Famiglia

La 266 porta bene i suoi anni. Ma va applicata meglio

Commento di Livia Turco

di Livia Turco

La legge quadro sul volontariato è una di quelle norme che hanno fatto storia nel nostro Paese. A dieci anni dalla sua entrata in vigore il volontariato non è solo cresciuto, ma ha anche assunto tratti nuovi e diversi: c’è quello che non si iscrive ai registri e preferisce agire nell’informalità; le grandi associazioni che sentono la necessità di costruire tra loro delle reti; ci sono i nuovi campi di impegno per la pace, la promozione dei diritti, la difesa dell’ambiente. Nonostante questo, l’impianto complessivo della legge resta valido e con esso la definizione di volontariato e le modalità di relazione con le istituzioni. Particolarmente importante è l’applicazione dell’art. 15, relativo ai Centri di servizio: uno degli articoli più innovativi, che ha richiesto molta fatica per venire applicato su tutto il territorio nazionale. Durante il mio mandato di ministro, mi sono impegnata molto per superare ogni ostacolo che si frapponeva al dispiegamento delle opportunità contenute nell’articolo 15, fino all’ultima circolare sulle finalità di utilizzo delle risorse. È tempo di procedere a una modifica della 266? Quando ho posto questo interrogativo alla Conferenza del volontariato di Foligno, la risposta dei volontari fu: «Per ora no». Per ora, applichiamola bene. E se nuova legge deve esserci, questa deve nascere dall’esperienza diretta del volontariato, deve nascere dal basso. Ma vi sono alcuni punti sui quali la realtà non trova riscontro nella legge 266. Innanzitutto, il rapporto volontariato-Istituzioni. La legge 266 prevede la possibilità di stipulare convenzioni per la gestione di servizi. La legge quadro 328/2000 va molto più in là, riconosce il “sapere e le competenze” di cui è portatore il volontariato, che pertanto deve essere coinvolto nella fase di programmazione e di progettazione. Insomma, nella 266 non c’è – né poteva esserci – una moderna cultura della sussidiarietà. Le istituzioni, poi, si devono porre il problema di “ascoltare” quel 40% di volontariato che vuole agire in modo informale, perché in esso c’è una grande ricchezza che va sostenuta. Altro problema, indicato dalla 266 ma non risolto, è come conciliare il tempo di lavoro con il tempo dell’azione volontaria. È giusto che per fare volontariato si utilizzino tutte le ferie e tutti i permessi? Il nostro Paese, infine, dovrebbe dotarsi di una normativa capace incentivare il volontariato internazionale, che coinvolge molto i giovani: per questo, sarà cruciale la gestione della normativa sul servizio civile.


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