni internazionali dopo l’approvazione della manovra, in taglio medio compare il titolo “Le Province diventano ‘regionali'”. Il servizio è firmato da Roberto Turno a pagina 12: «Muoiono le Province, nascono le province (in minuscolo) regionali. Tra le polemiche nel Governo tra ministri del Pdl e quelli leghisti, il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il Ddl costituzionale che azzera le Province attuali (tranne Trento e Bolzano) facendo nascere dalle loro ceneri le «forme associative» di Comuni per le funzioni di governo di area vasta sotto l’ombrello delle Regioni, che con propria legge dovranno definirne gli organi, le funzioni e anche – e significativamente – la legislazione elettorale». Gianni Trovati, invece, scrive sui tempi di questa riforma: 6 anni per dire addio a 3320 poltrone. 
 
 “Il lungo addio delle province“ su ITALIA OGGI. Una pagina intera, la 31 nella sezione Enti Locali e Federalismo, per spiegare con chiarezza i vari problemi applicativi alla sostituzione delle province con dei super comuni e come il percorso delle riforma sia tortuoso e complicato.

“Province, ora si fa sul serio” titola AVVENIRE in prima pagina, mentre l’occhiello avvisa “Manovra, enti locali in rivolta contro i tagli”. L’intera pagina 5 è dedicata al tema e si apre con il titolo “Abolizione delle Province, primo passo” mentre nel catenaccio si punta alla “Rivolta dei presidenti: demagogia, giovedì tutti a Roma”. Interessante l’ampio box dedicato al dossier che illustra come “secondo una ricerca fatta dall’Unione delle Province d’Italia, per queste ultime lo stato paga 1,5 miliardi contro i 182 spesi per l’amministrazione centrale”, in pratica si fa osservare che “Il prezzo dell’indennità dei politici è di 155 milioni di euro per il Senato e 306 per la Camera. Le Regioni si portano via 907 milioni. Le Province? Solo 113”. Grazie anche a un grafico si mostra un confronto tra i diversi enti di spesa pubblica dalla Previdenza alla Province mostrando visivamente quali siano le principali voci di spesa.
 
Su LA STAMPA un Gramellini all’attacco, apre le danze del quotidiano di Torino contro casta. «Neanche a dire che non si rendano cono di essere detestati. Lo sanno benissimo» si legge nel pezzo “Asserragliati nel fortino dei privilegi” «tanto che ormai si vergognano di dichiarare in pubblico il mestiere che fanno. Semplicemente se ne infischiano delle reazioni. Asserragliati nel fortino dei loro privilegi, mentre intorno tutto crolla, senza nemmeno salvare le apparenze e prendere qualche precauzione, come quella di placare la furia dei cittadini compiendo un sacrificio personale». Per capire le ragioni dello sfogo di Gramellini,  basta leggere il pezzo “Onorevoli dimezzati quella riforma attesa e dimenticata a pag 13 e quello a pag 15 “Province, prove di abolizione”, che prospetta la fine delle province ma anche la loro sostituzione con nuove forme associative.

E inoltre sui giornali di oggi:

11 SETTEMBRE
LA REPUBBLICA – In prima pagina, in vista del decimo anniversario della tragedia dell’11 settembre, un pezzo a firma di Barack Obama (a pagina 39, dove prosegue, sta sotto al commento di Adriano Sofri sulla barzelletta del ministro Sacconi, su cui tutti i giornali si scatenano) in cui racconta come, al pari di molti altri genitori, ha scelto di raccontare l’11 settembre alle sue figlie, che non ne hanno alcun ricordo. Un artificio retorico per lanciare un appello all’unità, poiché «il peggior attacco ha tirato fuori il meglio del nostro Paese», «in un giorno in cui altri hanno cercato di distruggere noi abbiamo scelto di costruire» e «dobbiamo ricordarci che le divergenze non sono nulla in confronto di ciò che ci unisce».

