Welfare

Daniele, una vita da post-volontario

Per anni ha prestato opera gratuita all'Opera San Francesco di Milano. Poi la passione per gli altri e per i loro bisogni lo ha portato alla scelta più impegnativa, quella professionale.

di Gabriella Meroni

Il suo ufficio è lindo, grigio e blu. Blu sono i mobili, grigio tutto il resto. Non c’è nessun tocco personale nel locale: sul piano lucido della scrivania, il computer è acceso su un programma amministrativo; ci sono due vaschette di plastica che contengono pochi documenti, tutti ordinati e chiusi in buste di plastica; sui cassettoni accanto all’armadio Daniele ha posato solo la sua cartella. Una stanza così, e un giovane così – Daniele Pagani ha trentun anni, una barba corta e rada, i capelli ricci e gli occhi grandi e blu, veste e parla senza fronzoli – è l’ultima cosa che ci si possa aspettare andando a trovare un ex volontario, ora direttore dei servizi sociali dell’Opera San Francesco per i poveri, che ha fatto della gratuità, del servizio e del «qui non si chiude mai» il filo conduttore della sua vita. Poi però scopri che ha un passato da attore, suona il basso in un gruppo, adora la cucina (anzi, «l’enogastronomia di qualità»), sogna di vivere in campagna, all’università ha scelto un indirizzo sociale e faceva l’obiettore in uno sportello per immigrati. E allora ti chiedi: ma chi è? Primo: organizzarsi Forse quello che tanti volontari di ieri potrebbero diventare domani: un manager della solidarietà. Qualcuno cioè che dopo anni di impegno non, o scarsamente, retribuito decide di investire il proprio futuro professionale nel sociale, e mettere lì a frutto quello che ha imparato. Senza fronzoli, appunto. «Dopo un po’ che ti spendi per gli altri capisci che, per quanto possa essere generoso, non farai mai abbastanza se non ti organizzi», dice Daniele. «Devi diventare razionale. Non solo è nel tuo interesse, perché rischi meno di deprimerti se non fai abbastanza, ma è anche nell’interesse di quelli che aiuti, perché riesci ad aiutarli di più». L’organizzazione è la vera parola d’ordine di Daniele. La sua scoperta, anche. «Quando facevo l’obiettore, ancora prima di laurearmi in Scienze politiche, ero in servizio presso una grande organizzazione che si occupava di immigrati», ricorda. «Ma le cose non erano abbastanza strutturate. Si faceva tanto, certo, ma si disperdevano anche molte energie. Così i volontari si stancavano, e gli stranieri a volte rimanevano con l’amaro in bocca». Da quell’esperienza Daniele impara due cose: la prima, che il sociale è comunque la sua vocazione. La seconda, che deve cercarsi un posto un po’ più “organizzato”. Così, forte del suo 110 e lode con tesi sulle esperienze di reddito minimo di inserimento in Europa, mette un annuncio sul giornale. Proprio in quel periodo, all’Opera San Francesco è in corso una ristrutturazione di competenze, e si cerca un responsabile per l’ufficio marketing. Daniele è convocato per il colloquio, ma non ottiene il posto. «Mi dissero che avrebbero tenuto in considerazione la mia candidatura per qualche altra posizione, e io pensai vabbe’, non è andata». Poteva in effetti sembrare la solita frase per togliersi dall’imbarazzo di un rifiuto, e invece no. «Dopo poche settimane mi richiamarono davvero», riprende Daniele, «chiedendomi se mi sarebbe piaciuto progettare una razionalizzazione dei tanti servizi offerti dall’Opera». Era il settembre del 1996, e ad appena 26 anni Daniele si trova a a capo di una struttura articolata e capillare, che oggi conta 25 dipendenti, 300 volontari ed è capace di intercettare 100 persone al giorno, sfamarne 2000 a pranzo e cena, e assisterne 20mila l’anno. La prima cosa che fa, ricorda, è osservare. «Avevo già le mie idee, e alcuni compiti precisi, ma ho preferito fare tutto per gradi. Partendo dal settore dei volontari», dice con il suo tono chiaro e quasi piatto. E parla di un altro suo pallino: la formazione. «Puntare solo sull’erogazione dei servizi è una scelta perdente», spiega. Per questo oggi gli aspiranti volontari dell’Opera si preparano con un corso di parecchie settimane, e incontrano tutti i responsabili dei principali servizi, oltre al presidente padre Pozzi, finendo poi con il firmare un impegno scritto con cui dichiarano di conoscere le finalità del lavoro e di accettarle in pieno. Anni fa la formazione si risolveva in una mattinata, con una breve presentazione orale e la proiezione di un video sull’attività caritativa francescana. «Oggi abbiamo forse più abbandoni, nella fase formativa», spiega Daniele, «ma chi persevera è più fedele, e ci dà maggiori garanzie di efficacia. Perché bisogna essere preparati, per reggere l’urto dei poveri». Già, il colpo di 100 vite al giorno che bussano alla tua porta non deve essere facile da sopportare. Daniele lo sa per averlo imparato in prima persona. «I primi tempi me ne andavo via da questo ufficio con un pensiero fisso, quello di aver risolto tanti problemi per un solo giorno. Ma il giorno dopo? E quello dopo ancora? Finché ho deciso: non voglio più immaginare cosa succederà a queste persone il giorno dopo. Voglio saperlo». Efficienza fondamentale Nasce così il potenziamento dei servizi già presenti nell’Opera, e che vanno ben al di là della mensa: il segretariato sociale, dove chi arriva può esporre i propri problemi di salute, casa e lavoro ed essere indirizzato dalle persone giuste; la doccia e il guardaroba, che fornisce la possibilità di lavarsi e ricevere un cambio completo di abiti puliti; l’ambulatorio, dove decine di specialisti curano gratis chiunque si presenti; il servizio sociale, dove un’assistente professionista segue i casi più complessi. Tutto deve essere svolto con un sorriso, ma anche con cura ed efficienza. Per misurarla, l’anno scorso Daniele ha promosso un’indagine di qualità sui pasti serviti ai poveri, con la distribuzione di 200 questionari, che ha dato risultati “superiori alle aspettative”. Tanto, se ci sono problemi o intoppi di qualsiasi tipo, si può stare sicuri che prima o poi arrivano sulla sua scrivania lucida e sgombra. E allora gli tocca anche fare la parte del “cattivo”. Solidali ma severi «Essere solidali non significa abdicare ai propri principi», spiega. «Quindi capita di dover sospendere la speciale tessera che qui identifica le persone e dà diritto all’assistenza. Chi viola certe regole di convivenza, o si comporta in modo aggressivo, deve restituirla, e prima di farlo ha un colloquio con me. A distanza di tempo, poi, lo riconvoco per capire se ci sono le condizioni per riammetterlo, perché lo scopo è sempre l’accoglienza». Senti, Daniele, ma tanto rigore non fa a botte con la carità? «Solidarietà, prego», risponde laicamente lui, che si dichiara cattolico non praticante, e a bassa voce confida di convivere con la fidanzata. «Sai, qui lo sanno tutti, anche i frati, però è meglio essere discreti. E poi uno degli elementi che apprezzo di più di questo posto è che non mi hanno mai fatto l’esame di catechismo. I principi francescani io li condivido fino in fondo, e questo basta a me e a loro». Prima dei saluti, è d’obbligo un giro in mensa, dove i primi ospiti sono già arrivati. In fila, ordinatamente, aspettano di ricevere un vassoio con primo, secondo, contorno e frutta. Ogni giorno, due volte al giorno. Gratis, a Ferragosto come a Natale. Tutto è organizzato, pulito, accogliente. Daniele, finalmente, sorride.


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