FAMIGLIA
IL GIORNALE – Da segnalare le parole del neoarcivescovo di Milano Angelo Scola in un’intervista a Radio Vaticana in cui il prelato sottolinea in particolare «un ruolo centrale della famiglia e società civile”. «Questo paese ha bisogno di ritornare all’uomo e alle relazioni originarie e costitutive che ogni uomo vive, a partire da quelle della famiglia” e che bisogna far riferimento «a una società civile come la nostra che è la più ricca d’Europa, piena di risorse piena di gente che mette in gioco tutti i giorni col lavoro, con la famiglia e far leva sui fermenti associativi che vivono in questa città per ridare un volto al paese.”

SCUOLA
AVVENIRE – L’intera pagina 4, con un richiamo in prima per l’intervista al ministro Gelmini che replica all’appello per “Dare più futuro” che chiede la modifica del decreto che preclude di fatto l’insegnamento ai neolaureati ha raggiunto oltre 7mila adesioni nei primi due giorni. Titolo di apertura è “«Cattedra vietata ai giovani? Non è vero»” che riprende il pensiero del ministro Gelmini che dice anche basta alla vendita di illusioni “nella scuola i posti non sono infiniti” e ancora «Comunque la metà di tutti i posti disponibili sarà riservata a chi comincia la carriera». A più di pagina un secondo articolo dà la parola ai firmatari dell’appello: il professor Paolo Prodi, presidente della giunta centrale per gli studi storici, Giorgio Israel, presidente della Commissione ministeriale incaricata di individuare le nuove norme sulla formazione iniziale dei docenti, Michele Lenoci, preside di Scienze della formazione all’Università Cattolica e Roberto Pellegatta, presidente dei dirigenti scolastici di Disal.

LAMPEDUSA
IL MANIFESTO – Interessante il reportage da Lampedusa (pagina 7) dal titolo “Africa senza africani. Ai turisti piace così”, si fa notare che “Continuano le proteste dei migranti segregati sull’isola da una ragion di stato che si confonde con gli interessi di pochi politici. E prosegue la pratica illegale dei respingimenti collettivi” come anche che “Uno sguardo da lontano o un ordine da Roma decidono il destino di tanti richiedenti asilo. Nuovo monito dell’Acnur”, nell’artico inoltre Antonello Mangano che firma il reportage scrive «(…) Tutte le fonti interpellate – dagli operatori umanitari ai testimoni, fino ai protagonisti del soccorso – ci confermano il contrasto tra le leggi del mare (l’obbligo di salvare vite umane) e ordini “romani”, in questo caso giunti con un ritardo che ha permesso almeno di sbarcare i migranti visibilmente malati (…)» Si ricostruiscono alcuni sbarchi del mese di agosto, ma anche il fatto che “È emergenza anche per l’informazione. Chi ha visto non può parlare, chi è abilitato a parlare non ha potuto vedere”, in pratica si denuncia il fatto che per salvaguardare il turismo i migranti diventano invisibili.

GREEN ECONOMY
ITALIA OGGI – Entro il 2010, il settore creerà un milione di posti di lavoro. Lo prevede un’indagine realizzata dall’istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente, Iefe Bocconi e dal Centro studi Cni, presentata  nell’ambito del 56esimo Congresso nazionale degli ingegneri che si conclude oggi a Bari, i cui dati sono approfonditi nel pezzo “Il futuro è nella green economy” .

WIKICRAZIA
LA REPUBBLICA – La definizione, Wikicrazia, è di Alberto Cottica, musicista dei Modena City Ramblers che oggi si occupa di partecipazione democratica attraverso i social network per il Consiglio d’Europa. In pratica mai come oggi, attraverso il web, i cittadini partecipano attivamente alla definizione delle politiche pubbliche ad esempio attraverso appelli e petizioni. Ovvero si è passati dall’e-gov al we-gov. Il 20 settembre parte ufficialmente la Open Government Partnership, alleanza promossa da Usa, Brasile, GB, Norvegia, Messico, Filippine, Indonesia e Sud Africa. Begli slogan, ma in Italia il we-gov, dov’è?


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